Rivista bimestrale Voce Romana
n° 15 - maggio-giugno 2012

Monumenti Navali di Roma (IX)


La Basilica di Nettuno


di DOMENICO CARRO


Quando Augusto introdusse le misurate ma decisive innovazioni istituzionali che diedero inizio al principato, ovvero alla fase storica che noi chiamiamo l'Impero, la situazione generale dell'Italia e delle province si era stabilizzata grazie al felice esito delle tre guerre navali che avevano ripristinato la sicurezza dei tre mari della nostra Penisola (in sequenza: il Tirreno, l'Adriatico e lo Ionio) e consentito di far cessare i conflitti nell'intero Mediterraneo e su tutte le terre circostanti. Per preservare il mantenimento di quella straordinaria situazione di pace, che il mondo antico non aveva mai conosciuto, l'imperatore istituì le forze armate permanenti. In effetti, per quanto paradossale possa sembrare, fino ad allora i Romani non le avevano mai avute: essi avevano conquistato un impero costituendo di volta in volta le legioni e le flotte che risultavano necessarie e congedando il relativo personale al cessare dell'esigenza. Sotto questo aspetto, Roma non avrebbe mai potuto considerarsi una "potenza militare" così come l'intendiamo oggigiorno. Ma dopo l'avvento della pace risultò chiaro che la pace stessa non avrebbe potuto essere mantenuta senza la continua presenza di forze in grado di dissuadere chiunque dal turbarla.

Nel campo navale, pertanto, tutte le navi da guerra efficienti furono mantenute in servizio. In particolare, le poderose forze navali che Marco Agrippa aveva creato e condotto alla vittoria in tre guerre nell'arco di soli sette anni (dalla Guerra Sicula ad Azio) furono suddivise in due flotte: la maggiore venne dislocata nel Tirreno, ove fu per essa allestita la base navale di Miseno (Flotta Misenense), mentre quella minore fu schierata in Adriatico, nella base navale di Ravenna (Flotta Ravennate). Le navi avversarie catturate nel corso della battaglia navale di Azio furono invece condotte nel Mar Ligure, nel porto di Foro Giulio (attuale Fréjus), costituendo una flotta destinata a completare la protezione dei mari d'Italia (Flotta Forogiuliense). Una quarta flotta fu radunata nel Mediterraneo orientale, dislocandola nel porto di Alessandria in modo da poter prevenire ogni minaccia sia nell'area marittima da cui partivano i maggiori rifornimenti di grano destinati a Roma, sia lungo il corso del Nilo (Flotta Alessandrina). Infine una quinta flotta marittima fu allestita nel Mar Rosso, basandola ad Arsinoe (odierna Suez), per il controllo di quelle acque (Flotta Arabica). Tre ulteriori flotte furono costituite sui due grandi fiumi di confine: una sul Reno (Flotta Germanica) e due sul Danubio (Flotta Pannonica e Flotta Mesica).

Questo imponente dispositivo navale per la sicurezza dell'Impero fu poi potenziato dai successivi imperatori, che crearono le seguenti ulteriori forze navali: la Flotta Britannica, allestita da Caligola e Claudio nella Manica, con base principale a Bononia (odierna Boulogne); la Flotta Pontica, costituita da Nerone nel Mar Nero, con base principale a Trapezunte (odierna Trebisonda); la Flotta Siriaca, utilizzata a partire da Vespasiano fra i porti della Siria e quelli dell’Asia minore; la nuova Flotta Libica, costituita da Commodo a Cirene; la Flotta Mesopotamica, allestita per la prima volta da Traiano ed utilizzata poi in tutte le maggiori spedizioni romane contro i Parti e contro i Persiani, operando prevalentemente sull’Eufrate e occasionalmente sul Tigri.

Vi è purtroppo una penosa scarsità di notizie sull'attività delle flotte nelle poche e frammentarie fonti storiche di cui disponiamo per il periodo dell'Impero (più che altro si tratta di biografie degli imperatori, con maggiore attenzione alle dicerie ed al "gossip", che non alle azioni concrete e storicamente rilevanti; grosso modo come accade tutt'oggi). Ciò nonostante, i dati che ci sono pervenuti forniscono comunque l'evidenza del ruolo particolarmente incisivo e determinante assolto dalle forze navali romane nel tutelare la sicurezza dei mari e dei confini fluviali.
A questo proposito va sottolineato che i Romani non sfruttarono il loro assoluto dominio del mare per privilegiare i propri armatori a scapito di quelli delle altre popolazioni. Essi sostennero, al contrario, che il mare rientrasse nella categoria dei beni di proprietà comune dell'intero genere umano, come l'aria e l'acqua corrente: ne discendeva il principio della libertà della navigazione, della pesca e dell'utilizzo delle risorse marine (il sale, le spugne, le conchiglie, la porpora, le perle, i coralli, la stessa acqua marina per i vivai, ecc.).
La presenza continua e silenziosa delle flotte in tutti i mari romani consentì dunque di assicurare che ogni attività marittima vi si svolgesse nel rispetto della legge ed al riparo da sopraffazioni e da atti di pirateria. In tal modo venne favorito un eccezionale sviluppo dei traffici navali, che divennero un importante fattore della crescita del benessere e costituirono l'efficiente rete di comunicazione attraverso la quale Roma poté governare ed amministrare il proprio immenso Impero, disteso lungo tutte le sponde del vasto bacino del Mediterraneo.

