Convegno "Le memorie del comandante. Plinio da Como alla Campania"
(Bacoli, Napoli, 22-25 ottobre 2021)
organizzato nell'ambito delle celebrazioni del
bimillenario della nascita di Plinio il Vecchio

FORTES FORTUNA IUVAT!

Un’intrepida operazione navale di soccorso

di DOMENICO CARRO
SOMMARIO:


Note


Didascalie


Bibliografia
  1. Introduzione
  2. La ricostruzione storica
  3. Lo scenario
  4. L'ammiraglio
  5. L'emergenza
  6. La navigazione iniziale
  7. I punti di raccolta
  8. Le nubi ardenti
  9. Il successo dell’operazione
  10. Conclusione

Avvertenza: in questo breve saggio vengono illustrati sinteticamente alcuni dei punti salienti relativi alla ricerca effettuata dall'autore sull'operazione navale pliniana del 79, storicamente ricostruita e documentata in modo particolareggiato nel volume Quadriremi vs. Vesuvio pubblicato da L'Erma di Bretschneider (Roma - Bristol, 2021; 152 pagine) per la Collana Studia Archaeologica.
Questo breve saggio è stato pubblicato nella Rivista di Studi Pliniani, n. 1 (2022), pp. 270-288, pagine scaricabili qui:

© 2021 - Proprietà letteraria (copyright) di DOMENICO CARRO.

Privacy Policy
SOMMARIO ROMA MARITTIMA NAVIGARE NECESSE EST home

I. Introduzione

Le poche informazioni biografiche su Plinio il Vecchio redatte da suo nipote e figlio adottivo [1] sono contenute soprattutto in due lettere di risposta a specifiche domande formulate da due senatori: Bebio Macrone, che aveva richiesto l’elenco completo delle opere scritte dal celebre erudito [2], e lo storico Tacito, che aveva sollecitato l’amico Plinio il Giovane a scrivergli della morte dello zio [3]. Da tale lettera, i cui dati dovevano evidentemente contribuire alla redazione del libro delle Historiae relativo al principato di Tito [4], abbiamo appreso che quella morte avvenne nell’ambito di una missione condotta da Plinio il Vecchio, nella sua veste di comandante in capo della flotta imperiale di Miseno, per soccorrere le popolazioni costiere minacciate dalla catastrofica eruzione vesuviana del 79.

Che si sia trattato di una vera e propria operazione navale di soccorso, lo sappiamo da quella stessa lettera: operazione “navale”, perché affidata agli equipaggi dell’intera squadra di quadriremi della classis Misenensis; “di soccorso”, visto che fu proprio questo lo scopo della missione concepita dall’ammiraglio nel dirigersi con quelle navi verso l’ameno e popoloso litorale vesuviano [5], repentinamente attanagliato da un incubo impensabile, implacabile, atroce e funesto. L’estrema gravità del cataclisma vulcanico che seppellì gran parte della fascia marittima vesuviana – con Pompei, Ercolano, Oplonti e Stabia – conferisce un peculiare interesse ad indagare sull’intervento delle navi romane che in quel contesto hanno navigato e sulle cui vicissitudini non ci è purtroppo pervenuta alcuna testimonianza diretta.

SOMMARIO

II. La ricostruzione storica

Ai fini della ricostruzione storica dell’intervento navale, la nostra fonte letteraria primaria e pressoché esclusiva [6] è Plinio il Giovane con la citata lettera, la cui la narrazione, tuttavia, risulta ai nostri fini alquanto sommaria e lacunosa. Il problema non deriva, com’è stato sostenuto da autorevoli filologi, dalla reticenza dell’autore o dal suo intento di edulcorare artificiosamente il proprio racconto: l’analisi dell’onestà intellettuale di questa fonte storica ha infatti evidenziato l’assenza di qualsiasi motivo razionale che possa far dubitare della sua sincerità nel redigere le due lettere sull’eruzione [7]. I motivi della lamentata carenza sono più semplici e immediatamente riconoscibili. Innanzi tutto, Tacito non aveva chiesto cosa avessero effettuato le navi (essendo senatore e storico affermato, aveva una certa dimestichezza nel reperire gli atti ufficiali), ma solo qualche dettaglio sulla morte dell’ammiraglio [8]. In secondo luogo, le informazioni di prima mano sull’operazione erano state recepite da Plinio il Giovane quando era ancora diciottenne e, pur trovandosi a Miseno nella residenza dello zio, si era mostrato ben poco interessato alla spedizione navale [9]. Infine, erano trascorsi da allora perlomeno cinque lustri quando egli scrisse la sua lettera di risposta a Tacito [10]: occorre quindi fare i conti con i limiti della memoria umana, che viene ingannata dal filtro dello stato emotivo [11] ed è soggetta, nel lungo termine, a dimenticanze e involontarie distorsioni derivanti dalle reiterate rielaborazioni inconsce dei ricordi. Semplificando al massimo, gli effetti più vistosi sono i seguenti: vengono trascurati i dati soggettivamente marginali; si subiscono importanti perdite per oblio; permane una predominanza delle fasi iniziali e finali di una vicenda [12].

La ricostruzione storica dell’operazione navale condotta da Plinio il Vecchio può pertanto basarsi fondamentalmente sulla narrazione del nipote, purché venga tenuta presente la possibilità di lacune e involontari errori in tale preziosa testimonianza. Ad integrazione della nostra fonte letteraria primaria e di quel poco offerto da quelle secondarie [13], occorre ovviamente avvalersi dei dati desumibili dalla storia, dalla vulcanologia e dall’archeologia, così come da altre discipline correlate con le fonti storiche – letteratura, epigrafia, iconografia –, o con il passato – antropologia, tecnologia –, oltre a varie archeoscienze (ad esempio, paleobiologia, paleopatologia, paleogeografia, archeobotanica), nonché alla psicologia – non solo per i già citati comportamenti della memoria –, alla meteorologia, con particolare riferimento alle condizioni meteo-oceanografiche nel golfo di Napoli, alla nautica, incluse le pertinenti nozioni di astronomia per il calcolo del tempo, e senza trascurare l’arte del comando navale [14].

