POMERIVM numero XII - 21 aprile 2007

Vittoria navale delle Egadi,

primordio dell'età transmarina di Roma


di DOMENICO CARRO

Osservando nel suo insieme la storia patria, i Romani dell'alto Impero vi ravvidero quattro grandi fasi, assimilabili alle età della vita umana: l'infanzia, con le iniziali lotte per la sopravvivenza dell'Urbe e per il suo predominio nel Lazio, l'adolescenza, con la progressiva estensione dell'egemonia romana sull'intera Penisola, la giovinezza, con l'espansione transmarina di Roma su tutte le sponde del Mediterraneo, ed infine la maturità, con la gestione e la difesa dello sterminato Impero. Ora, se le prime due fasi si snodarono nell'arco di 5 secoli con un andamento di sostanziale continuità, e se anche la quarta era destinata a durare altri 5 secoli secondo delle logiche essenzialmente stabili malgrado le finali corruzioni barbariche, la terza fase rappresentò qualcosa di completamente diverso. Nell'arco di soli due secoli le flotte romane solcarono i mari in lungo ed in largo, neutralizzandovi ogni minaccia, conducendo sbarchi ed altre operazioni marittime, e consentendo a Roma di assumere il controllo delle regioni d'oltremare a lei destinate. In tal modo questa epoca, chiamata dai Romani "transmarina" e collocata al centro della loro epopea ultramillenaria, fu quella in cui fu acquisita la quasi totalità delle loro province. Essa si concluse idealmente con la vittoria navale di Azio, che consentì ad Ottaviano di stabilire sulla terra e sui mari quella straordinaria situazione di pace sulla quale venne fondato e poté prosperare l'Impero.

Ferma restando la rilevanza di Azio per la svolta che impresse alla storia di Roma al termine della predetta età transmarina, un'importanza certamente non minore va attribuita all'altro dei due punti cardine, cioè all'evento bellico epocale che contrassegnò l'inizio di quello stesso periodo. Si trattò, anche qui, di una grande vittoria navale romana: quella che, conseguita nelle acque delle isole Egadi, pose fine alla prima guerra Punica ed aperse ai Romani la distesa dei mari. Quali furono, dunque, le connotazioni salienti e la portata strategica di quel memorabile successo? Per averne una percezione adeguata occorre esaminare innanzi tutto l'origine del primo epico conflitto di Roma contro Cartagine.


Prora di nave punica
(antica stele di Cartagine).

Il problema si presentò al Senato verso la fine del V secolo di Roma, esattamente nell'anno 268 prima dell'era volgare, quando giunsero a Roma le richieste di aiuto inviate dalla città di Messina, nella cui rocca si erano insediati i Cartaginesi. I Romani avevano assunto il completo controllo di tutta la nostra Penisola da soli quattro anni, avendo felicemente concluso la guerra Tarantina nonostante una sleale interferenza della flotta punica. Ai Padri coscritti non sfuggì certamente la pericolosità della nuova situazione di crisi che si era configurata al di là dello Stretto. In effetti, una così vicina presenza dei Cartaginesi, con tutto il loro strapotere navale, era tutt'altro che rassicurante, visto lo scarso peso attribuito da costoro al vigente trattato di alleanza con i Romani. L'alleanza era infatti stata ignorata dalla flotta punica che aveva recentemente recato aiuti alla città di Taranto, quando questa era ancora in guerra contro Roma. Tale cinica violazione dei patti consentì ai Romani di deprecare la "malafede punica", considerare decaduto il trattato di alleanza con Cartagine ed accogliere le richieste di aiuto provenienti da Messina.

Al di là degli aspetti legali e formali – attentamente valutati dai Romani secondo i dettami del loro antico diritto feziale – ed al di là della tradizionale inclinazione degli stessi Romani a soccorrere le popolazioni amiche in difficoltà, la decisione dell'intervento dovette basarsi anche su motivazioni più sostanziose e saldamente legate agli interessi primari di Roma. Era infatti evidente che la spedizione romana in Sicilia sarebbe stata contrastata dai Cartaginesi con la massima durezza ed avvalendosi della propria schiacciante superiorità navale. Il risultato finale che i Romani intendevano conseguire doveva quindi essere commisurato agli elevatissimi oneri di un impegno bellico che si preannunciava estremamente arduo e rischioso.

