Università di Napoli Federico II - Dipartimento di Architettura
Convegno Internazionale "La Baia di Napoli.
Strategie integrate per la conservazione e la fruizione del paesaggio culturale"

Napoli, Centro Congressi Federico II, 5-6 dicembre 2016

CLASSIS MISENENSIS

L'antica presenza navale romana quale importante fattore
delle robuste tradizioni nautiche fiorite nella Baia di Napoli

di DOMENICO CARRO
SOMMARIO:






Note

Bibliografia
  1. Introduzione
  2. La costituzione della flotta Misenense
  3. La base navale di Miseno
  4. Il ruolo strategico delle forze navali
  5. Impegni operativi a carattere bellico
  6. Impegni operativi del tempo di pace
  7. Impegni particolari nel golfo
  8. Soccorso navale
  9. Il personale
  10. Conclusione
© 2016 - Proprietà letteraria (copyright) di DOMENICO CARRO.
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SOMMARIO ROMA MARITTIMA NAVIGARE NECESSE EST home

I. Introduzione

Le acque incantate del Golfo - il Crater dell’epoca classica [1] – bagnano innumerevoli marine che, distese lungo le coste che vanno dalla Penisola Flegrea a quella Sorrentina ed attorno alle Isole Partenopee, sono tutte ricolme di storia e cultura nautica. Presso di esse, fra chiunque abbia a che fare con il naviglio e con la navigazione, si trovano immancabilmente gli stessi eterni gesti, misurati e sicuri, dettati da un sapere antico tramandatosi con cura, pur mantendosi compartecipe del progresso tecnologico. La stretta familiarità con le arti nautiche ha conferito a queste popolazioni una spiccata attitudine alle cose marittime, com’è stato evidenziato nei secoli dalle più varie dimostrazioni di eccellenza. A titolo di esempio, si potrebbero citare per l’epoca moderna l’indiscussa fama dei Procidani sulle rotte mercantili del globo, così come i brillanti successi del remo, della vela e della cantieristica navale in tutta la Baia di Napoli. Andando a ritroso nel tempo, i molti altri luminosi esempi di perizia nautica sono tutti preceduti dai medievali fasti di Amalfi, la prima delle repubbliche marinare; e questa, a sua volta, fu figlia orgogliosa di Roma, come tutt’ora viene ricordato dal motto presente sul cartiglio dello stemma cittadino: Descendit ex Patribus Romanorum.

Far risalire all’antichità romana l’origine di alcune delle tradizioni nautiche odierne è peraltro coerente con quanto emerge con sempre maggior chiarezza dall’archeologia navale [2]. Pertanto, pur tenendo conto dei precedenti storici ancor più remoti, perlopiù recepiti dal mondo romano, nonché degli altri pertinenti fattori culturali, economici ed ambientali, appare utile concentrare l’attenzione sulla plurisecolare presenza della Classis Misenensis, la maggiore e più potente delle flotte imperiali romane, quale importante fonte di conoscenze ed esperienze che hanno contribuito, unitamente alle attività della marina mercantile, ad alimentare in loco la vocazione marittima.

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II. La costituzione della flotta Misenense

All’origine delle due maggiori flotte imperiali vi fu la grande forza navale creata e comandata da Marco Agrippa per consentire ad Ottaviano di vincere, una dopo l’altra, tre guerre marittime: la Sicula, la Dalmatica e l’Aziaca [3]. Per costruire ed allestire tutte le navi necessarie e per addestrare i relativi equipaggi, quel giovanissimo e geniale ammiraglio aveva realizzato ex novo il Portus Iulius [4], quale sede provvisoria perfettamente rispondente alle necessità contingenti, essendo anche difendibile dalle repentine incursioni piratesche che devastavano le coste tirreniche. Dopo la vittoria navale di Azio e la conseguente chiusura del tempio di Giano, il futuro Augusto comprese che, per preservare la pace sulla terra e sul mare, occorreva dotare Roma – per la prima volta nella sua storia – di forze armate permanenti. Le navi vittoriose furono pertanto ripartite fra le due flotte destinate a proteggere entrambi i versanti della Penisola [5]. Mentre in Adriatico le navi vennero accolte dalla laguna di Ravenna [6], nel Tirreno la scelta ricadde sul porto naturale di Miseno, idoneo ad accogliere una base navale permanente.

