Riforme - Teutoburgo



Carolina Figini      

Vale, Imperatore!

Ho sentito dire che hai promosso una campagna di riforme agricole abbastanza importanti, ma no ho potuto verificare questa notizia nei miei libri di scuola. Si tratta di una battuta d'uno studente che non avrebbe saputo cosa rispondere alle domande del professore?

Carolina



Augusto      

L'Imperatore Cesare Augusto a Carolina, salve.

Anche se è solo per il piacere di conversare con me che mi poni questa domanda oziosa, ti risponderò molto volentieri, esattamente per lo stesso motivo. Mi hanno detto, infatti, che hai una singolare competenza su ciò che accade presso il popolo dei Seri, che vive nelle più remote regioni dell'Oriente, ben al di là di Taprobane e delle bocche del Gange. Quanto a me, non ho avuto che qualche contatto sporadico con quelle genti, che, nell'anno della consacrazione dell'Altare della Pace [Ara Pacis, n.d.t.] nel Campo Marzio, mi avevano inviato un'ambasciata con degli omaggi e delle offerte, come avevano fatto gli Indiani qualche anno prima.

Veniamo allora alla domanda sulle riforme agricole. Sarebbe stato forse possibile governare un mondo talmente complesso ed in rapida trasformazione, com'era il nostro Impero nel VIII secolo di Roma, e farlo per più di mezzo secolo, senza introdurre qualche riforma in ciascuna delle attività d'interesse pubblico? Ovviamente no.
Fin dal mio primo consolato, ho dovuto iniziare ad occuparmi delle riforme che si rendevano necessarie con urgenza. Subito dopo aver applicato la legge Pedia per sottoporre al vaglio della giustizia i crimini commessi dagli assassini di mio padre, ho ricevuto dalla legge Tizia il compito di riformare lo Stato in qualità di triumviro per la riorganizzazione della Repubblica. Ciò mi ha conferito dei poteri considerevoli, soprattutto nella regione dell'Italia e nelle province occidentali, di cui avevo la diretta responsabilità. Tuttavia, i miei primi interventi nel settore delle proprietà terriere sono risultati decisamente difficili, essendo avvenuti in un quadro di tensioni esasperate e di eventi drammatici. Te ne darò un breve riassunto.

Dopo la vittoria di Filippi, ho ricondotto in Italia i veterani che bisognava sistemare sui territori delle città municipali. Ma la Repubblica era ancora vittima delle agitazioni suscitate dalle fazioni di coloro che continuavano a combattere contro la Patria nell'illusione di poter così ripristinare i loro privilegi ancestrali. Lo scontento ch'essi suscitavano con le loro argomentazioni demagogiche finì per confondere sia la mente dei veterani, sia quella degli ex proprietari. I primi reclamarono l'assegnazione di tutti i terreni ch'erano stati loro promessi prima della campagna in Macedonia, gli altri chiesero una diversa ripartizione delle requisizioni ed il pagamento di somme molto elevate. Ora, le casse del pubblico tesoro erano vuote. Inoltre, i pirati che si erano impadroniti della Sicilia devastavano le coste d'Italia, mentre Lucio Antonio e Fulvia (cioè un fratello e la moglie di Marco Antonio; quest'ultima era anche mia suocera) organizzavano le loro legioni contro di me nell'Italia centrale. Occorreva dunque risolvere al più presto il problema dei veterani, per aver le mani libere contro le altre minacce. Per tale motivo feci comunicare alle municipalità ed ai proprietari che si trattava d'un caso di forza maggiore e che i terreni sarebbero stati immediatamente requisiti "manu militari" secondo quanto era stato previsto e ciò che sarebbe risultato necessario. Nell'esecuzione di questo ordine, vi fu qualche inevitabile eccesso, come accade nei periodi di disordini, quando non si può tutto mantenere sotto controllo.
Una vittima illustre di quegli espropri, che riguardarono fra gli altri il territorio di Mantova, fu il nostro caro Publio Virgilio, il cui terreno era laggiù. Fu lui stesso a raccontarmi quest'avventura tragicomica, molti anni dopo. Avendo la tenue speranza d'essere protetto dalla sua propria fama di poeta, egli espresse la sua fiera opposizione al centurione Arrio, incaricato di requisire la sua proprietà; ma costui non esitò ad impugnare il suo gladio. A quel punto, avendo visto il bagliore della lama e lo sguardo terrificante di colui che la brandiva, il povero Virgilio alzò i tacchi in un attimo. Inseguito dallo zelante centurione, egli poté concludere senza danni la sua fuga solo quando si tuffò nelle acque del Mincio, allontanandosi dalla riva con vigorose bracciate.

