Il potere dell’impero



Loïc Julia      

Loïcus Juliatovich Lima suo Augusto s. d.

Potresti dirmi, o grande imperatore, su quali basi è fondato il potere politico dell’impero romano? Quali sono le direttive politiche dell’impero?
Rimango in attesa di una risposta favorevole …



Augusto      

L'Imperatore Cesare Augusto a Loicus, salve.

Le tue domande appaiono molto interessanti, ma non sono certo del significato esatto che hai inteso esprimere in esse. In effetti, utilizzi due volte la parola «impero» come se rappresentasse un’entità dotata di una propria personalità, d’un proprio potere e di una propria volontà politica.
Cos’è dunque questo «impero»? È la persona del principe, quale autorità più elevata nel quadro dell’impero? Oppure è lo stato romano, cioè il Senato ed il popolo di Roma, visto che è in loro nome che i Romani hanno fondato il loro impero?
In ogni caso, non potrei darti il mio parere su di un’idea dell’impero che non corrispondesse alla realtà che ho conosciuto. Ti risponderò allora parlando dell’impero del popolo romano e dell’attribuzione del potere in seno a tale impero.

Per i Romani, l’imperium indica innanzi tutto il diritto di comandare, così come la capacità di farlo. Quando un comandante in capo romano riportava un grande successo, le sue legioni l’acclamavano «imperator» , per proclamare ch’egli aveva dimostrato un’eccezionale capacità di comandare su di essi e di condurli alla vittoria. Lo stesso termine ha assunto, a partire da mio padre, un significato più ampio, poiché indica colui al quale viene conferita la responsabilità di esercitare un imperium più elevato degli altri su tutte le terre ed i mari della Repubblica.
La parola imperium, infine, indica anche l’insieme delle terre e delle popolazioni soggette alle leggi di Roma, cioè la stessa città di Roma, l’Italia, le province ed i regni tributari. È proprio ciò che si chiama normalmente l’impero romano.

Questo impero si è enormemente accresciuto, nell’arco dei sette secoli di Roma, passando dalla piccola città quadrata fondata da Romolo sulla sommità del Palatino, alla dominazione della parte più florida del mondo intero. Per governarlo, il Senato ed il popolo romano avevano tradizionalmente attribuito le funzioni ed i poteri più importanti ai due consoli ed ai pretori, che rimanevano tutti in carica durante un solo anno. Quando il numero delle province, le loro grandi distanze da Roma ed i problemi che occorreva risolvervi resero indispensabile una ben più lunga presenza di governatori romani, tale compito venne conferito a dei proconsoli e propretori. Si trattava di solito di ex consoli ed ex pretori che avevano il mandato di rimanere nella loro provincia per diversi anni con dei poteri equivalenti a quelli dei consoli e dei pretori.

Questo sistema avrebbe potuto ben funzionare se il Senato avesse potuto continuare ad esercitare un controllo rigoroso su tutti questi magistrati, come aveva fatto fintanto che gli impegni dei Romani erano rimasti più limitati. Ma quando i problemi divennero più complessi, la situazione peggiorò molto velocemente. I governatori iniziarono ad agire in piena autonomia, ciò che permise ai più disonesti di approfittare del proprio potere incontrollato per sfruttare le province ai propri fini. Tale tentazione, peraltro, diveniva sempre più forte, dato che queste magistrature erano attribuite per lo più ai senatori appartenenti ad un numero assi ristretto di grandi famiglie. Ad esempio, i nomi gentilizi più ricorrenti nei fasti consolari erano Cornelio, Valerio, Fabio, Claudio, Sulpicio, Emilio e Servilio. Vi era dunque una specie di rotazione fra i seggi del Senato e le magistrature più alte. Ciò induceva i senatori a garantirsi mutuamente la più grande libertà d’azione fintanto che essi detenevano i fasci del potere rimanendo oltremare, fuori dalla vista del popolo romano.

Questo degenerazione morale si aggravò sensibilmente in occasione delle guerre civili, quando l’appartenenza alla fazione della classe senatoria fu il pretesto per tentare di nobilitare le azioni più illegali ed i crimini più odiosi. Le conseguenze furono evidentemente molto gravi per la società romana e per la possibilità di ristabilirvi la concordia civile. Ma una conseguenza altrettanto grave ricadde sull’impero, poiché il comportamento rapace di molti governatori aveva tradito gli impegni che avevano tradizionalmente caratterizzato le relazioni fra Roma e le province. In effetti, come aveva chiaramente indicato il divo Romolo, tutte le guerre nelle quali i Romani erano chiamati a combattere non potevano concludersi che con un trattato di alleanza con gli ex nemici. Questa alleanza non doveva essere che un primo passo in direzione di una più durevole associazione di quei popoli al destino di Roma.

Ho avuto la possibilità di tener conto di tutte queste considerazioni quando pervenni a ristabilire la pace sulle terre e sui mari.
Da un lato, ho restituito al Senato il suo prestigio e la sua efficienza riducendo il numero dei senatori e richiedendo a coloro che si erano comportati in modo indegno di dimettersi spontaneamente. Nel contempo ho agevolato l’accesso alle carriere pubbliche agli uomini nuovi che avevano dato prova di altissime qualità.
Infine, ho lasciato al Senato la cura di governare le province più tranquille secondo il vecchio sistema dei proconsoli e dei propretori, ed ho riservato a me stesso la responsabilità delle altre province, laddove il rischio di situazioni critiche richiedeva un controllo più diretto e delle decisioni immediate (cosa che il Senato non aveva la possibilità di fare). Ho inviato in tali province dei legati, cioè dei magistrati che agivano in mio nome e che erano tenuti a mantenermi al corrente di tutti i problemi maggiori che incontravano.

Nel quadro più ampio dell’impero, i piccoli aggiustamenti che ho introdotto nelle istituzioni della Repubblica hanno apportato un ben maggiore cambiamento nell’atteggiamento delle province. Dopo tanti anni nei quali esse si erano sentite sfruttate da dei governatori stranieri, esse tornarono a considerarsi pienamente associate al popolo romano. Ciò venne agevolato dalla mia presenza nelle province in occasione di molteplici viaggi, che mostrarono che il principe del Senato non si occupava solo degli interessi del popolo romano, ma anche di tutte le altre popolazioni dell’impero.

Vale,

IMP. CÆS. AVG.


quebec

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