Console di Roma



Philippe      

Mio caro Augusto,

Essendo un ammiratore di Roma, approfitto dell'opportunità che mi è data di poter dialogare con te. Ammiro la discendenza degli Uomini della tua epoca, da Cesare, tuo antenato, fino a Marco Aurelio, passando per Traiano.
Ho molte domande da porti, tanto il tuo giudizio, a distanza di tutti questi secoli, mi sembra pertinente. Inizierò con una domanda.
Per te, console di Roma, che significa essere cittadino?

Amichevolmente,

Philippe



Augusto      

L'Imperatore Cesare Augusto a Philippe, salve.

Mi poni una domanda piuttosto bizzarra, che sembra scaturire più dalle futilità elleniche o dagli enigmi alessandrini che dal senso comune dei Romani. Avrei meglio capito se tu mi avessi chiesto: "Per te, cittadino di Roma, che significa essere console?", benché si tratterebbe pur sempre d'una banalità.

Essere cittadino, per un Romano, è come vivere e respirare. Un uomo libero sa ch'egli è un cittadino, con tutti i diritti ed i doveri che ne derivano. Punto e basta. Non abbiamo bisogno di filosofeggiare su questo punto, che è perfettamente chiaro e trasparente per tutti.

Quanto al consolato, è vero che l'ho rivestito per la prima volta quando era ancora molto giovane (non avevo ancora compiuto 20 anni) e, in seguito, altre 12 volte. Ma non sono stato sempre console: tutto il resto del tempo, cioè per più dei tre quarti degli anni dopo il mio primo consolato, non lo sono stato. In ogni caso, sia come console, sia dopo aver deposto il consolato, il mio giudizio su ciò che significa essere cittadino romano non avrebbe mai potuto cambiare.

Vale,

IMP. CÆS. AVG.


quebec

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