Al riguardo, i pochi dati che ci sono pervenuti dalle fonti antiche dicono generalmente che si trattò di una guerra per il possesso della Sicilia. Polibio soggiunge però che i Romani si prefissarono anche l'obiettivo di conseguire "l'assoluta egemonia", ovvero una preminenza che, nel caso specifico, doveva necessariamente poggiarsi sulla supremazia navale. Questa finalità, secondo il racconto di Polibio, si sarebbe aggiunta in corso d'opera, dopo le prime vittorie in mare; ma tutto lascia pensare che essa sia invece stata la prima motivazione dei Romani, quando essi si risolsero ad affrontare i Cartaginesi in Sicilia.

La più pressante necessità di Roma, infatti, non era quella di sottrarre Messina o l'intera Sicilia ai Cartaginesi, ma quella di liberarsi finalmente dai condizionamenti che le venivano da sempre imposti dalla maggiore potenza navale del Mediterraneo. Nell'epoca più arcaica (il primo trattato navale con Cartagine risaliva al 509 a.C., primo anno della repubblica) ciò aveva comportato dei vincoli abbastanza lievi per il traffico navale romano diretto in Africa ed in Sardegna. Nei successivi rinnovi del trattato (348, 306 e 279 a.C.), alle navi romane erano state imposte delle restrizioni più severe, con divieto di commercio nei possedimenti cartaginesi nel Nord-Africa, in Sardegna e sulle coste iberiche. Nel frattempo, per contro, gli interessi marittimi di Roma si erano molto estesi, sia per le convenienze commerciali degli intraprendenti armatori romani, sia per la crescente rete di relazioni diplomatiche che venivano intessute fra i Romani e le altre popolazioni rivierasche. In tali condizioni, era evidente che la potenza romana, ormai divenuta di prima grandezza per estensione territoriale, per consistenza economica e per capacità militari, non avrebbe più potuto sopportare di vedersi ostacolata e mantenuta sotto tutela nell'utilizzo delle rotte marittime.

Lo scontro con Cartagine era pertanto divenuto ineludibile, mentre la Sicilia costituiva in quel momento il terreno di combattimento più vantaggioso, poiché l'acquisizione del controllo dell'isola era strategicamente indispensabile per allontanare dalla nostra Penisola la minaccia navale punica. Per lo stesso motivo, i Romani erano anche interessati – sia pure con più bassa priorità – ad impossessarsi delle altre due isole maggiori affacciate sul Tirreno: Sardegna e Corsica. Tutto ciò risulta oggigiorno evidente a chiunque abbia qualche larvato rudimento di strategia marittima. Le fonti antiche non ci dicono se i senatori romani fossero pervenuti alle stesse conclusioni (anche perché questi hanno sempre mantenuto un totale riserbo sulle loro, pur lucidissime, analisi strategiche). Possiamo comunque esserne certi, visto che il Senato deliberò sempre in quella direzione. In definitiva, è del tutto ragionevole assumere che i Romani abbiano consapevolmente intrapreso la loro spedizione in Sicilia non solo per impossessarsi di un'isola ricca e strategicamente indispensabile alla sicurezza dell'Italia, ma anche e soprattutto per acquisire piena libertà di movimenti sul mare, previo ridimensionamento della potenza cartaginese.

Un tale confronto bellico si sarebbe rivelato un'avventura dall'esito impossibile senza un'adeguata capacità di affrontare la flotta punica. Vi era tuttavia un'eccessiva disparità iniziale fra la piccola flotta romana e le poderose forze navali di Cartagine. I Romani, pertanto, pur riversando in questa impresa tutte le loro migliori energie, non avrebbero mai potuto colmare il divario in pochi anni. Con il loro consueto pragmatismo, essi scelsero quindi di affrontare il problema con gradualità, limitandosi inizialmente ad eludere la flotta punica, adoperandosi poi per tenerla a bada ed impegnandosi infine ad affrontarla per mare a partire dal momento in cui fossero realmente stati in grado di misurarsi alla pari con essa.

