NAVALES TABVLAE

Parte I

MARITTIMITA' DI ROMA

(10 poster)
testi, foto e disegni
di DOMENICO CARRO

TESTI COMPLETI

© 2004 - Proprietà artistica e letteraria (copyright) di DOMENICO CARRO.
Per i 10 manifesti (poster di formato standard: 1m x 70 cm), rivolgersi alla Fondazione marittima Ammiraglio Michelagnoli, che li ha realizzati d'intesa con il CoNISMa, con il contributo del M.I.U.R. e il sostegno della Rivista Marittima
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SOMMARIO NAVALES TABVLAE ROMA MARITTIMA NAVIGARE NECESSE EST home

I. ORIGINI - IL CARATTERE MARITTIMO DI ROMA

POSIZIONE

Erede, secondo la tradizione, di mitici eroi troiani giunti dal mare sulle coste del Lazio, Roma ha dovuto, fin dalle primissime epoche della sua storia, affidare alle rotte marittime un ruolo di vitale importanza per il proprio sostentamento. A tal fine, essa ha fruito di quella che i Romani stessi consideravano una vantaggiosissima peculiarità: essendo posizionata a breve distanza dal mare e su di un fiume navigabile per tutto l'anno, la città poteva godere dei benefici del commercio marittimo pur senza permanere esposta ai rischi provenienti dal mare.

PORTI DI ROMA

Il carattere marittimo di Roma si accentuò a partire dal II secolo della storia della città, quando venne fondata alla foce del Tevere la colonia di Ostia. I Romani poterono allora utilizzare un sistema portuale articolato sull’approdo marittimo ostiense e sul porto fluviale di Roma. Quest’ultimo, chiamato Portus Tiberinus, era collocato in un’antica insenatura del Tevere di fronte al tuttora esistente Tempio di Portuno. Nel periodo della repubblica, esso venne progressivamente ampliato a valle e raggiunse l’area dell’Emporio. Qui vennero eretti degli enormi magazzini, mentre l’attigua discarica delle anfore sbarcate dalle navi iniziò ad accrescersi sempre più, fino a formare l’odierno monte Testaccio. Le navi mercantili più piccole potevano risalire il Tevere fino a Roma, ma tutte le altre dovevano scaricare le proprie merci ad Ostia. Per tali merci, il trasporto navale fra Roma ed Ostia era assicurato dalle navi “codicarie”, che facevano la spola fra il porto marittimo ed il porto fluviale.

COMMERCIO MARITTIMO

L'attenzione dei Romani verso le proprie esigenze marittime, manifestatasi fin dal periodo regio e nei primissimi anni della repubblica, si tradusse in un costante incremento dei loro commerci navali, che erano indispensabili per assicurare l'afflusso dei rifornimenti necessari alla città in una situazione di perenne conflitto con le popolazioni circostanti. Questi commerci, che costituivano anche una lucrosa fonte di reddito per gli intraprendenti armatori romani, si svilupparono in modo significativo fra il VI ed il IV secolo a.C.. In tale periodo, infatti, Roma stipulò dei trattati navali con Cartagine e Taranto, allo scopo di evitare reciproche interferenza nell’ambito marittimo.

NAVI DA GUERRA

Mentre potenziavano la propria marina mercantile ed estendevano le proprie linee di comunicazioni marittime, i Romani iniziarono anche a dotarsi di qualche nave da guerra per la protezione di alcune rotte e degli accessi al porto ostiense. Essi costituirono poi una vera e propria marina da guerra, si pure di limitate dimensioni, subito dopo aver catturato le navi di Anzio (338 a.C.), che si erano macchiate di atti di pirateria compiuti nell’area di Ostia. Per la gestione della loro nuova flotta, i Romani istituirono la carica dei due duumviri navali, destinati a provvedere a tutte le necessità delle navi ed a assumere anche il comando dei gruppi navali inviati in missioni di sorveglianza al largo delle coste della Penisola. Gli stessi Romani considerarono talmente importante la funzione della loro flotta, che fecero rappresentare sulle proprie monete la prora rostrata di una loro nave da guerra. Da allora, e per tutto il periodo della repubblica, quella prora rostrata rimase sul rovescio di tutte le monete di bronzo romane in circolazione, divenendo in tal modo il più diffuso e conosciuto simbolo della potenza romana.


SOMMARIO

II. GUERRE PUNICHE - LA CONQUISTA DELLA SUPREMAZIA NAVALE

PRIMA GUERRA PUNICA

Dopo aver acquisito, con la vittoria nella guerra tarantina, l’egemonia sull’intera nostra Penisola, Roma dovette affrontare un’epica sfida contro Cartagine, che era allora la potenza navale più esperta, agguerrita e temibile dell’intero Mediterraneo. I Cartaginesi, in particolare, si erano insediati in forze in molte città della Sicilia e si preparavano ad impadronirsi anche di Messina, alleata dei Romani. Il Senato di Roma nominò pertanto quattro questori classici incaricati di radunare le navi necessarie, prelevando anche quelle disponibili presso tutte le marinerie italiche. Con la grande flotta che venne in tal modo costituita, i Romani riuscirono a sbarcare in Sicilia cogliendo i nemici di sorpresa, ma si accorsero presto che non avrebbero potuto conseguire alcun successo definitivo se non avessero sottratto ai Cartaginesi la supremazia navale. Essi si dotarono allora di una flotta costituita in massima parte da poderose quinqueremi, sostanzialmente simili a quelle cartaginesi, e formarono ex novo i relativi equipaggi, sottoponendoli ad un intenso addestramento.
La prima guerra punica fu, pertanto, l'occasione per uno stupefacente salto di qualità della Marina di Roma. Nell'arco di venti anni, il dominio del mare fu perseguito dai Romani con straordinaria determinazione, a prezzo di notevolissime perdite (circa 800 navi da guerra, di cui oltre 600 affondate in occasione di tempeste), e fu conseguito dopo aver inflitto alla rivale cinque sconfitte navali (contro una sola subita) e la perdita di circa 530 navi da guerra (oltre 250 navi affondate in combattimento; tutte le altre catturate). In questa terribile guerra navale, si distinsero particolarmente Caio Duilio, che fu il primo Romano a riportare una vittoria navale sui Cartaginesi (acque di Milazzo, 260 a.C.), Marco Attilio Regolo, che fu il primo Romano ad effettuare uno sbarco navale in Africa (nel 256 a.C., dopo la grande vittoria navale di Ecnomo), e Caio Lutazio Catulo, che conseguì la vittoria decisiva, grazie al perfetto addestramento dei propri equipaggi, nella battaglia navale delle Egadi (10 marzo 241 a.C.).
Essendo divenuti i padroni incontrastati del mare, i Romani ne approfittarono per cacciare i Cartaginesi non solo dalla Sicilia, ma anche dalla Sardegna e dalla Corsica.