Nonostante l’apparente simmetria fra le due flotte d’Italia, quella Misenense fu di gran lunga la più importante, essendo lo strumento navale di immediato utilizzo da parte dell’imperatore e dei suoi stretti collaboratori, data la vicinanza di Roma e l’ancor più stretta contiguità con le lussuose ville marittime di quei personaggi nel Golfo di Napoli. La sua consistenza, inizialmente sovrabbondante, dovrebbe essersi stabilizzata nell’alto impero sull’ottantina di unità, come può desumersi dall’analisi della documentazione rinvenuta, soprattutto epigrafica [7]. Della flotta Misenense, infatti, conosciamo i nomi di 88 navi, di cui una esareme, una quinquereme, 12 quadriremi, 53 triremi, 13 liburne e 8 altre unità di tipo non precisato [8]. Inoltre, poiché delle varie flotte imperiali sono complessivamente noti i nomi di 154 navi, non dovremmo discostarci troppo dalla realtà assumendo che la flotta di Miseno abbia avuto una consistenza grosso modo pari alla metà di tutte le forze navali romane, e più o meno doppia di quella di Ravenna [9].

A partire dall'epoca dei Flavi, entrambe le flotte basate in Italia ebbero il titolo di “pretoria”, inteso a sottolineare il loro ruolo al servizio diretto dell’imperatore [10]. Tale epiteto prestigioso mantenne il suo pieno significato concettuale per oltre due secoli, fino a quando la Tetrarchia e soprattutto Costantino allontanarono da Roma il baricentro dell’Impero. Sul finire del IV sec. le due flotte continuavano comunque ad essere considerate le maggiori forze navali imperiali [11], pur venendo progressivamente ridotte a beneficio, nel V sec., di varie altre flottiglie minori votate alla difesa terrestre [12].

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III. La base navale di Miseno

Per dare una sistemazione ottimale alla flotta del Tirreno, Agrippa scelse «il più bel porto naturale che si avesse su tutta la costa della Campania» [13], quello di Miseno, da collegare con un breve canale navigabile all’omonimo lago costiero, a similitudine della soluzione temporanea precedentemente adottata per il Portus Iulius, che tuttavia era stato dotato di cantieri effimeri ed alloggi precari, venendo poi destinato a scopi commerciali [14]. La base navale di Miseno fu peraltro il solo complesso portuale dell’antichità classica allestito esclusivamente per finalità militari [15], ciò che gli consentì di disporre di tutte le infrastrutture necessarie, secondo un progetto razionale e rispondente [16]. In simbiosi con la base navale si sviluppò la cittadina marinara di Misenum, funzionale alle esigenze della flotta [17].

Di tutte queste costruzioni spiccavano ancora, all’inizio dell’Ottocento, «molti avanzi di fabbriche» intorno al bacino interno ed ampie parti del teatro cittadino, che era dotato anche di un corridoio fino al porto per far entrare il personale della flotta [18]. Oltre al teatro, le costruzioni pubbliche in città furono il Foro (non ancora individuato), le Terme (in proprietà Cudemo), il Tempio di Augusto – destinato al culto del genio dell’imperatore e dei suoi predecessori divinizzati, a cura del collegio degli Augustali – ed un edificio a carattere monumentale, con archi e colonnati, affacciato sulla banchina [19].

Fra i resti delle strutture portuali, ora sommerse a causa dell’abbassamento della costa di oltre 4 metri, sono particolarmente notevoli i due moli frangiflutti su arcate, rispettivamente attestati su Punta Terone e Punta Pennata, dotati di bitte ed anelli d’ormeggio. Delle antiche banchine è tuttora visibile sott’acqua oltre mezzo chilometro del tratto settentrionale, corredato di numerose bitte di grandi dimensioni [20]. Il centro del porto, sulla Punta Sarparella, è dominato da alcune costruzioni presumibilmente pertinenti alla residenza del praefectus classis, il comandante in capo della flotta [21].