SOMMARIO

III. Lo scenario

Lo scenario di questa operazione navale fu notoriamente il golfo di Napoli durante la prima e più violenta delle eruzioni vesuviane avvenute in epoca storica. Sappiamo infatti che in tale periodo le eruzioni vesuviane furono una settantina, di cui una sola “pliniana” (VEI [15] 5-6; nel 79), due “subpliniane” (VEI 4; negli anni 472 e 1631) e le altre minori, ancorché tutte esplosive. Di queste, le tre ultime eruzioni più violente (VEI 2) sono state quella del 1872, che apparve spaventosa, quella del 1906 – la maggiore eruzione del ‘900 – e infine quella del 1944, che punì l’imprudenza degli Americani mettendo fuori servizio 88 bombardieri B52 sepolti dalla cenere. Le descrizioni delle eruzioni più violente e documentate, sia del Vesuvio (a partire da quella del 1631), sia di altri vulcani con caratteristiche similari, contribuiscono notevolmente alla comprensione di quanto si palesò davanti alle navi romane nel 79.

Fino al giorno dell’eruzione, il golfo di Napoli era considerato uno dei luoghi più importanti ed incantevoli dell’impero, presentando lungo la costa, a partire da Miseno, una serie pressoché ininterrotta di porti, strutture urbane, terme, ville marittime ed altri edifici, tanto da offrire l’aspetto di una città continua [16]. La particolare importanza dei porti del golfo era dovuta sia alla valenza strategica dei loro traffici marittimi nell’ambito del Mediterraneo (soprattutto per l’afflusso del grano dall’Egitto a Pozzuoli), sia alla straordinaria estensione dei propri commerci anche negli oceani, raggiungendo sotto il principato di Vespasiano il golfo del Bengala fino al Gange [17]; dei commerci con l’India aveva certamente beneficiato anche Pompei [18]. La parte del golfo di Napoli che venne direttamente colpita dall’eruzione fu la fascia marittima vesuviana, compresa fra le ville marittime a Nord-Ovest di Ercolano [19] e l’agglomerato residenziale di Stabia.

La linea di costa è mutata dall’antichità ad oggi, sia per effetto delle variazioni del livello del mare – soprattutto nei tratti della costa flegrea soggetta al bradisismo –, sia per varie modificazioni conseguenti al vulcanismo o al riversamento in mare di materiali piroclastici provenienti dalle maggiori eruzioni. Ciò nonostante, la conformazione generale del golfo e dei suoi fondali è rimasta a grandi linee la stessa, consentendoci di ritenere sostanzialmente applicabili anche all’antichità le nostre conoscenze relative alle condizioni meteo-oceanografiche locali stagionali – con particolare riguardo al moto ondoso, al regime delle correnti e della marea –, nonché al fenomeno occasionale del maremoto [20].

La conoscenza dello scenario è comunque collegata alla stagione in atto al momento dell’eruzione, e pertanto alla soluzione dell’annoso problema della data [21]. Il reperimento di due antichi graffiti appare aver definitivamente chiuso la questione, fissando l’inizio dell’eruzione al 24 ottobre, consentendo il conseguente calcolo esatto delle ore romane in quel giorno e permettendo altresì di verificare che si trattò di un normale giorno feriale, poiché la data non coincide con alcuna delle feste calendariali fisse, né con le nundine (i giorni festivi della pseudo-settimana di otto giorni dei Romani) [22].

SOMMARIO

IV. L'ammiraglio


Figura 1: base navale di Miseno

Nel 79 la marina da guerra romana aveva alle spalle oltre quattro secoli di vita come forza navale organizzata, ed aveva maturato 340 anni di esperienze belliche navali di grande rilievo, esercitando quel dominio del mare che aveva consentito a Roma di espandersi su tutte le rive del Mediterraneo ed oltre, fino alla Britannia, dopo aver sconfitto in battaglia navale, una dopo l’altra, tutte le più agguerrite ed esperte potenze navali dell’epoca [23]. All’avvento del principato, Augusto aveva conferito alle forze armate romane un assetto stabile, istituendo legioni e flotte permanenti schierate in funzione dei loro compiti strategici. In tale contesto, la flotta Misenense, creata con una buona metà della forza navale vittoriosa ad Azio, aveva il compito di proteggere Roma, l’imperatore e l’intero versante tirrenico della Penisola, oltre ad essere lo strumento navale di più immediato impiego per intervenire e operare in qualsiasi parte del Mediterraneo per la tutela della legalità e in caso di esigenze belliche. Una costante attenzione veniva riservata al golfo di Napoli ed alle acque contigue, per la presenza di numerose ville marittime imperiali disseminate sulle coste e sulle isole, oltre a vari altri obiettivi sensibili, come il porto di Pozzuoli e la cittadina di Baia, ritrovo abituale dei personaggi più in vista dell’Impero [24]. Al momento dell’eruzione, la flotta Misenense era un organismo già ultracentenario, con un’organizzazione ben collaudata e rispondente, e con un addestramento reso ottimale dalle ininterrotte attività operative e addestrative in mare e in porto.

Il comandante in capo della flotta imperiale basata a Miseno era il Plinio maggiore, detto “il Vecchio”, per distinguerlo dal nipote, e spesso chiamato “il Naturalista” a causa della sua enciclopedica Naturalis historia, la sola delle sue opere pervenuta fino a noi. In realtà, Gaio Plinio Secondo non era certamente un vegliardo – aveva solo 56 anni – ed era un uomo di valore, sia per le sue molteplici opere letterarie, ma anche per le esperienze militari acquisite nel più ampio contesto della carriera equestre. In particolare, nella sua vasta produzione letteraria vi erano ben 102 libri, con una netta prevalenza di quelli storici. Plinio era dunque soprattutto uno storico, e tale veniva considerato dagli antichi [25]. Quanto alla sua carriera equestre, essa avea incluso molte esperienze di comando militare, anche in attività belliche alquanto impegnative – contro i Germani, al confine sul Reno –, oltre a importanti esperienze giuridiche e amministrative, rendendolo particolarmente qualificato, agli occhi dell’imperatore, per incarichi di massima fiducia nelle province e nell’Urbe [26], prima di assurgere all’alto comando della maggiore flotta dell’Impero.

SOMMARIO

V. L'emergenza


Figura 2: avvistamento della nube

Il 24 ottobre del 79 l’ammiraglio si trovava – con la sorella e il nipote – nella propria residenza, in posizione dominante nel porto di Miseno (fig. 1). Da lì, verso l’ora settima, venne avvistata la nube gigantesca a forma di pino, anche se non ne risultò chiara l’origine (nemmeno osservandola dalla terrazza superiore della villa) [27], perché il Vesuvio era privo del cono vulcanico [28] ed era parzialmente coperto dal promontorio di Posillipo (fig. 2).