Ecco dunque i primi provvedimenti che presi per la ripartizione dei terreni agricoli. Naturalmente, fin dalla conclusione della guerra contro i pirati di Sicilia, feci estirpare la piaga dei briganti che infierivano nelle campagne, e vi feci ristabilire la sicurezza oltre alla piena legalità, ponendo rimedio alle iniquità che erano state commesse durante le guerre civili. Infine, dopo la vittoria navale d'Azio, avendo stabilito la pace in tutte le province dell'Impero, fui in condizione di mettere a punto le riforme più appropriate alle nuove esigenze della Repubblica. Lungo tutto il mio principato mi sono dedicato a questo compito, che ha dato dei risultati rimarchevoli in tutte le direzioni, inclusa quella della prosperità dell'agricoltura. Ho tuttavia osservato che lo sfruttamento agricolo tendeva a divenire sempre più fiorente nelle province, e sempre più languente in Italia. La nostra Penisola, in effetti, aveva sempre meno bisogno di coltivare essa stessa i prodotti che le pervenivano in grande abbondanza da oltremare. Si trascurava allora la coltura dei cereali, preferendo loro le vigne, gli alberi da frutta e, sempre più, i giardini. Per tale motivo, avevo abbozzato un progetto mirante ad incoraggiare la coltura delle terre per mezzo di alcune misure piuttosto impopolari, come l'abolizione delle distribuzioni gratuite di grano da parte del prefetto dell'Annona. Ma era difficile immaginare che il popolo di Roma avrebbe rinunciato per sempre a tali distribuzioni, la cui tradizione risaliva ai primi tempi della Città. Mi sono dunque limitato a dei provvedimenti più morbidi, intesi a salvaguardare gli interessi dei coltivatori, senza intaccare quelli dei commercianti né le attese del popolo.

Ma non ti annoierò con dei dettagli tecnici, che sono molto meno importanti del benessere che ne è derivato. D'altronde, è proprio grazie all'estensione ed all'efficacia delle mie riforme che tutti hanno pensato che ma frase "ho trovato una Città di mattoni e l'ho lasciata in marmo" dovesse essere interpretata in un senso più generale, relativo a tutto ciò che ho potuto costruire a favore del buon funzionamento dello Stato e di tutto l'Impero.

Vale,

IMP. CÆS. AVG.



Carolina Figini      

Caro Imperatore,

grazie della tua risposta così rapida ed interessante.
Il mio fidanzato, Aelius Solaris Marullinus cittadino di Nova Roma, m'ha pregato di porti una nuova domanda.
Perché, dopo la sconfitta di Teutoburgo, non hai deciso di inviare degli uomini al fine di recuperare le insegne delle legioni e nel contempo di punire Arminio per il suo tradimento?

Vale,
Carolina



Augusto      

L'Imperatore Cesare Augusto a Carolina, salve.

Nella sinistra foresta di Teutoburgo, le mie legioni non hanno subito una vera e propria "sconfitta" militare, perché questo termine sarebbe stato giustificato solo se esse avessero combattuto senza successo una battaglia contro gli eserciti di qualche nemico dichiarato del popolo Romano. Purtroppo, invece, esse non hanno avuto l'opportunità di combattere, avendo subito un orribile massacro in un'imboscata che era stata loro tesa, in seguito al tradimento di Arminio, da coloro che venivano considerati dei fedeli alleati ed amici del popolo Romano. Lo stesso Arminio, come altri principi germanici, aveva ricevuto da noi la cittadinanza in virtù del suo rango e dei buoni servigi ch'egli aveva reso alla Repubblica combattendo valorosamente al fianco dei Romani. Prima di tradire egli era dunque un cittadino Romano a tutti gli effetti, faceva anche parte dell'ordine dei cavalieri ed occupava un posto importante in seno alle nostre legioni.