Per avviare la prima fase dell'operazione, i Romani disponevano già della propria flotta militare che, ampliata 70 anni prima con le navi catturate ad Anzio, aveva acquisito una discreta esperienza operativa. Con queste navi e con quelle prelevate presso tutte le marinerie alleate della Penisola, venne costituita ad Ostia un'ampia forza navale sulla quale imbarcarono le legioni da trasportare in Sicilia (264 a.C.). La formazione romana era protetta da triremi e da qualche vecchia pentecontoro, mentre lo Stretto di Messina era presidiato dalle possenti quinqueremi della flotta punica. Cosciente di tale vantaggio, il comandante del presidio punico disse sprezzantemente che, senza il permesso dei Cartaginesi, i Romani non avrebbero nemmeno potuto lavarsi le mani nel mare. Ciò nonostante, la flotta romana riuscì a sfuggire all'intercettazione nemica e ad entrare indenne a Reggio. Da lì, avendo ingannato il nemico con un abile stratagemma, attraversò arditamente lo Stretto nel buio della notte e sbarcò le legioni a Messina.

Nel periodo successivo, i Romani condussero le operazioni in Sicilia avvalendosi anche del sostegno della flotta siracusana, resa disponibile da Gerone, neo-alleato di Roma (263 a.C.). In tal modo poterono evitare di essere direttamente esposti alla minaccia della flotta punica, che manteneva tuttavia la piena libertà di azione nell'aiutare i nemici in Sicilia e nell'effettuare incursioni sulle coste d'Italia. In quegli anni, comunque, gli ingegneri navali romani studiarono una quinquereme cartaginese catturata nelle acque calabre e predisposero i piani di costruzione ed i cantieri necessari per riprodurre quel tipo di unità in gran numero.

Quando tutto fu pronto, venne varata una nuova flotta di un centinaio di quinqueremi e si provvide all'addestramento a terra dei relativi equipaggi (261 a.C.). Inoltre, per compensare l'inevitabile divario tecnologico e operativo fra le nuove quinqueremi romane e quelle puniche, le prime vennero dotate del cosiddetto "corvo", un attrezzo di nuova concezione che doveva agevolare e velocizzare le fasi di abbordaggio ed arrembaggio delle navi nemiche. In tal modo i Romani riuscirono a cogliere la loro prima grande vittoria navale, sbaragliando la flotta cartaginese nelle acque di Milazzo (260 a.C.). Approfittando di questa vittoria, con una nuova spedizione navale il Senato volle subito acquisire il controllo della Sardegna e della Corsica (259 a.C.). Negli anni successivi, le flotte romane – costantemente potenziate – riportarono molte altre vittorie (Tindari, Ecnomo e capo Mercurio), ma due tempeste di anomala intensità provocarono dei paurosi naufragi in cui vennero complessivamente perse oltre 400 navi. Questo segnò quasi certamente la fine dei "corvi", rei di aver ridotto la stabilità delle navi e contribuito alla loro perdita.

Nel prosieguo della guerra navale, svolta d'ora in poi senza l'ausilio dei "corvi" (definitivamente scomparsi), le flotte romane furono lungamente impiegate soprattutto per il blocco navale del porto di Lilibeo, operazione che ebbe un'efficacia progressivamente crescente e portò anche alla cattura di due quadriremi eccezionalmente veloci, che suscitarono il vivo interesse degli ingegneri navali romani.

Seguì un anno decisamente infausto (249 a.C.) in cui, per eccesso di fiducia, i Romani subirono la sola grande sconfitta navale della loro storia (acque di Trapani) ed il terzo disastroso naufragio causato dalle burrasche, perdendo complessivamente oltre 200 poliremi e quasi 800 onerarie. Le operazioni navali romane proseguirono pertanto con delle formazioni ridotte (comunque comprendenti da 60 a 100 navi da guerra), mentre si rese indispensabile una pausa di diversi anni per ricostituire le risorse umane e finanziarie necessarie all'armamento di una nuova grande forza navale.


Rostro romano della battaglia navale delle Egadi
(foto Soprintendenza del Mare per la Regione Sicilia).