SECONDA GUERRA PUNICA

Il primo tentativo di rivincita cartaginese venne avviato ventidue anni dopo da Annibale, che volle attaccare direttamente l’Italia. Non potendo arrischiarsi di affrontare le flotte romane, anziché sbarcare nella vicinissima Sicilia, si rassegnò a fare tutto il giro del Mediterraneo occidentale, passando per la Spagna e la Gallia, e varcando le Alpi con il suo esercito ed i suoi elefanti. In questa seconda guerra punica, i Romani, pur subendo un’impressionante serie di sconfitte sul fronte terrestre, misero in atto una efficacissima strategia marittima (quella che apparve una tattica “temporeggiatrice”) intesa a contenere, contrastare e finalmente eliminare la tremenda minaccia recata dai Cartaginesi. In particolare, Annibale venne progressivamente ed inesorabilmente irretito, precludendogli l'accesso al mare in Italia, recidendo le sue linee di comunicazioni marittime, privandolo del suo serbatoio logistico in Spagna, sottraendogli il controllo di Siracusa e la possibilità di ricevere un consistente aiuto dal re di Macedonia. Scipione poté allora sbarcare in Africa (204 a.C.) e costringere il nemico ad accettare le nuove condizioni della pace, inclusa la distruzione della flotta punica ed il divieto di ricostruirla.

TERZA GUERRA PUNICA

Il secondo ed ultimo tentativo di rivincita cartaginese avvenne dopo ulteriori cinquant’anni. Avendo avuto notizia del tentativo di ricostruire la flotta punica e di altre violazioni del trattato di pace, i Romani sbarcarono nuovamente in Africa ed imposero ai Cartaginesi di abbandonare la loro città e di trasferirsi nell’entroterra, ad una distanza non inferiore a 15 km dal mare. Al rifiuto cartaginese, essi strinsero d’assedio la città e, dopo aver sconfitto in mare la nuova flotta nemica (acque di Cartagine, 147 a.C.), indussero la popolazione alla resa. Questa terza guerra punica si concluse infine, com’è noto, con la distruzione della città.


SOMMARIO

III. ESPANSIONE TRANSMARINA - ESERCIZIO DEL POTERE MARITTIMO

INTERESSI SUL MARE E OLTREMARE

Fin dal termine della prima guerra punica, quando i Romani assursero al ruolo di potenza navale di prima grandezza, Roma si trovò naturalmente indotta ad avvalersi del potere marittimo per consolidare la propria posizione dominante nel Mediterraneo occidentale e per iniziare ad estendere la propria area d’influenza anche in quello orientale. Si avviò allora un processo di crescente suo coinvolgimento nelle reiterate situazioni di crisi che perturbavano l’area mediterranea. Per circa due secoli, i suoi interventi “diplomatici” e militari vennero ottimamente orientati e gestiti dal Senato, che seppe individuare con spiccato senso strategico e lungimiranza le priorità da perseguire nell’interesse di Roma. Ciò consentì ai Romani di superare felicemente una ininterrotta serie di conflitti, che, pur se originati da ragioni eminentemente difensive, li portarono, col determinante concorso delle loro forze marittime, ad allargare sempre più la cerchia dei propri alleati ed il raggio del proprio dominio.
Questa importante fase della storia romana venne definita “transmarina” dagli stessi Romani, per indicare proprio ch’essa fu caratterizzata da una sequenza di proiezioni di forza sul mare ed oltremare. Si trattò, in effetti, della parte più ragguardevole dell’espansione romana al di fuori della nostra Penisola; ed essa venne attuata, per i primi duecento anni, pressoché esclusivamente per via marittima: prima sulle isole più vicine, poi verso le penisole iberica e balcanica, passando quindi in Africa ed in Asia, fino ad acquisire il controllo di quasi tutti i litorali bagnati dal Mediterraneo.

GUERRE A CARATTERE MARITTIMO

Fra le caratteristiche salienti di tale processo, vi è la sua stretta connessione al commercio marittimo. Difatti, i vari ampliamenti dell’area d’influenza politica e militare di Roma sono quasi sempre stati preceduti da analoghi allargamenti, nella stessa direzione, delle zone marittime interessate dall’intraprendenza degli armatori romani. Le decisioni del Senato hanno quindi tenuto in gran conto dell’esigenza di tutelare la sicurezza dei traffici marittimi gestiti dagli stessi Romani o delle altre marinerie d’Italia, giungendo fino a scendere in guerra (come nel caso della prima guerra illirica) laddove tale sicurezza fosse risultata compromessa.
Le guerre che i Romani dovettero affrontare in questo periodo nel Mediterraneo orientale vennero quasi tutte provocate dall’espansionismo di alcuni grandi regni ellenistici, i cui sovrani anelavano a resuscitare l’effimero impero di Alessandro Magno. Si trattò, in particolare, di due re di Macedonia (Filippo V e Perseo) e di quelli di Siria (Antioco III) e del Ponto (Mitridate VI). Essi guerreggiarono in tempi diversi, ma tutti si avvalsero soprattutto delle proprie flotte per invadere la Grecia e per combattere contro i Romani. Questi ultimi si trovarono quindi a dover affrontare per mare degli avversari dotati di forze navali estremamente potenti ed in possesso di una lunga ed insuperata esperienza nei combattimenti navali. Essi ne vennero comunque a capo brillantemente, conseguendo proprio nel campo marittimo i più importanti successi, fra i quali spiccano molte luminose vittorie navali, come quelle di Mionneso (190 a.C.) e di Tenedo (72 a.C.), che vennero celebrate anche da parte dei Greci, loro alleati.