La conoscenza della data ci consente di verificare l’ora di inizio della fase “pliniana” dell’eruzione, manifestatasi con la tipica nube costituita dalla colonna eruttiva e dalla sua espansione a livello della stratosfera. Sappiamo che le ore romane non indicavano un istante preciso, ma un intervallo equivalente a un dodicesimo dell’arco diurno. Poiché, nel 79, il 24 ottobre calendariale corrispondeva al 25 ottobre astronomico [29], la hora septima designava l’intervallo 11.44 - 12.38. L’ora intera più vicina a quanto venne stimato dai presenti (ovvero poco dopo la culminazione del Sole, avvenuta alle 11.44) è mezzogiorno [30]. A tale orario va dunque ancorata la sequenza delle varie fasi dell’eruzione.


Figura 3: vento Africus

L’avvistamento della nube suscitò la curiosità scientifica dell’erudito, che ordinò di approntare una liburna (la più veloce delle unità della flotta) per potersi rapidamente avvicinare ad osservare quel fenomeno del tutto sconosciuto. Ma prima che l’ammiraglio salisse a bordo della liburna, giunse il messaggio della sua amica Rectina: la sua villa essendo sotto al Vesuvio, lei stessa non poteva fuggire se non per nave; atterrita dalla minaccia incombente, lo pregava di salvarla da quel pericolo così grave [31].


Figura 4: prime ceneri

L’arrivo di questo messaggio pone un duplice problema: come è stato inviato? E perché è stato inviato? Il messaggio non fu certamente portato da un messaggero, poiché nessuna via di fuga – terrestre o marittima – avrebbe potuto essere praticabile per un messo senza esserlo anche per Rectina. E allora? La soluzione l’ha ottimamente individuata Flavio Russo [32]: il messaggio è pervenuto da una stazione semaforica. Noi conosciamo l’aspetto delle torri semaforiche dai bassorilievi della Colonna Traiana e sappiamo che le comunicazioni ottiche furono utilizzate in epoca imperiale anche nel golfo di Napoli [33], ove doveva essere presente una rete di stazioni di segnalazione semaforiche (diurne e notturne) [34] intervallate in modo appropriato, così come molte analoghe torri costiere erano disseminate su varie altre coste del Mediterraneo [35].


Figura 5: isopache

Quanto al perché della richiesta di aiuto di Rectina, sappiamo che in tutte le ville marittime era disponibile del naviglio, da trasporto (per merci ed eventuale personale) e da diporto: tutti mezzi navali a vela, e quindi tutti dipendenti dalla direzione del vento. All’inizio dell’eruzione, il vento in superficie doveva quindi provenire da Libeccio, visto che impediva alle navi di salpare dalla costa vesuviana. Si trattava grosso modo dell’Africus della rosa dei venti romana [36] (fig. 3). Quel vento, tuttavia non rimase costante: durante la prima fase dell’eruzione la ricaduta delle prime ceneri verso Est mostra che il vento in quota doveva già essere ruotato da Ponente (fig. 4), anticipando la rotazione che poi si verificherà in superficie. Dall’Africus al Favonius. Poi, durante la prima parte della fase “pliniana”, le pomici bianche sono ricadute verso Sud-Est, mostrando una nuova rotazione del vento in quota (verosimilmente seguita, con qualche ritardo, dal vento in superficie). Dal Favonius al Corus.


Figura 6: rotazione del vento

Infine, nella seconda parte della fase “pliniana”, dopo le 19, le pomici grigie sono ricadute verso Sud-Sud-Est, sotto l’impulso di un vento di Maestrale che era presente sia in quota che in superficie, impedendo alle navi di salpare da Stabia (fig. 5). Dal Corus al Thrascias. Questa rotazione del vento in superficie di circa 90° in senso orario nell’arco di circa 6 ore (fig. 6) è perfettamente coincidente con quella che si verifica normalmente nel golfo di Napoli quando è presente il regime di brezza [37].

La lettura del messaggio di Rectina indusse Plinio a concepire una inedita operazione navale di “protezione civile”. Fece pertanto approntare le quadriremi (fig. 7) unità ben più capienti della piccola liburna, ma anch’esse molto veloci [38]. Dalle epigrafi del II-III secolo ne conosciamo una dozzina [39], ma è probabile che in epoca Flavia fossero anche più numerose [40]. Poiché quel 24 ottobre era, come abbiamo visto, un giorno feriale, gli equipaggi furono in condizione di prendere il mare molto rapidamente dopo l’ordine di Plinio.

SOMMARIO

VI. La navigazione iniziale


Figura 7: quadrireme (graffito)

Salpate da Miseno, che rotta dovevano assumere le quadriremi? Plinio avrebbe potuto farle irradiare affinché ciascuna di esse raggiungesse al più presto il tratto di costa assegnato. Tuttavia l’ammiraglio doveva prima avvicinarsi alla costa per verificare di persona a quali rischi avrebbe esposto i propri uomini. Plinio il Giovane ci conferma implicitamente che quella fu la rotta iniziale: “dritta la rotta e dritto il timone verso il pericolo” [41]. Si trattò dunque della rotta diretta verso il Vesuvio, ovvero verso Ercolano, che appariva quasi sotto alla colonna eruttiva a chi proveniva da Miseno. Con il Libeccio che girava a Ponente, le navi iniziarono a navigare con il vento in poppa. Data la progressiva rotazione del vento, superato il promontorio di Posillipo le navi proseguirono con il vento sempre molto favorevole, nei settori poppieri [42] di sinistra (fig. 8).