All’esterno dell’imboccatura del porto dovevano trovarsi almeno un fanale ed una torre di guardia, mentre un faro più potente doveva essere in posizione più elevata su Capo Miseno [22]. Il canale navigabile di collegamento con il bacino interno era attraversato da un ponte mobile [23] sul quale transitava la strada verso Baia e Pozzuoli. La base navale era ovviamente dotata di tutto quanto occorreva per garantire l’operatività della flotta, il benessere del personale, l’efficienza delle navi, l’addestramento e la logistica: caserme e mense per gli equipaggi, alloggi per gli ufficiali, navalia per il rimessaggio delle unità, depositi armi, cantieri navali e strutture arsenalizie, uffici amministrativi, magazzini ed officine, oltre ad una scuola per i classiari: la Schola armaturarum o Militum Schola, da cui è derivato il toponimo Miliscola [24]. Lì vicino vi era anche la disponibilità di un enorme serbatoio d’acqua, la cosiddetta Grotta della Dragonara, anche se la maggiore riserva idrica per le esigenze della Classis Misenensis è stata assicurata dalla colossale Piscina Mirabile, il «monumento più insigne e grandioso che resta della base navale», la più imponente delle cisterne romane conosciute, interamente scavata nel tufo ed alimentata dal grande acquedotto augusteo del Serino [25].

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IV. Il ruolo strategico delle forze navali

Per secoli, in un mondo assuefatto all’alternanza pace-guerra, si è pensato che la sola ragion d’essere delle flotte militari fra un conflitto e l’altro fosse quello di predisporsi a combattere battaglie navali contro il presumibile successivo nemico. Gli studiosi di storia antica hanno pertanto considerato con una certa sufficienza le flotte imperiali romane, reputandole degradate a compiti ausiliari per mancanza di significativi nemici navali da affrontare.

Nel mondo contemporaneo, la fine della guerra fredda ha tuttavia ingenerato una diversa consapevolezza, poiché le nuove sfide hanno mandato in soffitta le precedenti concezioni strategiche ed il relativo addestramento [26]. Ora l’evidenza dei fatti dimostra che, anche in assenza di ostilità, le forze navali sono estremamente utili come strumenti di “suasione” [27 o di “diplomazia navale” [28], ferme restando le loro ben note facoltà di dominio del mare, proiezione di potenza, sicurezza marittima ed assistenza umanitaria.

Gli antichi Romani, la cui grandezza poggiava saldamente sul connaturato pragmatismo e sul radicato senso comune, erano giunti a conclusioni sostanzialmente coincidenti, ma senza perdersi in cervellotici arzigogoli. Pur non scorgendo poderose flotte nemiche all’orizzonte, Augusto ed i suoi successori compresero che tale pericolo avrebbe continuato ad essere scongiurato solo mantenendo in attività delle forze navali efficienti. Le legioni non avrebbero certamente potuto controllare tutta l’enorme estensione delle coste, visto che erano appena sufficienti per tenere a bada le turbolenze nelle aree di confine. Un’appropriata presenza navale dissuasiva era quindi indispensabile, come risultava ancora chiarissimo, perlomeno a livello concettuale, sul finire del IV sec., quando Vegezio scriveva: «Il popolo romano, per il suo prestigio e per le esigenze della sua grandezza, pur non essendovi costretto da alcun imminente pericolo, in ogni tempo mantenne allestita la flotta, onde averla sempre pronta ad ogni necessità. Indubbiamente, nessuno osa sfidare o arrecare danno a quel regno o popolo, che sa essere pronto a combattere e risoluto a resistere ed a vendicarsi.» [29]

Fin dall’epoca di Augusto il ruolo fondamentale delle flotte imperiali fu in effetti quello di assicurare che Roma mantenesse il già esistente dominio di tutti i mari [30], requisito necessario e sufficiente per detenere la signoria sull’impero, come già aveva lucidamente intuito Pompeo Magno [31]. Tale dominio doveva consentire, oltre al normale effetto deterrente ottenuto dalla semplice ostentazione della presenza navale, il pronto intervento di forze navali oltremare, su qualsiasi sponda in cui si rendesse necessario uno sbarco militare, e la continuativa tutela della sicurezza della navigazione e delle aree marittime più sensibili. Tali aspetti vengono di seguito illustrati, esaminando sia le operazioni a carattere bellico, sia gli impegni operativi del tempo di pace, con particolare attenzione per quelli relativi alla baia di Napoli.

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V. Impegni operativi a carattere bellico

Sebbene l'avvento dell’Impero abbia comportato un riorientamento della grande strategia di Roma, in particolare per le flotte permanenti [32], non vi fu alcuna discontinuità fra l'impiego di tali flotte in operazioni a carattere bellico [33] ed i continuativi impegni navali sostenuti dai Romani in epoca repubblicana, dalla prima guerra punica ad Azio [34].

