Cristina Rodriguez

«Les Mémoires de Caligula»

edizioni JCL - Chicoutimi (Québec),
febbraio 2000


Prefazione


di DOMENICO CARRO

Per un gran numero di persone, Caligola, il tenero soprannome attribuito dai soldati di Germanico al suo figlioletto Gaio, è divenuto il nome aborrito di uno dei più feroci e rivoltanti "cattivi" del cinema hollywoodiano: un personaggio caricaturale, vestito da imperatore d'operetta, e la cui stupidità risulta ben più terrificante delle sua grottesca crudeltà.
Per coloro che sono sfuggiti a simili orrori cinematografici, il nome di Caligola non gode affatto d'una fama migliore, dato che la malevole descrizione del "mostro" scritta da Svetonio viene diffusamente ripresa nella maggior parte dei testi di storia posteriori a costui.

In realtà, la storiografia di quel periodo soffre di vastissime lacune e di vari fattori di distorsione della verità, come la perdita degli scritti di tutti i testimoni diretti della situazione di Roma sotto Caligola, la mancanza di informazioni attendibili, anche per gli storici dell'antichità [1], e l'attrazione provata da Svetonio per ogni genere di pettegolezzi, di dicerie e di maldicenze, ch'egli colleziona con avidità e sinistro compiacimento, senza curarsi di controllarne la veridicità laddove l'immagine dei Cesari, ch'egli disprezza, ne risulta infangata.
In tali condizioni, la nostra conoscenza degli eventi non potrebbe essere né completa né sicura.
Ma un'accettabile ricostruzione storica può comunque ottenersi seriamente, sulla sola base dei dati degni di fede: la situazione generale dell'impero, le indicazioni fornite nell'altro ritratto (quello del "principe") incluso nella biografia suetoniana [2] e le altre testimonianze di cui disponiamo, ivi incluse le evidenze archeologiche.

Gaio Cesare, soprannominato Caligola, è il terzo Cesare ed uno dei più giovani imperatori romani.
Ricevette il potere a 25 anni, verso la fine del VIII secolo di Roma, cioè nell'anno 37 dell'era volgare, quando il principato - inventato dal divino Augusto e timorosamente conservato da Tiberio (che non aveva nemmeno osato rimanere a Roma per esercitarlo) - era ancora ben lungi dall'essere accettato da tutti come un cambio definitivo delle istituzioni.
Molti membri delle grandi famiglie patrizie sognavano la restaurazione degli antichi poteri del Senato, per riappropriarsi dei loro precedenti enormi privilegi.
Il giovane imperatore aveva dunque un gran numero di insospettabili nemici che agivano nell'ombra per screditarlo, approfittando della sua giovinezza e delle sue debolezze, nell'attesa del momento favorevole per sbarazzarsi di questo principe ingombrante.

Gaio, che aveva una buona indole, non si è mai prefisso lo scopo di preservare la propria sicurezza a scapito del suo ruolo pubblico e della concordia civile. Le sue decisioni, fin dall'inizio del suo principato, mostrano chiaramente ch'egli voleva vivere in buona armonia con le varie fazioni contrapposte. L'ha dimostrato con un'amnistia generale e con il rifiuto di prestare ascolto ai delatori.

Inoltre, le sue iniziative nei confronti del suo seguito ci mostrano ch'egli non aveva alcuna tendenza dispotica, ma piuttosto ch'egli voleva assicurare la giusta dignità ai suoi prossimi ed al suo governo: ad esempio, deponendo le ceneri di sua madre e di suo fratello nel Mausoleo d'Augusto, prescegliendo il proprio zio Claudio come collega del suo primo consolato o anche allontanando finalmente un gruppo di persone le cui oscenità avevano già dato scandalo sotto Tiberio e che rischiavano di continuare, nel palazzo imperiale, ad offendere la moralità pubblica.