Figura 8: rotta delle quadriremi

Navigando con la prora in direzione del Vesuvio, gli equipaggi vedevano il “pino”, ovvero la colonna eruttiva che si innalzava sopra al vulcano ad un’altezza di gran lunga maggiore di quelle – già spaventose – che sono state fotografate durante le ultime tre più violente delle eruzioni esplosive del Vesuvio (1872, 1906 e 1944). In effetti essi avevano davanti agli occhi una colonna immane costituita da gas vulcanico, pomici, ceneri e frammenti di magma, che provocava una progressiva oscurità, esplosioni e terremoti, oltre ad una serie ininterrotta di fulmini, con lampi e tuoni, raggiungendo la quota della stratosfera: nella prima fase da 14 fino a 26 km per poi innalzarsi ancora, nella seconda fase, fino a 32 km di quota. Quell’inedito spettacolo era tale da incutere negli equipaggi un incoercibile terrore superstizioso, come quello che si verificò a Miseno nella successiva notte: “Vi era chi per paura della morte invocava la morte. Molti alzavano le braccia verso gli Dei; moltissimi affermavano che non c’erano più Dei, e che quella notte sarebbe stata eterna, l’ultima del mondo.” [43]. Quel terrore istintivo aveva contagiato anche lo stesso Plinio il Giovane: “…ero sostenuto dal pensiero – tanto deplorevole quanto consolante – che tutto sarebbe perito insieme a me.” [44]. Per dei timori molto minori, in tutte le epoche degli equipaggi si sono ammutinati, e ciò era accaduto anche nelle flotte romane, nonostante la ferrea disciplina militare [45]. Ma sulle quadriremi di Plinio non si registrò alcun panico. Durante quella navigazione lo stesso comandante in capo della flotta continuò ad ostentare la massima tranquillità, dettando al segretario le proprie osservazioni sull’eruzione in atto. Questo particolare non è affatto sorprendente poiché riflette l’atteggiamento più positivo che possa assumere un comandante navale in una situazione critica: essendo ovviamente consapevole di essere continuamente osservato dai suoi uomini (nei limitati spazi di bordo si vive necessariamente a stretto contatto di gomito), egli deve accentuare in modo credibile il proprio comportamento sereno e fiducioso, poiché qualsiasi sintomo di perplessità verrebbe immediatamente percepito e si ripercuoterebbe negativamente sul morale e sul rendimento dell’equipaggio [46]. Nel caso specifico, inoltre, l’attenzione di Plinio ai vari fenomeni che egli osservava verso prora non era banalmente ispirata dalla curiosità scientifica del “naturalista”, ma in primo luogo dallo scrupolo dell’ammiraglio nell’analizzare gli sconosciuti fenomeni che si verificavano in prossimità delle coste dalle quali doveva prelevare la popolazione in pericolo.

Qui si interrompe il racconto del nipote, perché subito dopo egli parla della caduta di cenere e pomici [47]; ma dalla vulcanologia noi sappiamo che nell’avvicinamento alla costa di Ercolano questo fenomeno non poteva affatto essere presente [48]. Questa nuova scena descritta da Plinio il Giovane si riferisce dunque alla fase finale della navigazione dello zio, davanti a Pompei. Tale anomalia discende evidentemente dai già descritti limiti della memoria umana. Per colmare questa rilevante lacuna nella sequenza degli eventi possiamo comunque beneficiare del valido aiuto dell’archeologia.

SOMMARIO

VII. I punti di raccolta

Le navi giunsero dunque davanti ad Ercolano. A quel punto, vista l’assenza di pericoli imminenti, Plinio deve aver disposto che le sue navi navigassero indipendentemente per raggiungere i tratti di costa ad esse assegnati: mentre le prime dovevano occuparsi di Ercolano, poche altre avrebbero dovuto controllare il litorale a Nord-Ovest, ove erano presenti alcune importanti ville marittime, mentre tutte le altre dovevano proseguire lungo la costa vesuviana verso Sud-Est, per le esigenze esistenti al di là di Ercolano fino alle acque di Pompei.

Per poter celermente trarre in salvo delle persone in pericolo su di un ampio tratto di costa, il metodo più razionale è quello di prestabilire degli idonei punti di raccolta nei siti più adatti ad effettuare gli imbarchi in sicurezza. Conoscendo l’indiscussa fama dei Romani come maestri dell’organizzazione operativa e logistica, potremmo dare per scontato che fra le predisposizioni adottate da Plinio prima della partenza, dopo essersi consultato con il suo stato maggiore, vi sia stata anche l’indicazione dei punti in cui sarebbero avvenuti gli imbarchi e sui quali occorreva pertanto far confluire i fuggiaschi. Tali decisioni avrebbero poi dovuto essere comunicate alle varie stazioni semaforiche per farne diffondere celermente la notizia affinché gli interessati si raggruppassero come necessario. Ora noi non possiamo sapere se delle direttive di questo tipo siano realmente state impartite e divulgate, ma le evidenze archeologiche lasciano capire che degli appropriati punti di raccolta si siano effettivamente costituiti (forse in adesione a qualche direttiva, oppure spontaneamente) in corrispondenza delle principali città costiere, degli agglomerati urbani o di gruppi di ville marittime. Ad esempio, un paio di punti di raccolta potrebbero essere stati costituiti davanti alle ville marittime presenti ai due lati di Ercolano [49], poiché tutte sono rimaste praticamente prive di vittime [50]. Ma i casi più evidenti di raggruppamenti di fuggiaschi sono i siti costieri nei quali sono stati rinvenuti i resti di numerose persone che, portando con sé i loro piccoli tesori personali in gioielli e monete, erano in attesa di essere tratte in salvo via mare [51]: di tali punti di raccolta, l’archeologia ne ha individuati tre.


Figura 9: Ercolano

Per evacuare la città di Ercolano, il ben noto punto di raccolta dei fuggiaschi fu la spiaggia davanti alla terrazza di Nonio Balbo. La popolazione, uscita ordinatamente da Porta Marina, era scesa lungo la rampa fino alla terrazza e dalla terrazza giù per le scale fino alla spiaggia, riparandosi sotto alle profonde arcate (dette fornici) normalmente usate dai pescatori (fig. 9). Un pontile lì esistente deve essere stato utilizzato dalle lance delle quadriremi per imbarcare gli Ercolanesi a piccoli gruppi e portarli a bordo.


Figura 10: imbarcazione

La scoperta dei resti di una di quelle imbarcazioni colpita dalla prima delle nubi ardenti sembra dimostrare che essa fu lasciata lì in attesa del ritorno della propria quadrireme, recatasi a sbarcare un’aliquota di sfollati prima di effettuare un altro intervento (fig. 10). Il militare armato di gladio e pugnale rinvenuto vicino all’imbarcazione era evidentemente un classiario della flotta, addetto al servizio d’ordine necessario per disciplinare gli imbarchi. È possibile che anche l’ultima vittima rinvenuta lì vicino pochi giorni fa [52], fosse un altro uomo della flotta. L’ultimo imbarco dei fuggiaschi fu impedito dall’arrivo della prima nube ardente – verso mezzanotte – che provocò la morte istantanea dei rimanenti 311 Ercolanesi che si trovavano ancora nei fornici, in attesa dell’ultimo ritorno delle quadriremi, mentre solo una trentina di altri abitanti era rimasta in città [53].


Figura 11: Oplonti

Un secondo punto di raccolta certo è stato invece identificato ad Oplonti. Di questo agglomerato urbano conosciamo le terme e quattro ville marittime [54], tutte prive di vittime tranne quella più orientale (fig. 11). Si tratta del complesso residenziale e commerciale di Lucio Crasso Terzo, che era probabilmente stato prescelto come punto di raccolta dei fuggiaschi per la disponibilità di migliori pontili di ormeggio. In un ambiente sono stati infatti rinvenuti i resti di 54 persone con i loro averi in gioielli e monete, in evidente attesa del soccorso navale ancora in atto al momento dell’arrivo della nube ardente [55].