Dopo il trionfo aziaco, la flotta del Tirreno non rimase in ozio: le sue navi prima parteciparono alle operazioni marittime condotte da Marco Valerio Messalla Corvino fra la Gallia ed il Mediterraneo orientale [35], e poi si trasferirono in acque oceaniche, per effettuare dal golfo di Biscaglia un risolutivo sbarco alle spalle dei nemici nell’ambito della guerra Cantabrica [36].

Questa fu l’ultima campagna bellica che Augusto condusse di persona, ma altre esigenze di intervento militare oltremare si presentarono negli anni successivi e per tutta la durata dell’impero. L’efficacia del sistematico addestramento della flotta Misenense alle operazioni marittime ebbe dunque reiterate occasioni di verifica pratica, in vari settori dell’ampia gamma delle possibili forme di utilizzo delle navi in situazioni di conflitto. Vi furono in effetti delle ricorrenti operazioni contro la pirateria, sempre necessarie per inibire la crescita di questo fenomeno endemico [37], alcuni sbarchi navali su coste temporaneamente controllate da forze nemiche [38], l’assedio navale di una grande città ribelle [39], e soprattutto un’infinita serie di spedizioni navali attraverso il Mediterraneo per intervenire in forze laddove necessario: contro insorgenti minacce [40 o in occasione delle interminabili campagne condotte in Oriente [41], prima contro i Parti e poi contro i Persiani. Non si trattò di mere navigazioni di trasporto, ma di operazioni navali di grande complessità e valenza strategica [42. Quanto alle battaglie navali, non servirono se non nel Basso Impero, contro Licinio, ed allo spirare dell’Impero d’Occidente, quando un’ultima vittoria navale parve addolcire l’imminente fine [43].

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VI. Impegni operativi del tempo di pace

Coerentemente con la sua fondamentale missione di protezione di Roma e dell’Italia, la flotta Misenense presidiava innanzi tutto il mar Tirreno, operando sia dal golfo di Napoli, sia schierando delle proprie navi in varie basi secondarie: nella stessa città di Roma [44], ad Ostia, a Civitavecchia, in Corsica ed in Sardegna. Dovendo altresì estendere il controllo non solo al bacino occidentale del Mediterraneo ma anche a quello orientale (in concorso con la flotta Ravennate), essa distaccava delle proprie unità in tali acque, basandole in Grecia ed in Siria [45].

Il controllo del mare e dei porti era finalizzato a garantire a tutti la libertà di navigazione, nonché a tutelare la sicurezza dei traffici marittimi, poiché questi erano indispensabili per la sopravvivenza di Roma, per la logistica delle forze armate [46], per l’amministrazione delle province e per la coesione dell’impero [47]. La vigilanza della Classis Misenensis doveva inoltre tenere in debito conto le esigenze di protezione delle aree marittime più sensibili, con ovvia precedenza alle ville imperiali, sulla costa (a Civitavecchia, Ladispoli, Anzio, Astura, Circeo, Sperlonga e nel golfo di Napoli) e sulle isole, come Pianosa, Ponza, Ventotene e Capri.

Tra i servizi di Stato svolti dalle navi di Miseno, il più rilevante è la scorta navale agli imperatori, sia perché molti di loro – come Augusto – predilessero i viaggi per mare a quelli terrestri, sia per conferire solennità ai viaggi ufficiali, e comunque per garantirne l’incolumità [48]. Per questi ultimi due motivi, le navi da guerra maggiori erano anche utilizzate per le missioni oltremare assegnate ad alti dignitari su mandato del principe. Delle unità sottili e veloci potevano invece essere usate per l’invio di dispacci urgenti [49].

Circa i servizi pubblici, poiché i classiari di Miseno ebbero una propria caserma a Roma [50], tale presenza viene motivata con l’impiego dei Misenati per la manovra del velario del Colosseo [51]. È possibile che quell’attività sia stata affidata alla destrezza dei marinai, ma si tratterebbe comunque di un compito occasionale ed accessorio, come la partecipazione alle naumachie ed alle regate dei periodici giochi nautici. La funzione primaria dei classiari nell’Urbe doveva invece essere legata alle navi ed alla sicurezza.