Parimenti, le misure ch'egli adottò per migliorare le istituzioni non hanno assolutamente nulla di tirannico, poiché esse andarono nella direzione della democrazia e della trasparenza: ripresa della consuetudine di Augusto di rendere pubblica la contabilità dello Stato; ripristino della libertà di giurisdizione ai magistrati, senza diritto d'appello all'imperatore; rimessa in vigore del sistema dei comizi, per ridare al popolo la sua voce attraverso il voto; restituzione della libertà di pubblicare le opere di tutti gli scrittori (anche quelle di cui un precedente decreto del Senato aveva ordinato la distruzione), poiché giudicava estremamente importante che la verità su tutti gli avvenimenti potesse essere trasmessa alla posterità.
Come avrebbe potuto, il povero Gaio, immaginare che un oscurantismo insensato ci avrebbe privato di tutte queste preziose testimonianze?

Per quanto concerne il governo dell'impero, Gaio ha immediatamente mostrato il suo scrupolo di ben fare, con uno slancio che doveva compensare i lunghi anni di ristagno sotto il regime di Tiberio.
I suoi contemporanei lo vedono dunque partire in viaggio per visitare le province, intraprendere delle grandi opere pubbliche nella scia di Augusto e riprendere anche qualcuno dei più importanti progetti di Giulio Cesare, quale quello dello scavo del canale di Corinto, che avrebbe assicurato un collegamento più diretto e veloce fra Roma e l'Oriente, soprattutto in inverno, poiché in tale stagione si era costretti di varcare l'Istmo cambiando nave o, talvolta, trasportando le navi per via terrestre.

Eccolo ancora impegnarsi in due imprese ... Prima sperimentò un enorme ponte di navi, lungo più di 5 km, realizzato presso la base navale di Miseno, probabilmente in vista di utilizzare tale tecnica per delle esigenze militari. In secondo luogo, condusse una campagna al confine del Reno e sull'Oceano, allo scopo evidente di verificare l'affidabilità delle legioni e della flotta, nel mentre dava un segnale di dissuasione, con le manovre dell'esercito e con la dimostrazione navale, per assicurare il rispetto degli accordi da parte delle popolazioni germaniche e britanniche.. Questa campagna, nella linea di quella d'Augusto in Oriente per stabilizzare le relazioni con i Parti, doveva garantire all'impero i benefici della pace a nord: è in tale spirito che il nostro giovane imperatore fece erigere a Boulogne un faro altissimo, per favorire il commercio marittimo nel Passo di Calais.
Svetonio, dal suo canto, vuole farci credere che Gaio era troppo pavido per marciare contro i Germani, mentre, con un'assoluta contraddizione, ce lo mostra più coraggioso d'ogni altro in due occasioni in cui l'imperatore decise di prendere il mare mentre la tempesta infuriava.

Siccome abbiamo qui sfiorato qualche aspetto navale, permettete al marinaio che è in me di aprire una breve parentesi su tale argomento, poiché Gaio, durante il suo così breve impero, ha certamente conferito un impulso formidabile alle costruzioni navali.
L'archeologia ci ha mostrato le due gigantesche navi del lago di Nemi, che risalgono proprio a tale periodo. Sebbene esse siano le più grandi navi in legno da noi conosciute negli ultimi due millenni, e benché vengano oggigiorno considerate come delle autentiche meraviglie di perfezione e di tecnologia, le altre fonti antiche non ne parlano nemmeno.
Ma occorre capire che si trattava di ben poca cosa nei confronti delle costruzioni navali che stupirono veramente i Romani: delle navi a dieci ordini di remi - con delle terme, dei portici, dei triclini, delle vigne e degli alberi da frutta - a bordo delle quali Gaio navigava al largo delle coste della Campania, ed una nave ancor più grande, che l'imperatore aveva fatto costruire per il trasporto dell'obelisco del Circo Vaticano e che Plinio il Vecchio considera il più mirabile di tutti i bastimenti che si siano mai visti sui mari [3]. Questa stessa nave venne poi utilizzata da Claudio come nucleo dell'isola artificiale sulla quale doveva erigere il grande faro del porto imperiale di Roma (ed essa dovrebbe essere ancora lì, sotto al porto di Fiumicino).