CARTA 1 - L'ESPANSIONE TRASMARINA (264 a.C.- 57 a.C.)

Progressione dell'espansione di Roma sulle isole e su tutte le sponde del Mediterraneo, esclusivamente per via marittima, nell'arco di due secoli: dal primo sbarco in Sicilia all'annessione di Cipro. Solo successivamente iniziarono alcune consistenti acquisizioni territoriali per via terrestre.

1 Sbarco in Sicilia all’inizio della 1a guerra punica (264 a.C.)
2-3 Sbarco in Sardegna e Corsica (259 a.C.)
4-5 Sbarchi a Corfù, in Epiro e nelle isole della Dalmazia (229 a.C.)
6-7 Conquista di Malta, Pantelleria e Gerba all’inizio della 2a guerra punica (218-217 a.C.)
8-11 Conquista delle coste orientali e meridionali della Spagna (218-206 a.C.)
12 Sbarco nell’isola Eubea (207 a.C.)
13 Sbarco in Africa condotto da Scipione Africano (204 a.C.)
14 Sbarco in Asia condotto da Scipione Asiatico (190 a.C.)
15 Sbarchi in Macedonia e nell’isola di Samotracia (169-168 a.C.)
16 Sbarco in Acaia condotto da Lucio Mummio Acaico (146 a.C.)
17 Conquista delle Baleari da parte di Quinto Cecilio Metello Balearico (123-122 a.C.)
18 Presa di possesso della Cirenaica, o Pentapoli libica (86 a.C.)
19-20 Sbarchi sulle coste occidentali del mar Nero, fino al Danubio (77-71 a.C.)
21-22 Sbarchi sulle coste meridionali del mar Nero, fra Eraclea e Ceraso (72-70 a.C.)
23 Conquista di Creta da parte di Quinto Cecilio Metello Cretico (69-67 a.C.)
24 Sbarco in Cilicia a conclusione della guerra piratica (67 a.C.)
25-26 Sbarchi sulle coste orientali del Mediterraneo (64-63 a.C.)
27 Blocco navale e assunzione del controllo del Bosforo Cimmerio (64-63 a.C.)
28 Annessione di Cipro (57 a.C.)


SOMMARIO

IV. POMPEO MAGNO - IL DOMINIO DEL MARE

IMPERIUM MARIS

La pirateria rappresentò una minaccia pressoché costante nel mondo antico, pur permanendo generalmente un fenomeno contenuto ed a carattere locale, legato alla presenza di situazioni geografiche particolarmente favorevoli agli agguati in mare ed all’occultamento dei covi piratici. Il fenomeno, tuttavia, iniziò ad accrescersi in modo anomalo quando dei pirati vennero finanziati da personaggi come Filippo V, re di Macedonia, Nabide, tiranno di Sparta, e soprattutto Mitridate VI, re del Ponto. Con quest’ultimo, in particolare, la pirateria proveniente dalla Cilicia assunse una specifica funzione anti-romana ed raggiunse delle dimensioni ed una virulenza talmente abnormi da interessare l’intero bacino del Mediterraneo, pregiudicando perfino la sicurezza dei mari e delle coste d’Italia e mettendo in serissima difficoltà la stessa Roma, per l’interruzione dei rifornimenti navali. I Romani organizzarono diverse operazioni belliche contro i pirati, riscuotendo dei risultati validi ma effimeri, a causa delle limitate risorse al momento disponibili. Tuttavia, non appena ne ebbero la possibilità, essi optarono per una guerra in grande stile, conferendo i pieni poteri a Pompeo Magno ed assegnandogli un eccezionale complesso di forze, che includeva ben 500 navi da guerra.
Pompeo si mosse con incredibile rapidità: schierò le forze navali nell’intero Mediterraneo, in modo che le flottiglie piratiche venissero perseguite ovunque e non potessero trovare alcun’area non controllata ove rifugiarsi. Poi si recò personalmente nelle acque della Cilicia, ove sconfisse in battaglia navale la flotta costituita dalle superstiti unità dei pirati. In tal modo, egli riuscì a liberare tutto il mare da quella piaga in meno di tre mesi, dall'inizio della primavera a metà estate del 67 a.C..
Lo stesso Pompeo Magno portò quindi a termine anche la guerra contro Mitridate, avvalendosi pienamente dell'acquisito dominio del mare. Nel corso delle due predette campagne belliche, egli catturò ben 800 navi da guerra, di cui 700 vennero condotte nei porti d'Italia. Fra le motivazioni ufficiali del suo trionfo, venne specificato ch’egli aveva “restituito al popolo romano il dominio del mare” ("imperium maris").

NAVIGARE NECESSE EST

Nel settembre 57 a.C., essendo Roma afflitta da una grave carestia, il Senato attribuì a Pompeo la responsabilità dell'approvvigionamento di grano dell'Urbe (l'annona), conferendogli per cinque anni un comando proconsolare con dei poteri eccezionali sulla produzione agricola in tutto il mondo soggetto ai Romani e sulla navigazione marittima nell'intero Mediterraneo. Si trattava di un'autorità altrettanto ampia di quella che lo stesso Pompeo aveva rivestito dieci anni prima per la sua folgorante guerra navale contro i Pirati.
Anche nel suo proconsolato per l'annona Pompeo si mosse con grande determinazione e dinamismo. Avvalendosi di un gran numero di luogotenenti (fra i quali il posto più eminente venne assegnato a Cicerone), egli assunse prontamente il controllo di tutte le aree di produzione oltremare e dei relativi porti marittimi. Quindi egli stesso prese il mare, facendo vela verso le coste della Sardegna, della Sicilia e dell’Africa per controllare di persona la raccolta e l'imbarco dei cereali. Quando le navi del primo convoglio erano già state caricate ed erano pronte a salpare per il rientro ad Ostia, sopravvenne una tempesta che trattenne i comandanti in porto. Ma Pompeo non tollerò che la partenza venisse ritardata. Salì a bordo della prima nave ed ordinò di sciogliere gli ormeggi esclamando: “Navigare è necessario! … vivere non lo è!” (Navigare necesse est, vivere non est necesse).
Con quella frase sbalorditiva e apparentemente paradossale egli affermò con la massima efficacia l'esigenza di impegnarsi senza risparmio, anche a costo della vita, per assicurare sul mare un servizio essenziale alla collettività. In effetti, il flusso dei rifornimenti marittimi era un'esigenza di importanza vitale per la sopravvivenza dell'Urbe. Esso aveva quindi una priorità talmente elevata da giustificare anche il rischio di perdere qualche nave ed i relativi uomini di equipaggio.
L'energia infusa da Pompeo nella rete dei rifornimenti marittimi di Roma non tardò a sanare la situazione: dopo aver riempito il mare di navi, egli colmò i mercati romani di vettovaglie sovrabbondanti. Egli raggiunse l'apice della propria potenza proprio al termine del suo proconsolato quinquennale.