Figura 12: Pompei

Il terzo punto di raccolta ancora attivo al momento dell’arrivo delle nubi ardenti era collocato presso il porto marittimo di Pompei. L’antica conformazione della foce del Sarno prima degli sconvolgimenti provocati dall’eruzione del 79 è tuttora incerta, ma parrebbe aver incluso un porto marittimo in contrada Bottaro e un approdo fluviale in località Murecine (fig. 12). In contrada Bottaro, nell’area dell’emporio commerciale del borgo marinaro (Pagus maritimus), sono state rinvenuti i resti di 81 sfollati con i loro averi più preziosi, insieme ad un probabile ufficiale della flotta, apparentemente in attesa del ritorno della propria quadrireme [56].

Quando anche la nave ammiraglia giunse al largo della foce del Sarno, grosso modo nell’area della Petra Herculis (scoglio di Rovigliano), iniziarono i primi sconvolgimenti che accompagnarono il tormentato periodo delle pomici grigie. Alcuni di questi fenomeni sono stati riferiti da Plinio il Giovane: la caduta di una pioggia di cenere calda, pomici e lapilli; l’inizio di terremoti molto violenti e del primo maremoto; il verificarsi di un’imponente frana costiera (ruina montis); la comparsa di una secca improvvisa (vadum subitum). Non era dunque più possibile avvicinarsi al punto d’imbarco per controllare se vi fossero ancora fuggitivi da prelevare. Viste le condizioni proibitive, occorreva forse interrompere la missione e rientrare al più presto a Miseno, come suggerì l’ufficiale di manovra della quadrireme? L’ammiraglio invocò la dea Fortuna, che aiuta i coraggiosi: diede libertà di manovra alle altre navi (per farle tornare alla base) e proseguì verso Stabia con spirito eroico [57].

SOMMARIO

VIII. Le nubi ardenti


Figura 13:ville more Baiano

A Stabia approdò in prossimità della villa di Pomponiano. Questa doveva essere costruita secondo il criterio adottato a Baia (more Baiano) [58] e diffuso su tutte le coste del golfo di Napoli, e poi anche altrove: ville addossate ad una scarpata e digradanti verso il mare (fig. 13). Ebbe certamente questa conformazione la c.d. Villa Arianna, ma lo stesso può dirsi per tutte le grandi ville marittime di Stabia [59], allineate sul ciglio del pianoro di Varano (fig. 14). Noi non sappiamo quale di queste ville appartenne a Pomponiano, ma essa doveva essere costruita more Baiano, con splendida vista dall’alto, con l’accesso diretto al mare tramite rampe e scale, e con il livello più basso, davanti alla spiaggia, costituito da una serie di arcate non dissimili dai fornici di Ercolano. È importante tener ben presente questo imponente sviluppo in verticale per meglio comprendere diversi aspetti di ciò che avvenne.


Figura 14: Stabia

Il vento da Maestrale, che aveva impedito la partenza delle navi di Pomponiano non sarebbe stato un problema per la quadrireme di Plinio, in grado di navigare solo a remi anche contro vento. Ma lo stato del mare, sconvolto dal maremoto [60], rese necessario rinviare la partenza al mattino seguente. L’attesa dell’alba doveva apparire come una soluzione idonea, perché con il regime di brezza le ore mattinali sono quelle più propizie per salpare, approfittando del vento che spira da terra verso il mare. Tuttavia quella fu la notte più terribile per tutti i fenomeni associati all’eruzione. Le prime nubi ardenti colpirono Ercolano verso mezzanotte provocando la morte istantanea dei 311 Ercolanesi di cui abbiamo parlato. A Stabia vi furono solo terremoti violentissimi e pioggia di pomici grigie. Le successive nubi ardenti raggiunsero anche Oplonti e Pompei, mentre solo l’ultima si avvicinò a Stabia dal mare, raffreddandosi. La grande diversità dell’impatto dell’eruzione sui principali siti colpiti risulta evidente dalla stratigrafia dei depositi vulcanici (fig. 15): i depositi dei flussi piroclastici (in rosso) hanno dei livelli totali estremamente diversi fra Ercolano, Oplonti e Pompei; a Stabia solo pomici, cenere sottile e lapilli.


Figura 15: stratigrafia

A prima mattina, mentre la casa di Pomponiano pareva prossima a crollare a causa della violenza del terremoto, Plinio scese alla spiaggia con l’amico, sotto la fitta gragnola di pomici, e constatò che il mare permaneva proibitivo per la navigazione. Si assicurò che Pomponiano e tutti gli altri proseguissero a piedi verso l’entroterra per allontanarsi dal pericolo, mentre lui stesso, essendo esausto e sofferente, si riparò sotto una delle arcate [61] affacciate sulla spiaggia e utilizzabili come rimessa per le barche e le relative attrezzature marinaresche. Non si coricò su di un lenzuolo, come viene spesso tradotto linteum, ma su una vela [62], la cui presenza in quel luogo è ben comprensibile. L’arrivo dell’ultima nube provocata dal collasso totale della colonna eruttiva dovrebbe corrispondere all’evento visto anche da Miseno, come “nube nera ed orrenda” (nubes atra et horrenda) [63]. La nube non era pericolosa per la temperatura, essendosi raffreddata sul mare, ma soffocò Plinio [64], mentre gli uomini del suo staff ed anche i giovani servitori che erano con lui riuscirono a mettersi in salvo risalendo di corsa ai piani alti della villa.

Due giorni dopo le navi di Miseno tornarono in mare e raggiunsero Stabia, ove trovarono Plinio intatto ed illeso, come se fosse solo addormentato [65]. Tale notizia riferita dal nipote lascia anche capire che l’ammiraglio poté ricevere le onoranze funebri presso la base navale con l’appropriata solennità.

SOMMARIO

IX. Il successo dell’operazione

Il felice esito dell’operazione delle quadriremi è suggerito da molteplici indizi. Innanzi tutto il ritorno alla base della squadra delle quadriremi va considerato certo, sia perché un ipotetico naufragio non avrebbe potuto essere ignorato da Tacito [66], né sarebbe passato totalmente sotto silenzio nei suoi scambi epistolari con Plinio il Giovane, e nemmeno sarebbe stato tralasciato dagli autori di certa letteratura apocalittica o apocalitticizzante [67]. D’altronde, anche la conoscenza di vari particolari di quanto avvenne a bordo della quadrireme ammiraglia nelle fasi iniziali e finali della sua navigazione è una prova evidente della sopravvivenza anche di questa unità navale, o perlomeno del suo equipaggio.

