Relazioni con i Parti



Napolérick      

Salve,

Allora, perché non aver vendicato il disastro di Carre???
I Parti t'hanno allungato dell'oro anche a te???
Per longevità, sei molto grande, ma preferisco Aureliano, Diocleziano, Caro o Caracalla...

Napoléricke



Augusto      

L'Imperatore Cesare Augusto a Napoléricke, salve.

Ha mai visto la mia statua loricata (1) che Livia ha scelto per ornare la grande villa che stava arredando a nord di Roma? Si tratta d'una scultura nella quale si possono vedere tutti i dettagli d'una delle mie corazze ov'è rappresentata la cerimonia della restituzione delle insegne romane catturate dai Parti. La decisione della mia amata sposa venne giudicata molto sorprendente da alcuni senatori, poiché si era sempre saputo che per onorare la valenza d'un imperator occorreva rappresentare sulla sua corazza qualche emblema dei suoi trionfi militari. Essi chiesero allora a Livia perché aveva voluto questa immagine d'un semplice successo diplomatico anziché un richiamo dei fatti d'arme più gloriosi del suo sposo, come la mia vittoria navale d'Azio o la mia conquista d'Alessandria. A tale domanda lei rispose semplicemente che lei vedeva in quella scena l'illustrazione del più grande successo che possa essere conseguito dal più grande dei principi. Questo è tutto. Non ebbe bisogno di aggiungere una sola parola, perché sapeva perfettamente che tutti avrebbero capito.

Potrei dunque fermare qui la mia risposta, se non avessi il sospetto che l'importanza che sembri attribuire al bisogno di vendetta non t'avrebbe consentito di comprendere ciò che era evidente per i miei contemporanei. Occorre allora ch'io ti ricordi cosa è successo fin dall'inizio di questa storia.
Le insegne rappresentate sulla corazza erano proprio quelle che erano state perse dal triumviro Crasso in seguito alla gravissima sconfitta da lui subita nei pressi di Carre, un anno prima del terzo consolato di Pompeo Magno. Saprai certamente che mio padre, il divo Giulio Cesare, aveva preparato una grande spedizione militare in Oriente per regolare tutte le questioni con i Parti nove anni dopo la sconfitta del suo ex collega Crasso. Egli mi aveva anche inviato in avanti, nell'Epiro, ove s'addestravano sei delle legioni destinate a quella spedizione. Ma pochi giorni prima della sua partenza da Roma, egli venne assassinato a tradimento.
Dopo l'uccisione di mio padre, il comando della guerra contro i Parti fu assegnato al nuovo governatore romano della Siria, il console Publio Cornelio Dolabella. Ma quest'ultimo venne impegnato senza sosta dalle esigenze della guerra civile che era stata scatenata dai parricidi Bruto e Cassio. Costoro avevano in effetti radunato contro la Patria delle grandi forze, fra le quali vi erano anche dei contingenti militari inviati dai Parti.

Alla fine della guerra contro i parricidi, Marco Antonio si recò in Oriente, di cui era il responsabile nella sua veste di triumviro. Ma egli preferì installarsi alla corte di Cleopatra, anziché occuparsi dei Parti. Questi ultimi ne approfittarono e si mostrarono sempre più aggressivi, giungendo fino ad invadere una parte della Siria. Marco Antonio fu allora costretto ad inviare contro di essi una parte delle sue legioni. Il suo luogotenente Publio Ventidio Basso, dopo una campagna di oltre due anni, riuscì a mettere in fuga l'esercito dei Parti con i loro re Pacoro. Mai i Parti avevano subito una sconfitta così grave da parte dei Romani. Questo accadeva nell'anno del primo consolato di Marco Agrippa.
Ma, l'anno dopo, Marco Antonio volle ottenere lui stesso un'altra vittoria ancor più grande sui Parti. Entrato nella Media con ben sedici delle sue potenti legioni, egli riuscì a perderne due e si ritirò poi frettolosamente e molto vergognosamente verso l'Armenia, sotto gli attacchi incessanti dei nemici che l'inseguivano. Egli perse in seguito ancora otto mila uomini, avendo voluto ricondurre le sue legioni in Siria malgrado il cattivo tempo, per ritornare al più presto fra le braccia della sua regina dissoluta e crudele.