CARTA 2 - GUERRA PIRATICA (primavera-estate 67 a.C.)

Aree di responsabilità assegnate da Pompeo ai comandanti delle flotte romane schierate nel Mediterraneo contro i pirati.

COMANDANTI DELLE FLOTTE ROMANE
1 Lucio Gellio Publicola (già console, nel 72 a.C.): mar Tirreno;
2 Publio Atilio: mar Ligure e acque della Corsica;
3 Marco Pomponio: mar Gallico (golfo del Leone);
4 Aulo Manlio Torquato: mar Balearico e acque delle coste orientali della Spagna;
5 Tiberio Claudio Nerone: stretto di Cadice (ora “di Gibilterra”) e mar di Alboran;
6 Gneo Cornelio Lentulo Marcellino (futuro console, nel 56 a.C.): acque della Sardegna e mar Libico;
7 Aulo Plozio Varo: mar Siculo;
8 Marco Terenzio Varrone: mar Ionio, basso Adriatico e basso Egeo fino a Delo;
9 Gneo Cornelio Lentulo Clodiano (già console, nel 72 a.C.): mare Adriatico;
10 fratelli Aulo e Quinto Pompeo Bitinico: mare Egizio;
11 Quinto Cecilio Metello Nepote (futuro console, nel 57 a.C.): Egeo sud-orientale, mar Panfilio e acque di Cipro;
12 Lucio Lollio: Egeo settentrionale, fino all’Ellesponto (Dardanelli);
13 Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano (futuro console, nel 61 a.C.): Propontide e Bosforo.


SOMMARIO

V. GIULIO CESARE - PREDOMINIO NELL’OCEANO E AUDACIA SU TUTTI I MARI

SULL’OCEANO, DALL’ARMORICA ALLA BRITANNIA

Nel terzo anno della guerra gallica, Giulio Cesare dovette affrontare la più estesa coalizione che si fosse mai costituita fra Galli prima dell’atto finale capeggiato - quattro anni dopo - da Vercingetorige. Essa includeva le popolazioni di tutte le regioni costiere nord-occidentali della Gallia, dal Reno alla Loira, ed era pilotata dai Veneti transalpini, residenti lungo la costa meridionale della penisola bretone. Questo era il popolo più potente sull’Oceano, ove controllava con le proprie navi tutti i traffici, inclusi quelli con i Britanni.
Per poter combattere contro quelle popolazioni marittime nell’insidioso teatro delle coste oceaniche, Cesare fece costruire una grande flotta sulla Loira ed addestrare i relativi equipaggi. Poi la schierò davanti al porto dei Veneti, che le contrapposero una flotta di 220 grosse e robuste navi oceaniche, armate da loro stessi e dai loro alleati, con il sostegno dei Britanni. Dopo un’intera giornata di combattimenti in mare (agosto 56 a.C.), i Romani riuscirono ad arrembare e catturare la quasi totalità delle navi nemiche. Questo risultato indusse i Veneti ed i loro alleati alla resa immediata, poiché senza navi essi erano privi di difese. Così l’Oceano rimase libero dal controllo dei Galli e, pertanto, aperto ai Romani.
Cesare ne trasse al più presto la più logica delle conseguenze, conducendo nei due anni successivi (55 e 54 a.C.) le due prime spedizioni navali romane in Britannia. La prima venne effettuata con la stessa flotta che aveva combattuto contro i Veneti, con l’aggiunta di un centinaio di navi onerarie per il trasporto di due legioni e dei cavalieri. Si trattò di un sbarco navale che aveva soprattutto la finalità di consentire una prima presa di contatto diretto con l’isola, limitatamente alla fascia costiera. La seconda spedizione utilizzò invece una nuova flotta che Cesare fece costruire appositamente, con circa seicento navi “da sbarco” larghe, basse e leggere, per potersi avvicinare alla spiaggia, e ventotto di grandi dimensioni. Vennero in tal modo sbarcate in Britannia cinque legioni e duemila cavalieri, che operarono per tre mesi nell’entroterra, fino ad oltre il Tamigi.

IN TUTTE LE ACQUE DEL MEDITERRANEO

Completata la pacificazione delle Gallie, tutti i successivi impegni marittimi di Cesare si collocarono nel Mediterraneo, ove, per effetto della guerra civile, egli fu quasi sempre a corto di navi o comunque sottoposto ad una minaccia preponderante. Nonostante tali difficoltà, egli riuscì sempre a ribaltare la situazione con la determinazione e l’audacia in mare.
Un primo problema venne suscitato dall’ostilità di Marsiglia (49 a.C.). Cesare la sottopose all’assedio e fece costruire dodici navi da guerra per assicurare il blocco navale della città. I Marsigliesi reagirono con tutto l’orgoglio delle proprie antiche tradizioni marinare, combattendo due volte in mare contro la flotta romana. In queste due battaglie navali, tuttavia, essi persero diciotto navi (otto affondate e dieci catturate dai Romani), su di un totale di ventisei ch’essi erano complessivamente riusciti ad armare. Il blocco navale romano rimase pertanto efficace e finì per determinare la resa della città.
Nel successivo inverno (gennaio 48 a.C.), Cesare si trovò nella necessità di attraversare il canale d’Otranto, pur essendovi le flotte pompeiane in quelle acque per impedirgli in transito. Disponendo di un centinaio di navi da carico per trasportare le legioni e di sole dodici navi da guerra per scortarle, egli riuscì a passare indenne attraverso due flotte avversarie, che includevano in totale centoventotto navi da guerra. Egli compì molte altre navigazioni invernali, volendo sempre agire con l’abituale celerità. Ad esempio, all’inizio della guerra africana e di quella ispanica effettuò le navigazioni di trasferimento dalla Sicilia all’Africa a fine dicembre 47 a.C. e da Roma a Cadice nel dicembre successivo.
L’impegno bellico più problematico che Cesare dovette affrontare fu la guerra alessandrina, poiché egli si trovò in Egitto con pochissime forze, pressato dall’inopinata ostilità dell'esercito del giovane re Tolomeo XIII. Dopo aver conseguito due vittorie navali sugli Alessandrini, espertissimi marinai, egli subì un loro massiccio assalto terrestre e fu costretto a salvarsi tuffandosi in mare e nuotando per lungo tratto sott’acqua. Riuscì poi ad aggirare con la flotta l’esercito del re e ad sconfiggerlo sul Nilo. Sullo stesso fiume si recò brevemente in crociera di piacere con Cleopatra prima di lasciare l’Egitto.