In secondo luogo, lo scopo dell’operazione – ovvero la messa in sicurezza del maggior possibile numero di sfollati – risulta confermato dall’elevatissima percentuale di sopravvissuti a Pompei (meno di 2000 deceduti su circa 20.000 abitanti) e ad Ercolano (circa 330 deceduti su 5000 abitanti), così come dall’esiguo numero di vittime rimaste nei tre punti di raccolta. Per quanto concerne Stabia, che pur è stata presa in considerazione solo quale meta ulteriore, in quanto ai limiti della costa direttamente minacciata dall’eruzione, l’operazione navale non ha potuto essere completata solo per causa di forza maggiore. La salvezza di Pomponiano e dei suoi è comunque implicitamente comprovata dal racconto di Plinio il Giovane, che descrive in dettaglio ciò che è avvenuto in quella casa e non accenna ad alcun epilogo tragico per l’amico di suo zio.

Infine, il successo dell’operazione di soccorso appare convalidato da due epigrafi. Dalla prima è possibile desumere la comparsa a Napoli di un nuovo quartiere degli Ercolanesi (Regio Herculanensium), verosimilmente abitato dai profughi provenienti da Ercolano [68]. Sulla seconda epigrafe si parla invece del ritorno di Rectina. Data la rarità di questo cognome, l’amica di Plinio risulta in effetti identificabile con Salvia Rectina, una facoltosa domina, appartenente alla gens Salvia, con possedimenti terrieri fra Sannio ed Apulia [69]. A Morrone del Sannio è stata rinvenuta un’ara votiva con questa eloquente iscrizione: “Gaio Salvio Eutico sciolse il voto ai Lari della casa per il ritorno della nostra Rectina” [70].

SOMMARIO

X. Conclusione

L’intervento delle quadriremi condotte da Plinio il Vecchio fu, a tutti gli effetti, una vera e propria operazione navale di soccorso e, come tale, fu caratterizzata dalla necessità di fronteggiare un’emergenza improvvisa, attribuendo la massima priorità al salvataggio di persone in imminente pericolo di vita e accettando pertanto un livello di rischio più elevato di quello abituale.

Di fronte all’improvvisa emergenza provocata da un fenomeno mai visto, Plinio ha immediatamente adottato una linea d’azione nuova ed appropriata. Sotto la direzione carismatica del loro ammiraglio, gli equipaggi hanno navigato risolutamente e professionalmente verso un pericolo sconosciuto e terrificante. I classiari hanno operato eroicamente per strappare al Vesuvio quelli che si trovavano sotto la minaccia dell’eruzione, e ne hanno salvati un gran numero. I soccorritori hanno potuto adattare le loro azioni ai pericoli che potevano percepire o sospettare, fino all’arrivo delle inimmaginabili nubi ardenti.

Con questa operazione di soccorso estremamente rischiosa, condotta con intrepido coraggio nel contesto di un cataclisma colossale provocato dalla più potente e distruttiva delle eruzioni vesuviane avvenute in epoca storica, Plinio non ha solo fornito il primo esempio di intervento di una forza navale per finalità di protezione civile, ma ha anche scritto una delle pagine più luminose della storia navale e marittima dell’umanità

SOMMARIO ROMA MARITTIMA NAVIGARE NECESSE EST home

Note:

[1] Plin. epist. 5, 8, 5.

[2] Plin. epist. 3, 5.

[3] Plin. epist. 6, 16. Nella seconda lettera sull’eruzione (Plin. epist. 6, 20) non viene detto più nulla su Plinio il Vecchio, ma vengono descritti fenomeni che si sono ripercossi anche sulla missione di soccorso.

[4] Dovrebbe trattarsi del perduto libro VIII delle Historiae di Tacito, redatto grosso modo negli anni 106 o 107, che corrispondono all’epoca in cui vennero scritte le due lettere di Plinio il Giovane sull’eruzione

[5] Plin. epist. 6, 16, 9: multis – erat enim frequens amoenitas orae – laturus auxilium.

[6] L’altra fonte biografica è Svetonio, che, nella sua sinteticissima Vita Plinii Secundi, attribuisce a Plinio il Vecchio una semplice navigazione esplorativa (con una liburna), alla quale l’ammiraglio invece rinunciò prima ancora di salpare, non appena ricevette la richiesta di aiuto di Rectina (Plin. epist. 6, 16, 7-8).

[7] Per l’analisi di questo importante aspetto: Carro 2021, pp. 10-17.

[8] Petis ut tibi avunculi mei exitum scribam (Plin. epist. 6, 16, 1); de morte avunculi mei scripsi (Plin. epist. 6, 20, 1).

[9] Aveva fin dall’inizio declinato l’invito ad accompagnare lo zio in mare, preferendo rimanere a studiare.

[10] V. nota 4.

[11] Plinio il Giovane era stato traumatizzato “dalle ansie e dai pericoli affrontati” durante l’eruzione, ed al cui ricordo egli ancora inorridiva quando scrisse a Tacito: animus meminisse horret (Plin. epist. 6, 20, 1).

[12] Esame della problematica con riferimenti alle fonti specialistiche: Carro 2021, pp. 17-21.

[13] Carro 2021, pp. 9-10, nonché pp. 14-15 (per Svetonio).

[14] Per una bibliografia sui pertinenti riferimenti alle predette discipline: Carro 2021, pp. 117-133.

[15] VEI è l’indice di esplosività vulcanica (volcanic explosivity index). Vengono definite “pliniane” le eruzioni esplosive con caratteristiche corrispondenti alla descrizione che ne ha dato Plinio il Giovane.

[16] Strab. 5, 4, 8.

[17] Per la grande strategia marittima di Roma nell’alto Impero: Carro 2019, pp. 267-289.

[18] Commercio testimoniato dal ritrovamento della nota statuetta indiana (ibid. pp. 223-225).

[19] Fino all’odierno quartiere napoletano di S. Giovanni a Teduccio (Carro 2020, p. 162).

[20] Carro 2021, pp. 57-61 per onde, correnti e maree; p. 88 per i maremoti.

[21] La lettera pliniana è stata trascritta sui codici medievali con discrepanze e imperfezioni sulla data, che può essere letta secondo molteplici interpretazioni comprese fra il 24 agosto e il 23 novembre.

[22] Calcoli presenti in Carro 2021, pp. 49-54.