Credi dunque che io stesso, dopo aver fatti naufragare nelle acque d'Azio le speranza di Cleopatra di impadronirsi dell'Italia, e dopo aver aggiunto l'Egitto all'Impero del popolo Romano, avrei dovuto intraprendere ancora un'altra spedizione contro i Parti per vendicare, come dici, il disastro di Carre? Molte cose erano avvenute da allora, qualcuna a favore dei Parti, altre a favore del popolo Romano. Ma non sarebbe stato equo attribuire solo ai Parti l'intera responsabilità dei nuovi insuccessi che avevamo subito, e sfruttare questa responsabilità fittizia per giustificare una nuova guerra. Occorreva per contro trovare il modo di spezzare il regime di guerra permanente che s'era instaurato al nostro confine orientale. Occorreva infine pervenire ad una soluzione che potesse garantire il massimo rispetto della maestà di Roma.

Il problema delle nostre relazioni con i Parti rientrava d'altronde nel quadro generale della nuova politica che si rendeva necessaria dopo la fine delle guerre civili. Avendo ristabilito la pace all'interno ed avendo ricevuto dal Senato e dal popolo di Roma dei poteri supplementari per assicurare la stabilità di cui avevamo bisogno, intrapresi subito quel vasto programma di riforme che dovevano permettere alla Repubblica di curare molto presto tutte le sue ferite. Il mondo intero poté allora comprendere che una nuova era aveva preso l'avvio, poiché l'Impero iniziava a sbocciare in un benessere crescente, mentre i nostri nemici non potevano più contare sulle nostre lotte fratricide per ottenere qualche successo sui Romani. Ormai, nessun regno al di fuori dell'Impero sarebbe più riuscito a sentirsi sufficientemente tranquillo senza l'amicizia del popolo Romano.
Questa amicizia venne chiesta con ambasciate dei re dei Bastarni, degli Sciti e dei Sarmati che sono al di qua ed al di là del fiume Tanais (quello che chiamate ora il Don), ed anche dai re dei popoli che vivono al di qua del Caucaso, come gli Albani, gli Iberi ed i Medi. Ho anche ricevuto più d'una volta delle ambasciate di re degli Indiani (mai viste prima della nostra epoca presso alcun Romano), ed ancora dei doni e degli omaggi da parte dei Britanni, dei Daci e dei Seri (quelli che ora chiamate Cinesi).

In tale situazione compresi che i Parti, benché molto fieri delle loro vittorie, avrebbero dovuto accettare di rendermi le insegne delle legioni di Crasso. Essi dovevano certamente vedere, in effetti, quello che era evidente per tutti: la potenza di Roma risplendeva talmente che sarebbe stato molto imprudente resistere alla volontà del suo principe. Ho dunque costretto Fraate, il re dei Parti, a rendermi le spoglie e le insegne di tre legioni romane ed a chiedermi formalmente, in ginocchio, l'amicizia e l'alleanza con il popolo Romano. Queste insegne, le ho fatte deporre nel santuario che si trova all'interno del tempio di Marte Ultore. È questo il successo che aveva talmente affascinato la mia cara Livia, poiché avevo ottenuto con il mio solo prestigio quello che i più grandi generali romani non avevano potuto sognare di conseguire con le loro formidabili legioni. Si trattava inoltre d'una soluzione che contribuiva sensibilmente alla stabilità della situazione di pace che avevo assicurato all'Impero, dato che non vi sarebbero più state rivendicazioni territoriali ai nostri confini orientali.

Qualche tempo dopo, il re dei Parti Fraate, figlio d'Orode, inviò spontaneamente in Italia tutti i suoi figli e nipotini, non perché fosse stato vinto in guerra, ma per meglio dimostrare, dando in ostaggio la sua prole, ch'egli ricercava sinceramente la nostra amicizia. Ancora più tardi, dopo i disordini che seguirono la morte di Fraate, i Parti mi chiesero con un'ambasciata di dar loro un re, e ricevettero da me Vonone, figlio del re Fraate e nipotino del re Orode.

Ecco dunque gli elementi salienti sull'evoluzione delle relazioni fra i Romani ed i Parti. Capisco che avresti preferito il racconto di una guerra sanguinosa, animata da una divorante sete di rivincita e da un inestinguibile desiderio di conquista. Ma non è provando a scimmiottare le effimere vittorie d'Alessandro che si può costruire un impero durevole. I confini ai quali era già pervenuto il popolo Romano non avevano alcun bisogno d'essere ancora allargati. Occorreva allora consolidarli così com'erano, per mezzo delle soluzioni più stabili. È lo scopo che ogni principe dovrebbe proporsi in politica estera, se è sinceramente preoccupato della sicurezza dell'Impero e del benessere delle relative popolazioni.

Vale,

IMP. CÆS. AVG.

(1) nota del segretario: statua d'un personaggio rivestito della lorica, la corrazza dei Romani.


quebec

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