SOMMARIO

VI. OTTAVIANO AUGUSTO E MARCO AGRIPPA - LA PACE SULLA TERRA E SUI MARI

GUERRA SICULA

Una delle più deleterie filiazioni delle guerre civili fu rappresentata dal secondogenito di Pompeo Magno, Sesto Pompeo. Questi occupò la Sicilia l’anno dopo la morte di Cesare ed esercitò per molti anni la pirateria contro Roma e l’intera Italia, utilizzando una flotta ingente armata da elementi ribelli, proscritti e schiavi fuggiti, ed avvalendosi, come ammiragli, di personaggi che erano stati dei capi pirati catturati da suo padre. I triumviri tentarono di rimuovere questo problema con la diplomazia e con le armi, senza ottenere alcun risultato.
Nel 37 a.C., Ottaviano decise infine di dare il massimo impulso alla guerra contro questa esiziale pirateria, ponendo al comando della propria flotta un uomo eccezionale, il suo amico Marco Agrippa, che si rivelerà il più grande degli ammiragli di tutti i tempi.
Agrippa fece costruire una flotta imponente ed un nuovo porto per ospitarla ed addestrarvi gli equipaggi: il Porto Giulio, costituito dall’unione dei laghi Lucrino ed Averno, venne infatti sfruttato durante tutto il successivo inverno per compiervi delle continue esercitazioni navali.
Nella primavera del 36 a.C., scattò il piano studiato da Ottaviano ed Agrippa per prendere la Sicilia in una morsa, attaccandola da tre direzioni: Ottaviano e Lepido dovevano sbarcare con le truppe da levante e da sud-ovest, mentre la nuova flotta doveva avvicinarsi da nord al comando di Agrippa. Quest’ultimo sconfisse due volte per mare la flotta avversaria, la prima volta nelle acque di Milazzo, privando i pirati di trenta navi, la seconda volta in quelle di Nauloco, ove egli riportò la vittoria decisiva (3 settembre 36 a.C.): Sesto Pompeo, avendo perso quasi tutte le sue navi (ne salvò solo 17 su 350), fuggì in Asia minore.

GUERRA AZIACA

L’ultima grande minaccia navale contro Roma provenne dall’oriente ellenistico che, sotto l’egida alessandrina, compì un estremo tentativo di ridestare il sogno della propria egemonia, nel ricordo esaltante di Alessandro Magno. Nel 32 a.C. Marco Antonio, ormai privo di qualsiasi autorità (il triumvirato era spirato l’anno prima), si era sposato con Cleopatra, con la quale conviveva ad Alessandria da cinque anni, ed aveva con lei promosso la raccolta di ingenti forze di terra e di mare con il contributo di tutti regni e le regioni del Mediterraneo orientale.
Nell’autunno dello stesso anno l’immensa flotta orientale - che includeva, fra navi da guerra e mercantili, 200 navi alessandrine ed altre 800 con equipaggi ellenici o egiziani - salpò dal Pireo ed entrò nello Ionio, dirigendosi verso l’Italia. Avendo tuttavia percepito, tramite alcune navi esploratrici, la presenza della flotta di Agrippa che pattugliava a sud del canale d’Otranto, Antonio e Cleopatra decisero di ancorare la flotta ad Azio, per svernarvi.
Marco Agrippa operò subito nello Ionio per bloccare quella flotta ed intercettarne tutti i rifornimenti marittimi. Dopo l’inverno sconfisse in due battaglie navali delle formazioni nemiche che avevano azzardato qualche sortita. Essendo poi stato raggiunto dal console Ottaviano, sbaragliò nelle acque di Azio l’intera flotta orientale che tentava di forzare il blocco, catturando 300 poliremi e distruggendo le altre, tranne le 60 navi di Cleopatra che presero la fuga seguite da Antonio (2 settembre 31 a.C.). I due sconfitti persero la vita l'anno dopo, quando Ottaviano entrò ad Alessandria ed aggiunse l’Egitto alle province del popolo romano.
Ne seguì il lungo periodo di pace interna e di prosperità che caratterizzò l’Impero.


SOMMARIO

VII. SICUREZZA SUI MARI E LIBERTA’ DI NAVIGAZIONE - LE FLOTTE IMPERIALI

LA MARINA IMPERIALE DI ROMA

Marco Agrippa - che fu amico, ammiraglio, genero e infine collega di Augusto – fu anche il padre della Marina che, costituita per la guerra Sicula e migliorata per la guerra Aziaca, si tramutò poi nella struttura permanente che rimase in servizio per l’intera durata dell’Impero.
La nuova Marina imperiale di Roma venne organizzata secondo un disegno generale che ha la chiara impronta della competenza navale di Agrippa. Quale principale base navale permanente venne prescelta la sede di Miseno, attigua al Porto Giulio, che era divenuto esuberante e trovò un migliore impiego ai fini civili. Ma la soluzione adottata per il porto Giulio venne concettualmente replicata, sfruttando il lago Miseno e collegandolo al mare. Il complesso portuale venne allestito con tutte le necessarie opere marittime e strutture logistiche, incluso un acquedotto ed enormi cisterne idriche.