[23] Per la storia navale e marittima di Roma fino all’avvento dell’Impero: Carro 2003, voll. I-VIII.

[24] Per maggiori dettagli sul ruolo della flotta: Carro 2017, pp. 398-401; Carro 2019, pp. 47 e 51-62.

[25] Anche Plinio il Giovane pone in rilievo al ruolo di storico dello zio (Plin. epist. 5, 8, 5).

[26] Era stato procuratore dell’imperatore (procurator Augusti) in varie province: forse Gallia Narbonense, Africa proconsolare, Spagna Tarragonese e Gallia Belgica. A Roma (Plin. epist. 3, 5, 9) egli aveva probabilmente rivestito la carica di comandante dei vigili (praefectus vigilum), corpo armato che provvedeva alla sicurezza dell’Urbe. Sulla carriera equestre di Plinio: Carro 2021, pp. 46-48.

[27] Plin. epist. 6, 16, 4-5.

[28] Sull’antica forma del Vesuvio: Carro 2021, pp. 31-33.

[29] Il calendario giuliano aveva conteggiato come bisestile l’anno secolare 800 AUC (47 d.C.), introducendo il primo dei dieci giorni di sfasamento che saranno poi rimossi nel ‘500 dalla riforma gregoriana.

[30] Calcoli più particolareggiati in Carro 2021, pp. 53-54.

[31] Plin. epist. 6, 16, 8.

[32] Russo, Russo 2004, pp. 122-123.

[33] A Capri pervennero da lontano dei segnali con notizie importanti per Tiberio (Suet. Tib. 65, 5).

[34] lle segnalazioni diurne con aste mobili accenna Vegezio (Veg. mil. 3, 5).

[35] Ad esse accenna Plinio il Vecchio (Plin. nat. 2, 181).

[36] Includeva dodici venti, intervallati di 30° (Plin. nat. 2, 119; Veg. mil. 4, 38).

[37] Per le condizioni meteo-oceanografiche nel golfo di Napoli e le relative fonti specialistiche (studi condotti soprattutto a cura di ricercatori dello storico Istituto Universitario Navale, di Napoli, poi denominato Università degli Studi di Napoli “Parthenope”): Carro 2021, pp. 57-61.

[38] I Romani avevano scoperto come si potessero costruire delle quadriremi estremamente veloci nel corso della I guerra Punica (Pol. 1, 46-47) e avevano fin da allora progettato le proprie costruzioni navali applicando gli stessi criteri (Pol. 1, 59).

[39] Annona, Concordia, Dacicus, Fides, Fortuna, Libertas, Mercurius, Minerva, Salus, Venus, Vesta, Victoria (Carro 2003, vol. XI, pp. 191-207).

[40] Fino ad una decina di anni prima dell’eruzione la flotta Misenense includeva ancora numerose quinqueremi (e quindi molte più quadriremi, in proporzione) visto che la progettata fossa Neronis doveva consentire addirittura alle quinqueremi di incrociarsi vogando in senso opposto (Suet. Nero 31, 5).

[41] rectumque cursum recta gubernacula in periculum tenet (Plin. epist. 6, 16.

[42] Gran lasco o lasco

[43] Plin. epist. 6, 20, 14-15.

[44] Plin. epist. 6, 20, 17.

[45] L’episodio più recente era stato l’ammutinamento degli equipaggi della flotta di Claudio, che si erano opposti per qualche tempo alla traversata verso la Britannia, nel 43 d.C., per timori ben poco giustificabili (Cass. Dio 60, 19, 2), visto che Giulio Cesare aveva già fatto effettuare alle sue flotte due identiche traversate meno di un secolo prima (nel 55 e 54 a.C.).

[46] È singolare notare che tale criterio – valido in tutti i tempi – era specificamente raccomandato nella trattatistica militare coeva di Plinio il Vecchio, come si vede in uno specifico passo dello Strategikos di Onasandro (Onas. 13, 1-3).

[47] Plin. epist. 6, 16, 11.

[48] Ercolano, come si vede dalla stratigrafia, fu pressoché esente da tali ricadute.

[49] Fuori città avrebbe dovuto trovarsi la villa di Rectina: “quel subiacebat che la pone non alle falde, come impropriamente si è tradotto, ma alle ime radici del monte, quel nec ulla nisi navibus fuga che indica chiaramente trattarsi di una villa marittima e d’una villa che trovavasi nel centro del cataclisma eruttivo” (Maiuri 1941, p. 141).

[50] A Nord-Ovest di Ercolano sono state rinvenute la villa dei Pisoni (c.d. villa dei Papiri), cinque ville a Portici (ville del largo Arso, della Riccia, del convento dei Gesuiti, dell’Epitaffio, delle Scuderie Reali) e una villa a S. Giovanni a Teduccio; a Sud-Est, nell’area di Torre del Greco, villa Breglia (in contrada Calastro, nell’attuale rione Raiola), villa Sora (nell’omonima contrada) e la raffinata villa detta “Terma Ginnasio” (in località Ponte di Rivieccio).

[51] La loro attesa lascia capire che essi fossero al corrente dell’operazione navale di soccorso già avviata: «Se mai si osservano molte persone radunate ad una fermata di autobus non è perché questi non circo-lano, come durante degli scioperi, ma per il contrario!» (Russo, Russo 2004, p. 137).

[52] La scoperta è stata annunciata dall’ANSA (Scoperta a Ercolano, ritrovato lo scheletro dell’ultimo fuggiasco, a firma di Silvia Lambertucci) il 15 ottobre 2021, ovvero sette giorni prima dell’apertura del convegno “Le memorie del comandante. Plinio da Como alla Campania” (Bacoli, Napoli, 22-25 ottobre 2021).

[53] Carro 2021, pp. 76-80.

[54] Da Ovest verso Est, villa del Parnaso, villa di Gaio Siculi, villa di Poppea (c.d. villa A) e villa di Lucio Crasso Terzo (cd. villa B), dotata di magazzini al piano terra per il travaso e lo smercio dell’olio e del vino.

[55] Ibid. pp. 81-82.

[56] Ibid. pp. 82-83.

[57] Plin. epist. 6, 16, 11.

[58] All’inizio dell’epoca augustea, non essendovi più la minaccia dei pirati sulle coste della Campania, le ville costruite sulle alture attorno al lago di Baia iniziarono ad espandersi verso il basso fino a raggiungere il mare (Carro 2020, pp. 152-158). L’espressione more Baiano è stata utilizzata da Plinio il Giovane per indicare questa tipologia di costruzione adottata per due sue ville sul lago di Como (Plin. epist. 9, 7, 3).