Potrai allora comprendere che il disastro subito da Publio Quintilio Varo non potesse dar luogo a delle reazioni puramente militari, come delle rappresaglie immediate in Germania. Non bisogna immaginare il confine germanico come una linea al di là della quale vi erano solo nemici, poiché molte di quelle popolazioni avevano delle relazioni del tutto amichevoli con i Romani. Inoltre, purtroppo, la recente esperienza ci aveva mostrato che non si poteva nemmeno essere certi che coloro che avevamo accolto al di qua del confine, ed anche nelle nostre legioni e fra i nostri cittadini, fossero tutti degli amici affidabili. Di conseguenza, malgrado l'enorme dolore e la rabbia suscitati dalla perdita di tre legioni, occorreva agire con la più grande prudenza.
Avevo sempre sostenuto che un comandante militare dovesse sempre astenersi da ogni precipitazione, ch'egli dovesse "affrettarsi lentamente", e ch'egli avrebbe "fatto abbastanza presto, quello che avesse fatto bene". Ma mai il criterio della prudenza era stato così valido come in quella circostanza.

In ogni caso, per intraprendere una campagna militare in grande stile in quella regione, occorreva attendere il tempo necessario per la costituzione delle nuove legioni, dato che bisognava evitare di ricorrere ad importanti rischieramenti di altre legioni per non aprire altre falle che non avrebbero mancato di aumentare i nostri problemi. D'altra parte, come sempre, non avremmo dovuto intraprendere questa campagna che nel momento in cui avremmo avuto più da guadagnare in caso di vittoria, che da perdere in caso di sconfitta. Tutti sanno cosa penso di coloro che rischiano molto per guadagnare poco: sono come dei pescatori che si servono d'un amo d'oro, la cui perdita non potrebbe essere compensata da alcuna cattura di pesce.

Quali sono dunque state le mie reazioni, nell'autunno dell'anno del consolato di Sabino e Camerino, dopo aver ricevuto la terribile notizia che veniva dalla Germania?
Ebbene ho deciso di inviarvi al più presto possibile degli uomini, esattamente come l'ha immaginato il tuo fidanzato. Ma il mio scopo non era quello di recuperare immediatamente le insegne o di punire altrettanto presto Arminio. Quello che occorreva assicurare con immediatezza, era il dare la chiara evidenza della ripresa del controllo della situazione da parte dei Romani. Per tale motivo vi ho inviato mio figlio, che è rimasto laggiù per due anni; e poi, dopo un altro anno (quello del consolato di Germanico), vi ho inviato il figlio di mio figlio. A questo proposito, so che avete normalmente qualche difficoltà a chiarirvi tutte le relazioni di parentela che si sono allacciate nella mia famiglia. Ti ricorderò pertanto che avevo allora già adottato, da qualche anno, i primogenito di mia moglie Livia Drusilla, cioè Tiberio Giulio Cesare; e nel contempo avevo fatto adottare a quest'ultimo il mio pronipote Gaio Giulio Cesare Germanico, nipotino di mia sorella Ottavia e di mia moglie Livia.

Tiberio, come dicevo, rimase al comando delle legioni di Germania durante due anni. Con esse, egli varcò il Reno e condusse delle operazioni di dissuasione nei confronti delle popolazioni che sembravano le più ostili, allo scopo di ristabilire in quelle regioni il prestigio delle nostre armi e della maestà di Roma.
Quanto a Germanico, tutti conoscono le imprese di cui è stato capace nel seguito. Dopo aver domato un ammutinamento e ristabilito la disciplina, egli condusse nei territori oltre-Reno delle campagne militari molto importanti contro Arminio, con l'impiego delle sue legioni imbarcate, in gran parte, su di una flotta immensa che navigò sui grandi fiumi e sull'Oceano. In tal modo, egli riuscì, non solo a recuperare le insegne di Varo ed a battere Arminio, ma anche ad indurre tutte le popolazioni della Germania, dal Reno all'Elba, ad accettare la pace. Egli lasciò poi la condotta delle operazioni a suo fratello Druso, essendo stato richiamato a Roma per celebrare il suo trionfo ed assumere poco dopo il suo secondo consolato.

Vale,

IMP. CÆS. AVG.


quebec

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