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VII. Impegni particolari nel golfo

Nell’ambito delle loro abituali attività di vigilanza e di addestramento in ambito locale, le navi della flotta di Miseno ebbero modo di tenere sotto il proprio continuo controllo tutte le importanti strutture costiere che erano fittamente distribuite lungo l’intero arco del golfo, tanto da apparire dal mare come una città continua [52]. Tale attenzione era in effetti giustificata dalla eccezionale concentrazione di obiettivi sensibili da proteggere, ad iniziare dal vicino porto mercantile di Pozzuoli, che era stato potenziato con l’attiguo Portus Iulius, ed il cui traffico era d’importanza vitale per l’approvvigionamento di Roma. Di significativa rilevanza risultavano anche le sistemazioni portuali di Nisida e di Baia [53], oltre ai porti di Napoli, Pompei e Stabia. In quest’ultima località fu peraltro presente un distaccamento della flotta Misenense, sia prima che dopo l’eruzione del 79 [54].

Vi era nel contempo l’esigenza di salvaguardia delle numerose ville imperiali presenti in zona, ad iniziare da quella di Miseno (già di Mario, poi di Lucullo) e dalle altre vicine: le due di Baia (una era stata di Cesare e l’altra di Calpurnio Pisone) e quella di Pausilypum (ex villa di Vedio Pollione) [55], che era dotata di moli frangiflutti e banchine utilizzabili anche dalle navi della flotta. Analoghe possibilità di ormeggio erano presenti anche nelle altre ville di proprietà imperiale nel golfo, ad Oplonti, Sorrento e Capri [56].

Una certa attenzione doveva altresì essere accordata all’elegante abitato di Ercolano ed alle maggiori ville marittime [57] disseminate sulla costa, pressoché tutte dotate di pontili per l’approdo e di ampie vasche per la redditizia attività di allevamento dei pesci [58]. Parrebbe peraltro che l’ambiente della flotta Misenense fosse piuttosto sensibile alle problematiche della piscicoltura: lo si vide sotto il comando di Optato Ponziano, che fece imbarcare sulle navi, in appositi vivai, una grande quantità di scari e li rilasciò in mare fra il golfo di Napoli ed Ostia, verificando poi per cinque anni che nessuno li pescasse affinché avessero il tempo di riprodursi a sufficienza [59].

Per le esigenza di collegamento fra la base navale di Miseno ed i punti sensibili più lontani, come Capri e Stabia, i classiari dovevano gestire un sistema di segnalazioni diurne e notturne, tipo torri semaforiche [60].

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VIII. Soccorso navale

Nelle situazioni di gravi calamità, le alte personalità del mondo romano, inclusi gli imperatori più esecrati, non hanno mai esitato a prodigarsi per i soccorsi, per la sistemazione dei bisognosi e per le necessarie ricostruzioni [61]. Lo stesso accadeva normalmente per i soccorsi navali [62], anche se tali eventi vennero raramente riferiti perché meno conosciuti e meno compresi dai più.

Disponiamo tuttavia di una discreta quantità di dati [63] utili a ricostruire parte dei lineamenti salienti della più ardua ed ardita delle operazioni di soccorso navale mai effettuate in tutti i tempi: quella condotta da Gaio Plinio Secondo (“il Vecchio”), comandante in capo della Classis Misenensis, durante catastrofica eruzione del 79. Avendo ricevuto un messaggio [64] con una richiesta di aiuto inviata da Rectina, una matrona che abitava in una villa marittima ai piedi del vulcano e non aveva alcuna via di scampo se non per mare, Plinio salpò da Miseno con le sue quadriremi per procedere alla evacuazione di emergenza di tutti coloro che si trovavano sulla costa vesuviana nella stessa situazione di pericolo.

Mentre le navi, superato il Pausilypum, dirigevano direttamente verso Ercolano, il sovrastante Vesuvio offriva agli equipaggi uno spettacolo atroce, che nessuno aveva mai visto in epoca storica e che nessun altro ha finora potuto vedere dopo di loro [65]. Dalla bocca del vulcano s’innalzava una colonna eruttiva immensa che, costellata di bagliori e fulmini, raggiungeva la stratosfera ove si allargava come un fungo atomico, oscurando il cielo e facendo ricadere in mare una fitta pioggia di cenere calda, pomici e lapilli.