[59] Esse sono convenzionalmente denominate, da Ovest verso Est: villa Arianna, villa “Secondo Complesso”, villa del Pastore, villa San Marco e villa del Fauno.

[60] Plin. epist. 6, 20, 9.

[61] Non rimase certamente all’aperto, perché altrimenti l’avrebbero trovato sepolto sotto le pomici.

[62] Plinio il Giovane ha usato linteum per dire vela, come avevano fatto Orazio – cfr. Lintea vero vela dixit (Ps. Acro carm. 1, 14, 9) – e Virgilio: Hor. carm. 1, 14, 9 e 4, 12, 2; Verg. Aen. 3, 686.

[63] Plin. epist. 6, 20, 9 e 11.

[64] Preannunciata da lampi e da un odore di zolfo che indusse tutti a fuggire, essa doveva contenere anche monossido di carbonio e anidride carbonica (Plin. epist. 6, 16, 18-19).

[65] Plin. epist. 6, 16, 20.

[66] Ad esempio egli aveva riportato il naufragio di alcune unità della flotta Misenense che, 15 anni prima, erano state investite dalla tempesta mentre stavano per rientrare alla base (Tac. ann. 15, 46).

[67] Carro 2021, pp. 98-99.

[68] CIL 10, 1492.

[69] Carro 2021, pp. 65-66 e 101-102.

[70] CIL 9, 725.

SOMMARIO ROMA MARITTIMA NAVIGARE NECESSE EST home

Didascalie delle illustrazioni

FIGURA 1. Pianta della base navale di Miseno: 1) cisterna (Piscina Mirabile); 2) ponte mobile (pons ligneus); 3) presunta residenza dell’ammiraglio; 3a) altra villa marittima; 4) teatro; 5) Sacello degli Augustali; 6) terme; 7) cisterna (grotta della Dragonara) e Villa imperiale; 8) probabile fanale e semaforo marittimo (“specola misenate”); 9) probabile torre di guardia; 10) resti sommersi delle pilae di sostegno dei moli e di un lungo tratto di banchina addossato alla penisola Pennata (disegno D. Carro).

FIGURA 2. Posizione della nube a forma di pino (colonna eruttiva “pliniana”) avvistata dalla residenza dell’ammiraglio a Miseno, probabilmente sulla Punta Sarparella indicata dalla freccia (foto D. Carro).

FIGURA 3. Il vento Africus dei Romani (corrispondente grosso modo al nostro Libeccio) nel golfo di Napoli: esso impediva a qualsiasi natante di allontanarsi a vela dalla costa vesuviana (disegno D. Carro).

FIGURA 4. Dispersione delle prime ceneri dell’eruzione del 79 verso Est (sotto l’effetto del vento di Ponente, il Favonius dei Romani), nell’iniziale fase freatomagmatica che ha preceduto la fase “pliniana” vera e propria (disegno tratto da Santacroce 2006, fig. 7).

FIGURA 5. Carta delle aree colpite dall'eruzione vesuviana del 79, con le isopache indicative dello spessore dei depositi delle pomici bianche, delle pomici grigie e dei flussi piroclastici (disegno D. Carro con dati tratti da Sacchi et al. 2005, p. 445, fig. 1).

FIGURA 6. Progressiva rotazione del vento di 90° (dall’Africus al Thrascias) fra le ore meridiane e la sera del 24 ottobre (disegno D. Carro).

FIGURA 7. Quadrireme sommariamente tratteggiata su di un graffito romano recante la scritta navis tetreris longa. Si tratta dell’unica immagine di una nave da guerra antica accompagnata dall’indicazione del tipo di polireme rappresentata: in questo caso, una quadrireme, chiamata tetreris nel gergo tecnico dei marinai (particolare di un graffito di Alba Fucente).

FIGURA 8. Direttrici di massima seguite dalle quadriremi della classis Misenensis per la missione di soccorso condotta da Plinio il Vecchio (disegno D. Carro).

FIGURA 9. Il fronte mare dell’antica città di Ercolano. Le frecce indicano il percorso seguito dalla popolazione lungo la rampa e la successiva scalinata, per portarsi dalla Porta Marina alla spiaggia (in basso a sinistra), trovando riparo sotto le arcate dei fornici in attesa dell’imbarco (particolare di una foto di Bruno Rijsman, con licenza CC BY-SA 2.0).

FIGURA 10. Resti restaurati dell’imbarcazione rinvenuta sull’antica spiaggia di Ercolano ed ora custodita nell’Antiquarium degli scavi archeologici della stessa città vesuviana (particolare di una foto di Ad Meskens, con licenza CC BY-SA 4.0).

FIGURA 11. Distribuzione topografica delle terme e delle ville marittime romane i cui resti sono stati rinvenuti a Torre Annunziata lungo quello che doveva essere il litorale dell’antica Oplonti prima dell’avanzamento della costa, avvenuto soprattutto per effetto dei flussi piroclastici dell’eruzione del 79 (disegno D. Carro).

FIGURA 12. Conformazione geografica ipotetica dell’antica baia di Pompei e della relativa laguna formatasi alla foce del fiume Sarno e sulla quale era affacciato il borgo marinaro – Pagus maritimus – della città (disegno D. Carro tratto da Furnari 1994, p. 253, fig. 9).

FIGURA 13. Ville more Baiano: due esempi dello sviluppo verticale della struttura architettonica delle ville marittime costruite secondo il criterio adottato a Baia. Si tratta di costruzioni a più piani, addossate a un rilievo per sfruttare il duplice vantaggio della vista panoramica e dell’accesso diretto al mare (disegno tratto da De Simone 2017, p. 257, fig. 2).

FIGURA 14. La dislocazione delle grandi ville marittime di Stabia costruite sul ciglio del pianoro di Varano e in comunicazione diretta con la spiaggia sottostante. L’antica linea di costa è avanzata verso il mare di oltre 200 m per effetto di un esteso delta-conoide provocato dalla mobilizzazione delle coperture piroclastiche cadute sulla terra ferma durante l’eruzione del 79 (disegno D. Carro tratto dalla mappa di Stabia di Mentnafunangann, con licenza CC BY-SA 4.0, e da Di Maio - Pagano 2003, p. 205, fig. 8).

FIGURA 15. Livelli dei depositi piroclastici dell’eruzione del 79 nei quattro maggiori siti archeologici vesuviani (tratto da Sigurdsson et al. 1982, p. 41, fig. 2).

Privacy Policy
SOMMARIO ROMA MARITTIMA NAVIGARE NECESSE EST home