La pausa fu sfruttata per predisporsi ad un ulteriore e decisivo salto di qualità, poiché i Romani avevano compreso di essere ormai in grado di surclassare i Cartaginesi nelle prestazioni delle navi combattenti e dei relativi equipaggi. Per la nuova flotta essi affidarono ai loro ingegneri navali il compito di progettare delle nuove quinqueremi che recepissero nel modo più opportuno le migliori soluzioni tecniche individuate a bordo delle velocissime quadriremi catturate a Lilibeo. In tal modo nel 242 a.C. si poterono allestire 200 quinqueremi di nuovo tipo, con caratteristiche nautiche perfettamente soddisfacenti. Nel frattempo i nuovi equipaggi, costituiti attraverso un'accurata selezione del personale, erano stati sottoposti al più rigoroso addestramento.

Il console Caio Lutazio Catulo fu nominato comandante in capo, con un mandato non più limitato – com'era fino allora avvenuto – all'anno del suo consolato, ma esteso anche a quello successivo, al fine di scongiurare soluzioni precipitose e favorire invece l'attesa del momento più propizio per sconfiggere il nemico. Il comandante romano ebbe così la possibilità di salpare da Roma ed affrontare la sua missione in quelle condizioni ideali che rimarranno una costante per buona parte dei secoli successivi: una flotta costituita da un idoneo numero di navi potenti e di elevata qualità, degli equipaggi valenti e perfettamente addestrati, una disponibilità di tempo compatibile con i naturali tempi delle operazioni marittime e, di conseguenza, una ragionevole consapevolezza di poter debellare la flotta nemica ed assumere il dominio del mare.


Teatro della battaglia navale delle Egadi

Raggiunta la Sicilia occidentale in quella stessa estate con tutta la sua forza navale (300 navi da guerra e 700 onerarie), Catulo prese possesso del porto di Trapani e della rada di Lilibeo, mentre proseguiva l'assedio delle residue forze cartaginesi riparate sul monte Erice. Dopo aver trascorso il successivo inverno sottoponendo ad un continuo addestramento gli equipaggi navali, egli apprese dalle sue navi esploratrici che una grande formazione navale proveniente da Cartagine si era ancorata nelle acque dell'isola di Marettimo, la più lontana delle Egadi. Salpato immediatamente con tutte le navi combattenti, egli si pose alla fonda presso l'isola di Favignana. Il mattino seguente (10 marzo 241 a.C.), favoriti da un forte Ponente che stava spazzando il mare, i Cartaginesi bordarono le vele e navigarono con vento in poppa (più precisamente, al giardinetto sinistro) verso Levanzo, sperando di passare celermente a nord dell'isola e raggiungere indisturbati la costa sotto all'Erice per sbarcare i rifornimenti necessari alle loro truppe. A quel punto il Romano decise di portarsi subito all'ingaggio, pur vedendo che le condizioni meteo gli erano avverse, e pur essendo egli stesso costretto in lettiga per i dolori di una ferita ricevuta a terra poco tempo prima. Confidando nella perizia marinaresca dei suoi, procedette alacremente con vento e mare al mascone sinistro, e fece distendere tutta la sua flotta in modo da creare una linea di sbarramento davanti alla rotta dei nemici. Non essendo più possibile sottrarsi alla battaglia, i Cartaginesi serrarono le vele ed assunsero l'assetto da combattimento, ma nulla poterono di fronte all'efficacia degli attacchi delle navi romane. La vittoria in mare costò ai Romani la perdita di sole 12 unità, mentre i Cartaginesi ne persero quasi 200.

Privata dell'ultima grande flotta che era stata in grado di armare, Cartagine fu costretta a richiedere la pace, rinunciando alla sua plurisecolare supremazia navale ed al possesso della Sicilia. La sensazione d'impotenza dei Cartaginesi di fronte alla superiorità navale acquisita dai Romani rimase incancellabile, tanto che venti anni dopo Annibale non prese nemmeno in considerazione l'idea di giungere in Italia attraverso lo stretto braccio di mare che separa Cartagine dalla Sicilia, ma si rassegnò a fare il lungo periplo del Mediterraneo occidentale pur di non rischiare di imbattersi nella flotta romana.

D'altronde i Romani si erano effettivamente impossessati in modo stabile del dominio del mare ed erano ben intenzionati ad avvalersene per tutelare ogni loro possibile interesse sul mare ed oltremare. Poté così svilupparsi, nella scia della vittoria navale delle Egadi, quella vitalità transmarina che sarà l'indispensabile premessa alla formazione dell'Impero ed alla diffusione della Civiltà Romana.

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