Lì si vide di che stoffa fossero fatti quegli equipaggi: mentre per timori molto più futili altre flotte erano state bloccate da ammutinamenti [66], gli uomini di Plinio continuarono a navigare con compostezza e professionalità verso un pericolo agghiacciante. Ad una ad una la navi si distaccarono per andare a prelevare in costa i fuggiaschi, lasciando poi a terra la propria imbarcazione per poter più celermente raggiungere il luogo di sbarco e tornare ad imbarcare gli altri in attesa. L’ultima quadrireme a dover toccare terra era la nave ammiraglia, che, non potendo puntare verso il Sarno, approdò a Stabia, ove Plinio perse la vita. Ma la missione di soccorso aveva già consentito di mettere in salvo migliaia di persone, inclusa forse la stessa Rectina [67].

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IX. Il personale

Fin dall’epoca di Augusto tutti gli imperatori – tranne Claudio e Nerone [68] – hanno riservato il comando delle flotte imperiali a praefecti di rango equestre di propria fiducia, traendoli prevalentemente dall’aristocrazia italica e ponendo ad un livello più elevato il comandante della Classis Misenensis [69]. Furono di rango equestre anche i vice comandanti (subpraefecti) ed i comandanti delle vessillazioni navali (praepositi vexillationis). Gli ufficiali superiori della flotta erano i navarchi ed i trierarchi, che potevano rispettivamente avere comandi navali di maggiore o minore importanza, avendo entrambi il grado di centurione, poiché qualsiasi nave da guerra era equiparata ad una centuria [70].

Degli ufficiali inferiori, dei sottufficiali e dei graduati conosciamo dalle epigrafi un numero stragrande di specialità, che fanno capire l’enorme complessità dell’organizzazione e delle competenze richieste al personale. Se ne citano solo alcuni, a titolo di esempio: gubernator, proreta, nauphylax, velarius, subunctor, naupegus, hortator o portisculus, optio, armorum custos, scriba o adiutor o secutor, librarius, tesserarius, medicus, faber, ecc.
Gli equipaggi erano costituiti da uomini liberi, che si arruolavano perlopiù fra 17 e 23 anni, per una ferma di 26 anni, elevata a 28 da Settimio Severo.

Trattandosi di una ferma più lunga di quella prevista per le forze terrestri (come accadeva anche da noi fino a qualche decennio fa), il servizio in marina era considerato più penalizzante, data anche la sua maggior durezza. Fra gli arruolati vi erano pertanto soprattutto forestieri (peregrini), oltre ad alcuni con la cittadinanza latina o romana. In base alle epigrafi relative alla flotta di Miseno, l’origine geografica del personale risulta essere: 17,2% regione italiana, 23% Egitto, 23% Asia minore, 16% Tracia, 9,7% Dalmazia e Pannonia, 4,7% Africa e 3,4% Grecia [71]. Al momento dell’arruolamento i peregrini ricevevano la cittadinanza latina (forse a partire da Vespasiano) ed assumevano un nome romano. All’atto del congedo ricevevano la cittadinanza romana ed il diritto di sposare le proprie compagne.

La rispettabilità derivante dalla piena cittadinanza, dalla legittimazione delle unioni matrimoniali e dal bagaglio di competenze professionali acquisite presso la flotta, consentiva ai congedati un ottimo inserimento nella società civile locale, grazie anche alla funzione aggregante assolta dal collegio degli Augustali e dall’apposito collegio dei veterani [72].

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X. Conclusione

Gli oltre quattro secoli di presenza della Classis Misenensis hanno creato una comunità marinara che ha riflesso il carattere cosmopolita di Roma e del suo impero; ha raccolto una messe di esperienze senza pari in tutte le acque del Mediterraneo ed anche oltre; ha intrattenuto dei contatti continuativi con tutti i siti costieri della baia di Napoli, assicurandone la protezione e riscuotendone piena fiducia; si è ottimamente inserita in ambito locale, trasferendovi le proprie conoscenze, competenze e tradizioni.

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Note:

[1] Strab. 5,4,8

[2] Nello studio della storia navale antica, è stata infatti rilevata l’esistenza di «an astonishing link between the most remote periods and our times. Some of these connections are most certainly traditions of the western part of the Old World» (Arnaud 2016, p. 618)

[3] Cfr. Carro 2014, pp. 126-137.

[4] Unendo il lago Lucrino al mare (quale bacino portuale) ed al lago Averno (sede delle costruzioni navali).