RUOLO DELLE FLOTTE

Anche se Roma imperiale deteneva la piena sovranità sull’intero Mediterraneo, l'assenza di altre grandi potenze marittime non significava che il mare potesse ritenersi definitivamente sicuro; occorreva comunque mantenervi una presenza navale permanente, visibile e credibile, per inibire il rifiorire di qualsiasi minaccia al regolare svolgimento delle attività marittime, molte delle quali permanevano di necessità vitale per l'Urbe e per molte altre città dell’Impero.
La principale funzione delle flotte imperiali di Roma fu quindi quella di vigilare sul mare, sulle aeree marittime e sui grandi fiumi, al fine di mantenervi le necessarie condizioni di sicurezza, rispetto della legalità e libertà di navigazione. La silenziosa operosità della Marina fu pertanto uno dei fattori chiave della Pax Augusta.

CARTA 3 - LE FLOTTE ROMANE DELL'ALTO IMPERO

Dislocazione delle flotte imperiali di Roma nelle loro basi principali (indicate con un cerchio) ed in altre abituali sedi di rischieramento di gruppi navali (sedi indicate con un quadrato contrassegnato dal numero corrispondente al numero d'ordine della Flotta madre).

FLOTTE ISTITUITE DA AUGUSTO

Le prime flotte romane permanenti vennero istituite da Augusto, al fine di non disperdere l'efficiente strumento navale creato da Marco Agrippa. La grande flotta romana vittoriosa venne mantenuta nei mari d’Italia, suddivisa fra la base principale di Miseno (Flotta Misenense) e quella di Ravenna (Flotta Ravennate), mentre le navi migliori catturate ad Azio vennero inviate a Foro Giulio, odierna Fréjus (Flotta Forogiuliense). Sotto il principato di Augusto vennero altresì costituite una flotta sui fiumi Sava e Danubio (poi chiamata Flotta Pannonica), un’altra sul Reno (poi chiamata Flotta Germanica), e due flotte in Egitto: una ad Alessandria (Flotta Alessandrina) ed una ad Arsinoe, odierna Suez, sul Mar Rosso (Flotta Arabica, usata per la spedizione di Elio Gallo e più tardi ricostituita da Traiano).

FLOTTE ISTITUITE DAGLI ALTRI IMPERATORI

Si debbono invece agli imperatori successivi le seguenti altre flotte permanenti: la Flotta Britannica, formalmente costituita nella Manica da Claudio intorno al valido nucleo creato da Gaio Caligola; la Flotta Pontica, costituita nel Mar Nero da Nerone; la Flotta Siriaca, la costituita nel Mediterraneo orientale da Vespasiano; una flotta sul basso Danubio (la Flotta Mesica), creata da Domiziano. Completano il quadro delle flotte dell’alto Impero, l’effimera nuova Flotta Libica, costituita in Cirenaica probabilmente da Commodo, e la Flotta Mesopotamica, che operò sull’Eufrate e sul Tigri sotto vari imperatori, da Traiano a Giuliano. Nel periodo del basso Impero, quasi tutte queste flotte vennero frammentate in reparti più piccoli, accentuando la presenza sui fiumi a scapito di quella sui mari.


SOMMARIO

VIII. COSTRUZIONI NAVALI E OPERE MARITTIME - L’INGEGNERIA NAVALE ROMANA

OPERE MARITTIME

Nelle costruzioni navali e nelle opere marittime i Romani seppero riversare tutta la loro maestria di edificatori di strutture rispondenti ed affidabili, con l'applicazione di tecniche sofisticate ed innovative, sia nel campo dell'ingegneria navale, sia in quello dell'ingegneria marittima e costiera. In tale ambito, in particolare, essi arricchirono tutte le coste del Mediterraneo e dell’Oceano di opere portuali ed altre strutture marittime intese ad incrementare la consistenza, l'efficienza e la sicurezza dei collegamenti navali. Vennero, in effetti, allestiti numerosi nuovi porti marittimi e fluviali, potenziati quelli esistenti e resi tutti più sicuri con la costruzione di estese dighe foranee fabbricate secondo i canoni accuratamente descritti da Vitruvio nel suo trattato sull’architettura. Se ne sono conservate ampie testimonianze su tutte le coste che appartennero all’impero romano e che tuttora custodiscono molti resti di porti e fari dell’antica Roma.

PORTUS AUGUSTUS URBIS ROMAE

I Romani dedicarono ovviamente le loro maggiori risorse alla realizzazione del grandioso complesso portuale della Città eterna, affiancando all'originario porto di Ostia, il vasto porto imperiale che venne denominato “Porto”, o anche “Porto Augusto”, ed i cui notevoli resti sono visitabili nei pressi dell’aeroporto internazionale Leonardo da Vinci di Roma-Fiumicino.
Completato fra il principato di Claudio e quello di Traiano, si trattò del più ampio e razionale porto marittimo artificiale del mondo classico, con capacità tali da imporsi come nodo centrale e privilegiato della vasta rete delle comunicazioni marittime dell’Impero. Era costituito da un ampio bacino esterno e di un bacino esagonale interno più riparato, entrambi scavati artificialmente e collegati fra di loro e con il Tevere da un sistema di canali e darsene. Le strutture portuali, intorno alle quali fiorì la città di Porto, erano dotate di portici e grandi magazzini per le merci, oltre agli ausili alla navigazione interna ed all’ormeggio. Fra le estremità delle due dighe foranee, vi era una statua colossale di Nettuno e l’isola artificiale con il grande faro, che indicava ai naviganti l’accesso, dal mare, al centro del mondo.