All'origine di questo portentoso risultato vi fu dunque, come si è detto, la razionale organizzazione delle forze navali romane, suddivise in flotte permanenti basate nei porti strategicamente più appropriati, secondo l'innovativo criterio che, messo a punto dalla lungimiranza di Augusto e dalla competenza navale di Agrippa, divenne il modello cui si ispirarono tutte le maggiori potenze navali delle epoche successive: da Venezia e le altre Repubbliche marinare, fino alle grandi nazioni coloniali, all'ex-Unione Sovietica (durante la guerra fredda) ed agli Stati Uniti d'America.

Nella Città Eterna le due flotte imperiali basate in Italia mantennero dei distaccamenti permanenti costituiti da reparti di classiari (la fanteria di marina dei Romani), inizialmente accasermati insieme ai pretoriani nel Castro Pretorio e successivamente in due nuove caserme costruite sull'Esquilino (Castra Misenatium) ed a Trastevere (Castra Ravennatium).
Tali collocazioni, in vicinanza del Colosseo e della Naumachia di Augusto, fanno comunemente arguire che la presenza dei militi navali a Roma fosse motivata dalla necessità di manovrare l’enorme velario che copriva l'anfiteatro e di assicurare il corretto svolgimento degli spettacoli di battaglie navali. In effetti, dal personale delle flotte vennero svolti anche questi compiti, ma solo come attività ampiamente secondarie rispetto al ruolo d'istituto dei classiari, bene addestrati al combattimento a bordo e sui luoghi di sbarco, e pertanto più idonei per specifici compiti di sicurezza: ad esempio, per i servizi navali nell'Urbe, per l'imbarco dell'Imperatore o di alti funzionari incaricati di missioni di Stato, per l'arrivo di monarchi, principi o ambasciatori stranieri che giungevano a Roma sul Tevere, ecc.

Oltre ad essere sede di distaccamenti delle due flotte maggiori, la città di Roma fu anche ampiamente debitrice nei confronti di Marco Agrippa. Infatti questo prezioso amico, ammiraglio, genero ed infine collega di Augusto nella dignità imperiale (fu co-imperatore a tutti gli effetti), ha avuto un ruolo primario nell'abbellimento augusteo dell'Urbe, erigendo a proprie spese una moltitudine di edifici pubblici di gran pregio, ad iniziare dal Pantheon, sul cui frontone - pur ricostruito da Adriano dopo un incendio - tuttora campeggia a grandi lettere il suo nome.

Nel lunghissimo elenco dei monumenta Agrippae, si trovano moltissime opere legate all'acqua: due acquedotti nuovi ed un terzo ripristinato; un nuovo ponte sul Tevere; un lago artificiale al centro del Campo Marzio ed il relativo ampio canale emissario fino al fiume; una fittissima rete idraulica, con centinaia e centinaia di cisterne e bacini, oltre a 500 fontane pubbliche; il miglioramento della rete fognaria, dopo una lunga navigazione compiuta personalmente dallo stesso Agrippa all'interno della Cloaca Massima per ispezionarla; le ampie Terme di Agrippa, che furono le prime terme pubbliche di Roma ed i cui maestosi resti sono ancora visibili in Via dell'Arco della Ciambella.

Fra i monumenti più direttamente ispirati alle vittorie navali di Agrippa, vi fu il Portico degli Argonauti, un presunto Tempio di Nettuno (di cui non si è ancora individuata alcuna traccia) e la Basilica di Nettuno. Di quest'ultimo edificio, restaurato da Adriano, si è conservata la parete settentrionale, addossata al retro della ricostruzione adrianea del Pantheon. Questa parete, al centro della quale vi è l'ampia abside che doveva verosimilmente contenere la statua colossale di Nettuno, è interamente visibile da Via della Palombella, che corre ad essa parallela, coprendo parte dell’antico pavimento.
La basilica, lunga 45 metri e larga una ventina, non era un edificio di culto ma, come tutte le basiliche romane, un luogo pubblico utilizzato per incontri di vario genere. L'aula interna, il cui ingresso era al centro della parete meridionale, rivolta verso le Terme di Agrippa, aveva quattro alte colonne addossate a ciascuno dei lati maggiori. Al di sopra permane ancora visibile parte della trabeazione, il cui fregio decorativo include il tridente di Nettuno attorniato da due delfini, ovvero il ricorrente motivo romano simboleggiante l'imperium maris: il dominio del mare. Ad entrambi i lati di tali elementi sono rappresentati degli aplustri di navi da guerra, per accentuare il riferimento alle flotte romane vittoriose.

© 2012 - Proprietà letteraria di DOMENICO CARRO.

  

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