[5] Suet. Aug. 49,1; Tac. ann. 4,5,1. Questa suddivisione deve essere avvenuta nell’estate 29 a.C., al rientro delle navi dall’Egitto. Sarebbe infatti illogico supporre che Ottaviano ed Agrippa non avessero ancora deciso come sistemare le proprie navi, mentre avevano già destinato a Forum Iulii (Fréjus) quelle catturate ad Azio.

[6] Dovremmo presumere che siano tornate a Ravenna le navi che in quel porto erano rimaste al termine della guerra Dalmatica, per poi recarsi a Brindisi all’inizio della guerra Aziaca.

[7] Si tratta della fonte più ampia ed attendibile per lo studio delle flotte imperiali (Chapot 1896, pp. 2 e 11).

[8] Dati particolareggiati in Carro 2002, pp. 186-215. Naturalmente le epigrafi non sono tutte coeve, ma riflettono a grandi linee una situazione durevole, data la tradizionale ripetizione dei nomi navali.

[9] Di essa ci sono pervenuti solo 40 nomi di navi. Questo evidente squilibrio invalida i risultati di chi ha calcolato la consistenza delle due flotte d’Italia presupponendole identiche (Reddé 1986, p. 554).

[10] Maiuri 1981, p. 94; Reddé 1986, pp. 511, 515 e 519.

[11] Veg. mil. 4,31: testo scritto sotto l’impero di Teodosio (Sirago 1984, pp. 94-95).

[12] Le flotte di Miseno e di Ravenna (ormai non più “pretorie”) sono ancora citate, unitamente alle flottiglie minori, nella Notitia Dignitatum, pubblicata nelle prime decadi del V sec.; cfr. Sirago 1984, pp. 110-111.

[13] Maiuri 1981, p. 92.

[14] Pagano et al. 1982, pp. 319-322; Reddé 1986, p. 170.

[15] Petriaggi 2004, p. 101.

[16] Progetto attribuito ad Agrippa: Reddé 1986, p. 491; Vitucci 1977, p. 182; Parma 1992, p. 213-214.

[17] Amalfitano 1990, p. 242. Fu municipium e poi colonia militare: Maiuri 1981, p. 95; Parma 1992, p. 214.

[18] Arditi 1808, p. 45; Paolini 1812, pp. 15-16.

[19] Amalfitano 1990, p. 254; Di Franco 2012, pp. 67 e 72-74.

[20] Benini, Lanteri 2010, pp. 110-114; Gianfrotta 1998, pp. 156-157 e 165.

[21] Borriello, D'Ambrosio 1979, p. 27; Amalfitano 1990, p. 242.

[22] Borriello, D'Ambrosio 1979, p. 123; Benini, Lanteri 2010, p. 114; Gianfrotta 2011, pp. 25 e 28.

[23] È il «pontem ligneum» che per lunga vetustà venne rinnovato nel IV sec. (CIL 10, 3344).

[24] Maiuri 1981, p. 97; Amalfitano 1990, p. 242; Petriaggi 2004, p. 102.

[25] Maiuri 1981, pp. 97-100; Amalfitano 1990, pp. 250 e 252.

[26] L’ammiraglio statunitense Owens, che aveva comandato la 6a Flotta durante la guerra del Golfo, ha rimarcato l’inutilità del precedente ventennale addestramento alle grandi operazioni belliche oceaniche, essendo stato impegnato solo in «noiose scaramucce» litoranee (Owens 1995, p. 4).

[27] Neologismo inteso ad accorpare la dissuasione e la persuasione coercitiva (Luttwak 1985, pp. 79-92).

[28] Include comportamenti che vanno dalla presenza benigna alla coercizione (Speller 2014, pp. 86-89).

[29] Veg. mil. 4,31.

[30] Dion. Hal. ant. 1,3,3.

[31] «Qui mare teneat, eum necesse esse rerum potiri» (Cic. Att. 10, 8, 4). Cfr Carro 2013, pp. 119-121.

[32] Carro 2012, pp. 136-141.

[33] Ancorché senza grandi battaglie navali: «The historic task of that navy was not to fight battles but to render them impossible.» (Starr 1960, p. 7).

[34] Breve sintesi in Carro 1998, pp. 61-81.

[35] Nelle acque della Cilicia, della Siria e dell’Egitto (Tib. 1,7,13-22 e 3,7).

[36] Flor. epit. 2,33; Oros. 6,21.

