Politica culturale



Tarick      

Ave Cesare,

Innanzi tutto, consentimi di felicitarmi per la tua azione politica. Sei uno dei pochi ad aver segnato i secoli con la pace e non con la guerra (sia detto senza sminuire le tue brillanti vittorie di Azio e di Alesssandria).
Sarai lietissimo di apprendere che la “pace di Ottaviano Augusto” perdurerà per molti secoli dopo la tua morte.

Ma volevo più precisamente interrogarti sulla tua politica culturale. Credo di sapere che Mecenate era una specie di ministro della cultura. Il suo nome è anch'esso rimasto inciso nella Storia. Orazio, Ovidio e Virgilio sono vissuti sotto la tua protezione imperiale.

Raccontami qualcosa su come hai deciso ed attuato la protezione delle arti.
Si dice che Virgilio ti aveva chiesto di distruggere la sua opera dopo la sua morte. Se è vero, mille grazie per avere spergiurato ed aver consegnato l'Eneide all'umanità!

Vale et Gloria Romae !

Tarick



Augusto      

L'Imperatore Cesare Augusto a Tarick, salve.

Ho letto la tua epistola con il massimo piacere, e mi felicito a mia volta per la tua così giusta interpretazione dell'importanza che ho attribuito all'instaurazione della pace sulla terra e sui mari. Sono lieto di poterne dedurre che vi è ancora, nelle Gallie, la possibilità di trovare qualche dato sufficientemente veritiero sulla mia epoca.

Ho avuto, per contro, qualche difficoltà ad interpretare l'espressione «ministro della cultura», poiché vi si trovano due termini che non hanno un equivalente in latino. Ho comunque appreso, dagli esperti di Dialogus, che il ministro è un magistrato preposto ad uno specifico settore della vita pubblica, mentre la cultura non avrebbe alcuna relazione con lo sfruttamento dei terreni, ma indicherebbe, al di là di certe sfumature un po' più ambigue, qualcosa come l'insieme delle conoscenze d'un cittadino bene istruito.
Parrebbe dunque che immagini Gaio Mecenate come una specie di Prefetto dell'Annona, incaricato di fornire alla Città, non il rifornimento navale del frumento, ma l'approvvigionamento del sapere.

È un'idea suggestiva, ma non vedo come la si potrebbe mettere in pratica. Non si può, ovviamente, far crescere i poeti, i commediografi, gli storici e tutti gli altri scrittori, come le viti del Falerno, o allevarli come le murene nelle piscine delle nostre ville marittime. Questi artisti nascono e crescono da soli; scrivono quando ne hanno voglia, o quando riescono a percepire le voci delle Muse, e sono tutti terribilmente gelosi dei loro scritti.
Ho già raccontato altrove che Virgilio si era sempre rifiutato di farmi leggere qualsiasi, sia pur minimo, pezzo dell'Eneide prima di aver completato l'intero poema. Eppure mi era molto riconoscente per i grandi favori che gli avevo fatto, e sapeva bene che poteva sempre contare sulla mia amicizia e sul mio appoggio incondizionato. Nonostante questo, tutte le mie richieste e le mie preghiere vennero fermamente respinte, perché voleva evitare qualsiasi giudizio – anche un semplice complimento – prima d'aver ben rifinito il suo lavoro.
Gli altri autori della mia epoca non erano diversi. Sesto Properzio e Lucio Vario Rufo avevano gli stessi pudori di Virgilio. Publio Ovidio ha scritto molte opere con una licenza inusuale, pur avendo appreso che non lo reputavo opportuno, ma sapendo altresì che non doveva temere ch'io lo criticassi, poiché mi sarei ben guardato dall'interferire nella sua arte. Quanto a Gaio Cornelio Gallo, cui ero rimasto legato dall'amicizia fraterna che avevamo conservato fin dalla nostra giovinezza, egli ha sempre scritto le cose alla sua maniera, senza curarsi se vi era qualche aspetto che avrebbe potuto infastidirmi.
Purtroppo questi due ultimi personaggi sono stati entrambi spinti da qualche demone verso la propria perdita, nonostante la bellezza dei loro scritti (che rimangono degli autentici capolavori), per aver superato in altri campi i limiti delle nostre leggi.

Tutto ciò per farti comprendere che la grandezza di tutti gli artisti del mio secolo dipendeva soltanto dal loro genio, che né Mecenate né io stesso avevamo il potere di incrementare. Il mio amico Mecenate ha ovviamente avuto il grande merito di porre tali artisti nelle migliori condizioni per esprimersi al meglio delle proprie possibilità. Ma l'ha fatto spontaneamente, poiché, a partire dal mio rientro dall'Egitto, egli non aveva più ricevuto alcuna responsabilità politica ed era rimasto libero di dedicarsi anch'egli alle proprie passioni poetiche. Ho letto molti dei suoi versi, che dimostrano che aveva del talento, sebbene apparisse più interessato a sorprendere i suoi lettori con l'originalità delle sue invenzioni, piuttosto che a confidare i più profondi suoi sentimenti alla Musa.
In ogni caso, se non sono in alcun modo responsabile per i versi piuttosto bizzarri di Mecenate, non ho nemmeno alcun merito per i versi immortali di Virgilio, Orazio, Ovidio, Properzio, etc. Il mio solo merito nel campo letterario è stato, come l'hai percepito molto bene, quello di essere riuscito a spargere quella pace durevole che ha consentito ai migliori talenti di sbocciare.

Per quanto riguarda il temporaneo auspicio di Virgilio di distruggere l'Eneide, puoi trovare qualche ulteriore particolare nelle lettere sistemate in questa corrispondenza sotto il titolo «Imperatore · Eneide · Tiberio» (XXXIII-XXXIV).

Vale,

IMP. CÆS. AVG.


quebec

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