NAVI GIGANTESCHE

I Romani evidenziarono un’analoga perizia nelle costruzioni navali, che assicurarono loro il dominio del mare e l’intensivo utilizzo del trasporto navale, sul mare stesso e su ogni corso o specchio d’acqua navigabile. I loro cantieri navali produssero un’infinità di navi, alcune delle quali molto grandi, come certe navi lapidarie adibite al trasporto di carichi di marmo, o le fastose poliremi che Caligola utilizzò per navigazioni di piacere al largo della Campania, o la nave gigantesca che lo stesso imperatore fece costruire per il trasporto dell’obelisco Vaticano, e che Plinio giudicò “la più mirabile di tutte le navi che si fossero mai viste sui mari”.
Una parziale percezione della qualità di questi colossi ci è stata fornita dalle due imponenti navi recuperate nel lago di Nemi negli anni 1928-31 (purtroppo incendiate durante la guerra). Dall’esame di quegli eccezionali reperti, si è avuta l’evidenza degli ammirevoli risultati conseguiti dai Romani nell’architettura navale (incluso il rivestimento metallico degli scafi), nella meccanica (ruote dentate, piattaforme girevoli, ecc.), nell'idraulica (tubazioni, valvole e pompe) e nell'attrezzatura marinaresca (bozzelli, carrucole, timoni ed ancore).

COSTRUZIONI NAVALI

Le conoscenze acquisite negli anni più recenti, con i più accurati accorgimenti consentiti dall'archeologia subacquea, hanno consentito di verificare che le stupefacenti tecnologie usate per le navi di Nemi non erano una eccezione, essendosi individuata la presenza di svariate analogie anche su relitti di navi marittime di dimensioni più comuni. Inoltre, la fitta presenza di tali relitti, disseminati in tutte le acque che bagnarono l’impero romano, costituisce una conferma dell’elevata consistenza del naviglio mercantile in epoca imperiale, come è stato spesso riferito dalle antiche fonti letterarie. L'ingegneria navale romana - che aveva costituito la potente corporazione dei fabri navales - seppe quindi effettivamente ottimizzare le capacità dei cantieri, ponendoli in condizione di soddisfare largamente le esigenze di naviglio in tutto l’Impero, nonché di fornire dei prodotti di elevata qualità ed in linea con i migliori canoni dell'arte marinaresca.


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IX. LE NAVIGAZIONI DEI ROMANI - COMMERCIO, VIAGGI, ESPLORAZIONI

REGIME DEI MARI

Dopo aver acquisito il pieno dominio del Mediterraneo e di tutte le altre acque che bagnavano il suo impero, Roma - indiscussa maestra del Diritto - sancì la libertà di utilizzo del mare da parte di tutti, purché non venissero lesi i diritti altrui. Ciò venne basato sul convincimento che il mare rientrasse nel novero delle “res communes omnium”, cioè nella categoria dei beni di proprietà comune del genere umano.
Il principio generale di libero utilizzo del mare includeva, oltre alla libertà di sfruttamento delle risorse marine, anche e soprattutto il principio basilare della libertà di navigazione. Tale libertà era riconosciuta sia sul mare, sia sui fiumi, naturale prosecuzione delle rotte marittime.

COLLEGAMENTI MARITTIMI

Avvalendosi delle loro capacità tecniche ed organizzative, i Romani conseguirono uno straordinario sviluppo delle linee di comunicazioni marittime, consentendo tutti i collegamenti ed i rifornimenti necessari a Roma, oltre al più intensivo e benefico interscambio fra tutte le sponde dell’Impero. È stato calcolato che la flotta mercantile in attività durante il periodo dell’Impero romano abbia raggiunto delle dimensioni tali da rimanere insuperate fino al XIX secolo, quando fiorirono le grandi compagnie di navigazione dell’epoca moderna.
Tale situazione incentivò il commercio ed i viaggi per mare, oltre al prolungamento delle rotte verso le coste più remote, alla ricerca di traffici più lucrosi.

NAVIGAZIONI VERSO NORD

Fin dall’inizio dell’Impero, diverse esplorazioni navali delle acque oceaniche settentrionali vennero condotte da flotte da guerra romane. In particolare, di tutte le navigazioni effettuate da queste ultime al largo della Germania, spicca quella della flotta di Augusto che, al comando di Tiberio, superò il capo Skagen, a nord della Danimarca, in direzione del Baltico.
Ancor più a settentrione si spinse la flotta di Giulio Agricola, che, durante il principato di Domiziano, circumnavigò la Britannia, prese possesso delle Orcadi e navigò anche molto oltre, giungendo – si disse – fino ad avvistare la misteriosa isola di Tule (che doveva presumibilmente essere collocata oltre il Circolo polare artico). Da una testimonianza più tarda, risulta che i Romani abbiano poi stabilito dei collegamenti navali anche con quell’isola.
Sono comunque più certe le notizie relative alle attività delle navi mercantili romane che commerciavano nelle isole Frisone, soprattutto per l’ambra, ed entravano anche nel Baltico, ove avevano contatti con le popolazioni della costa orientale, che vendevano l’ambra a minor prezzo.

NAVIGAZIONI VERSO SUD

Al largo della sponda africana dell’Oceano Atlantico, i Romani navigavano partendo dal porto di Tingi (Tangeri). Non essendovi significative opportunità di commerci, essi ebbero una saltuaria frequentazione delle isole Fortunate (Canarie).
Sul Mar Rosso, i Romani disposero di diversi ottimi porti, fino a quello di Berenice, che fu l’avamposto più meridionale dell’Impero. Dall’inizio del II secolo, essi ripristinarono anche il collegamento navale fra il Mediterraneo e il predetto mare, attraverso il Nilo e un canale navigabile (detto Fossa Traiana).
Essi mantennero dei commerci marittimi con le popolazioni del Corno d’Africa, spingendosi anche lungo la costa più a sud, circa all’altezza di Zanzibar.
I Romani ebbero peraltro varie testimonianze di circumnavigazioni dell’Africa avvenute fra gli ultimi due secoli della repubblica e il principato di Augusto.