[37] Cass. Dio 55,28; Ios. bell. Iud. 3,2; Carro 2009, pp. 16-18.

[38] Aureliano in Siria (contro Zenobia) ed in Egitto (Firmo), Massenzio in Africa (contro Domizio Alessandro).

[39] Bisanzio, riconquistata da Settimio Severo (Herodian. 2,14; Cass. Dio 75,13,1-3).

[40] Come la ribellione di Edemone in Mauretania (Plin. nat. 5,11) e la rivolta in Giudea (Ios. bell. Iud. 2,16,4).

[41] Soprattutto quelle di Traiano, Lucio Vero, Settimio Severo, Alessandro Severo, Caro e Giuliano.

[42] Corrispondono alle odierne Expeditionary Operations, fra le più impegnative per le Marine maggiori.

[43] Nei Dardanelli (Zos. 2,22-24) e nelle acque corse (contro i Vandali: Hydatius 176-177 e CIL 6,41405).

[44] Ove continuavano a funzionare gli storici Navalia (Carro 2015, pp. 128-133).

[45] Al Pireo ed a Seleucia di Pieria. I dati sugli schieramenti delle navi sono tratti dall’epigrafia.

[46] Roth 1999, pp. 220-221, 329-330 e 333.

[47] «More than the famous Roman routes, maritime connectivity of the Mare Nostrum was undoubtedly the glue of the Roman Empire.» (Arnaud 2016, p. 641).

[48] Cfr. Suet. Aug. 82,3 ; Suet. Cal. 15,2 e Cass. Dio 59,3,5; Suet. Tib. 72,1 e Tac. ann. 6,1.

[49] Reddé 1986, pp. 445 e 450-1; Pagès 1993, p. 10.

[50] Castra Misenatium, non lontano dal Colosseo.

[51] Incarico citato dalle fonti antiche una sola volta, nella vita di Commodo (SHA Comm. 15,6).

[52] Strab. 5,4,8.

[53] Gianfrotta 1998, pp. 153-155 e 166. Baia solo per natanti con minor pescaggio.

[54] Parma 2002, pp. 185-187; Esposito 2011, pp. 159-160.

[55] Phaedr. 2,5,7-10; Sen. epist. 5,51,11; Tac. ann. 15,52,1; Cass. Dio 54,23,5-6.

[56] Delle 12 ville imperiali nell’isola (Tac. ann. 4,67) quella attigua al porto era il “Palazzo a Mare”.

[57] Come le ville di Antonia, dei Pisoni, di contrada Sora, di Oplonti e della penisola Sorrentina.

[58] Marzano 2010, pp. 26, 31 e 33.

[59] Plin. nat. 9,62-63; Macr. Sat. 3,16,10.

[60] Cfr. Plin. nat. 2,181; Suet. Tib. 65,5 ; Veg. mil. 3,5; Russo 2007, pp. 292 e 296.

[61] Ad esempio, Augusto (Cass. Dio 54,23,7-8 e Suet. Aug. 47,2), Livia (Suet. Tib. 50,5), Caligola (Cass. Dio 59,9,4) e Nerone (Tac. ann. 15,39).

[62] Lo si vede dall’atteggiamento assunto da Cesare (Bell. Afr. 11) e Germanico (Tac. ann. 2,24).

[63] Soprattutto le lettere di Plinio il Giovane (Plin. epist. 3,5; 6,16 e 6,20) ed i dati vulcanologici.

[64] Evidentemente inoltrato da una stazione semaforica (Russo 2004, pp. 122-124).

[65] Dopo il 79 non vi furono eruzioni di pari intensità (“pliniana”); la precedente risaliva a 1700 anni prima.

[66] L’ultimo era avvenuto solo 36 anni prima: Cass. Dio 60,19,2-3.

[67] «Gaio Salvio Eutico sciolse il voto ai Lari della casa per il ritorno della nostra Rectina.» (CIL 9, 725).

[68] Che affidarono tutti gli incarichi di fiducia – incluse le flotte – ai propri liberti.

[69] Starr 1960, pp. 33-34.

[70] Ferrero 1878, p. 39; Reddé 1986, pp. 541-542; Reddé 2000, p. 185; Petriaggi 2004, p. 103.

[71] Reddé 2000, p. 187. Cfr Carro 1998, pp. 82-83.

[72] Amalfitano 1990, p. 254; Parma 1992, p. 221; Parma 1994, pp. 54-59.

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