Agli occhi del popolo, Gaio è stato l'imperatore ideale. D'altronde egli stesso amava occuparsi del benessere del popolo, offrendo spettacoli e banchetti, facendo distribuire vestiti, alimenti, soldi, indennizzi per gli incendi, ecc. Si sarebbe potuto credere che questi provvedimenti gli avrebbero tutt'al più assicurato una grande popolarità. Ma non è così, poiché Gaio ha rappresentato per il popolo molto più d'un semplice demagogo: egli ne ha ricevuto un amore "immenso" (immensum civium amorem) [4]. Quando cadde gravemente malato, ognuno fece dei voti per la sua guarigione. Poi, dopo aver compreso tutto ciò che Gaio stava facendo a beneficio dell'Urbe e del suo impero, il popolo volle che il giorno della sua ascesa al potere fosse chiamato Palilia, come quello della fondazione di Roma, per riconoscere ch'egli aveva rifondato lo Stato.

Tutto ciò non è avvenuto che nei 3 anni, 10 mesi e 8 giorni durante i quali Gaio ha retto l'impero. In un lasso di tempo così breve, mentre egli si occupava accuratamente della cosa pubblica, egli si sarebbe abbandonato, secondo i suoi nemici, ad ogni sorta di follie, di crudeltà e di stravizi. I suoi detrattori avevano evidentemente un grande interesse a provare di sminuirne la reputazione; e ciò non si poteva fare che mettendo in circolazione dei pettegolezzi sulla sua vita privata, con delle distorsioni, delle amplificazioni e delle aggiunte il cui scopo era quello di rendere la sua immagine quando più possibile spregevole. Questo non bastò, tuttavia, per far mutare opinione al popolo. Fu allora che, a mezzo di alcuni cospiratori senza ideali, piuttosto dei sicari che dei congiurati politici, lo si eliminò.
Subito dopo, i senatori si riunirono sul Campidoglio, intenzionati a rimettere in vigore il vecchio sistema repubblicano. Ed essi vi sarebbero anche riusciti, se i pretoriani non avessero avuto il buon senso di affidare immediatamente il potere a Claudio, un uomo che aveva fino allora preferito i suoi studi agli allettamenti del potere. Da quel momento costui dimostrò le proprie capacità di governare, capacità che, in precedenza, solo suo nipote Gaio era stato capace di scorgere.

Ora, caro Lettore, occorre dimenticare questa prefazione, che non vuole essere altro che un leggero antidoto contro il veleno della disinformazione; e, dopo aver dato un'altra occhiata al volto così giovane e sorridente del vero Gaio, nulla dovrebbe impedirti di assaporare questa incantevole interpretazione delle memorie ch'egli avrebbe voluto lasciare a sua figlia.
Non è l'imperatore che parla: è l'uomo, che racconta la propria vita privata fin dall'infanzia, con le sue gioie e le sue sofferenze, la sua forza e le sue debolezze, i suoi calcoli ed i suoi sentimenti, le sue certezze ed i suoi momenti di smarrimento.
È l'uomo con tutta la sua umanità, così com'è stata percepita dalla grande sensibilità della mia carissima amica Cristina Rodriguez.


Roma, settembre 1999

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Note: (nel testo, le parti scritte in blu sono quelle d'interesse navale e marittimo)

1. Cfr. Dione Cassio, LIII,19.

2. Svetonio, Caligola 13-21.
Questa parte va giudicata degna di fede, tenuto conto del manifesto odio di Svetonio per Caligola: il biografo non avrebbe mai parlato così bene dell'imperatore se non vi fosse stato costretto da fatto che tutti questi aspetti erano ancora molto ben conosciuti dai suoi contemporanei.

3. Plinio il Vecchio, Storia naturale, XXXVI,70.

4. Svetonio, Caligola 14.


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