NAVIGAZIONI PER L’ORIENTE

Il commercio marittimo dei Romani si spinse risolutamente nell’Oceano Indiano fin dal principato di Augusto, interessando innanzi tutto i porti meridionali dell’Arabia Felice (Yemen) e vari porti dell’India occidentale. Esso raggiunse sicuramente l’isola di Taprobane (Ceylon) durante il principato di Claudio, spingendosi quindi sul versante orientale dell’India fino alle foci del Gange. All’epoca dei Flavi, tutte le rotte per l’India erano perfettamente conosciute: Plinio il Vecchio che ne fornisce il completo itinerario, unitamente ai periodi ottimali per i percorsi di andata e di ritorno, tenuto conto dell’alternanza stagionale dei monsoni.
A partire dal principato di Traiano, quando la Mesopotamia divenne una provincia romana, l’India fu raggiungibile anche attraverso il Golfo Persico, con una rotta molto breve e collegata al Mediterraneo dall’Eufrate (che transita non lontano dalle coste siriache).
Nel contempo i traffici navali romani avevano iniziato ad estendersi ulteriormente verso oriente, in direzione del Mar Cinese meridionale e della Serica (Cina).

CARTA 4 - TUTTE LE ROTTE PORTANO A ROMA

“Qui affluisce, da ogni parte della terra e del mare, quello che producono le varie stagioni, le singole regioni, e fumi e paludi e industrie ...
E così numerose approdano qui le navi mercantili, in tutte le stagioni, ad ogni mutare di costellazione, cariche di ogni sorta di mercanzie, che l’Urbe si può paragonare al grande emporio generale della Terra. ...
Partenze ed arrivi di navi si susseguono senza sosta; c'è da meravigliarsi che non nel porto ma nel mare ci sia abbastanza posto per tutte le navi mercantili.”

Publio Elio Aristide (II secolo d.C.)
[tratto da Elio Aristide, In Gloria di Roma, Edizioni Roma, Roma, 1940]

CARTA 5 - Planisfero con le rotte seguite dai Romani verso i confini dell’ignoto.


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X. I ROMANI E IL MARE - GODIMENTO DELLE RISORSE MARITTIME

A CONTATTO DEL MARE

Fra i molteplici sintomi della costante attrazione che il mare ha esercitato sui Romani, uno di quelli che assumono la maggiore evidenza è rappresentato dalla predilezione romana per le situazioni che consentissero di godere appieno del contatto con il mare.
Lo si riscontra soprattutto dalla diffusione delle loro ville marittime, i cui resti si ritrovano tuttora lungo tutte le nostre coste, con particolare frequenza nei punti più belli del litorale del Lazio, della Campania e delle isole. Alcune incantevoli aggregazioni di ville marittime si formarono già nei tratti costieri più vicini a Roma, come nella zona di Alsio (nei pressi di Ladispoli), località marina molto rinomata, e in quella di Laurento (fra Ostia e Tor Paterno).
Ma le coste più apprezzate dai Romani per le loro bellezze naturali furono quelle del golfo di Napoli, tutte disseminate di sontuose ville marittime fino alla costiera sorrentina. La vera e propria Riviera dell’epoca era costituita dal tratto più occidentale del golfo, fra Miseno e Baia.
“Nulla al mondo splende più dell’ameno golfo di Baia” scriveva Orazio. Su quelle rive, decantate come un luogo di delizie per gli impianti termali e la dolce vita che vi albergava, le ville più lussuose erano affacciate sul mare, dotate di approdi, pontili ed altre strutture costruite nell’acqua, oltre a vivai per i pesci, barche per la pesca e imbarcazioni da diporto.

ACQUA MARINA

La risorsa del mare sfruttata dai Romani fin dalle epoche più arcaiche è il sale marino. Essi lo trassero inizialmente dalle saline naturali delle antiche lagune costiere prossime alla foce del Tevere, e successivamente da saline appositamente costruite.
Venne inoltre utilizzata dai Romani la stessa acqua marina, sapientemente incanalata per fornire il necessario ricambio alle grandi vasche dei vivai costieri. Tali vivai, di cui erano dotate le maggiori ville marittime, venivano costruiti secondo dei canoni molto rigorosi (illustrati da diversi autori latini) ed erano oggetto delle amorevoli cure degli stessi proprietari. Essi venivano per lo più utilizzati per soddisfare le esigenze di pesce della villa stessa. Vi furono tuttavia dei celebri esempi di grandi vivai realizzati per allevare grandi quantità di frutti di mare e di pesci prelibati, che venivano poi venduti traendone lauti guadagni.

FAUNA MARINA

La più nota delle ricchezze racchiuse dal mare era la fauna marina. I Romani ne erano degli intenditori particolarmente competenti, tanto che Plinio il Vecchio osserva che le innumerevoli specie viventi negli oceani erano perfino meglio conosciute della fauna terrestre.
A Roma il pesce veniva venduto presso l’antico Porto Tiberino, laddove c’era un apposito mercato (il Forum Piscarium, citato da Varrone). L’elevata domanda fece fiorire in tutti i mari le attività di pesca, con importanti benefici economici. Lo straordinario incremento della pesca, soprattutto nel Tirreno, fece addirittura paventare che la fauna potesse impoverirsi. Ciò determinò anche l’assunzione di interessanti iniziative di ripopolamento ittico.
Oltre ai prodotti alimentari, vennero attivamente ricercati in mare anche quelli per gli articoli di lusso, come i coralli, le perle, le porpore e le conchiglie per i cammei.

ASPETTI GUSTOSI E LUDICI

La persistente passione dei Romani per il pesce venne accompagnata da un gusto sempre più raffinato ed esigente. Molti autori latini, anche fra quelli più rinomati (ad iniziare dal poeta Quinto Ennio), amarono includere nei loro scritti qualche breve saggio di gastronomia, dando ampio risalto alla prelibatezza dei pesci, dei crostacei e dei molluschi marini. Essi fornirono altresì, per le specie marine più amate a tavola, delle particolareggiate indicazioni sui mari che ne producevano le migliori qualità.
Il mare fu costantemente presente nelle mense dei Romani anche attraverso il condimento ch’essi adoperavano per quasi tutte le pietanze: il garum, considerato il più prezioso dei liquori, dal sapore forte e salato, era ottenuto dalla fermentazione di un composto costituito da tagli accuratamente selezionati di pesce, erbe aromatiche e sale.
Il mare ispirò infine vari giochi nautici organizzati in occasione di particolari eventi e per le feste di Nettuno, con delle gare simili alle regate di canottaggio e delle naumachie. Queste ultime, con la rappresentazione di battaglie navali, costituirono certamente il più grandioso dei pubblici spettacoli romani.


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