Dal catalogo « Caligola, la Trasgressione al Potere »,
a cura di Giuseppina Ghini
Gangemi Editore, Roma, 2013

GAIO E LE NAVI

Esperienze e impiego dello strumento navale
da parte del giovane imperatore

di DOMENICO CARRO

Sapientia gubernator navem torquet,     
non valentia
[1]


SOMMARIO

  1. La marina della pace augustea
  2. Seconda infanzia in Germania
  3. Dall’Oriente a Capri
  4. Le navigazioni nella burrasca
  5. Il ponte di navi
  1. Operazioni in Germania
  2. Operazioni verso la Britannia
  3. Operazioni nel Mediterraneo
  4. Costruzioni navali e opere marittime
  5. L’ultima navigazione
© 2013 - Proprietà letteraria di DOMENICO CARRO.

  

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SOMMARIO ROMA MARITTIMA NAVIGARE NECESSE EST home

I. La marina della pace augustea


Il giovane imperatore Gaio
(Museo Archeologico di Venezia)

Fra i più comuni (e più moderati) rilievi mossi al terzo imperatore di Roma vi è quello della sua insufficiente preparazione all’assunzione della suprema carica dello Stato, visto che egli non venne preventivamente investito di alcuna delle più impegnative magistrature del cursus honorum, come invece era accaduto ad altri rampolli destinati al principato, quali Gaio Cesare, Lucio Cesare, Tiberio e Germanico [2]. Non essendo possibile analizzare tale problema nella sua interezza, poiché non ci è dato di conoscere in quali campi si sia effettivamente sviluppato il lungo tirocinio caprese cui Tiberio ha personalmente sottoposto il suo successore, questo breve saggio si limita ad esaminare il solo aspetto navale, ovvero uno dei settori verso il quale Gaio Caligola ha manifestato una particolare familiarità.

Per meglio inquadrare la questione, prima di prendere in considerazione l’impiego delle navi da parte di questo imperatore, verifichiamo brevemente quale fosse la situazione della marineria romana al momento della nascita del piccolo Gaio e quali esperienze quest’ultimo poté acquisire fin dalla sua più tenera infanzia.

Nell’ambito della graduale costruzione e messa a punto della struttura organizzativa del principato, Augusto aveva tramutato gli esistenti reparti militari in forze armate permanenti. Tale innovazione [3] si tradusse, per la marina, nell’istituzione delle flotte imperiali, la cui impostazione beneficiò visibilmente della competenza navale di Marco Agrippa. Queste flotte, che vennero fin dall’inizio considerate uno strumento al servizio del principe [4], operarono nel Mediterraneo e nell’Oceano, così come nel Mar Nero, nel Mar Rosso [5] e sui grandi fiumi, per fronteggiare peculiari impegni bellici contingenti e per assolvere una vasta gamma di compiti tipici del tempo di pace: per esigenze di Stato ed a garanzia del rispetto della legalità in mare e della libertà della navigazione [6]. La maggiore e di gran lunga più importante delle flotte permanenti fu la Classis Misenensis [7], essendo questa la forza navale preposta alla difesa diretta delle coste tirreniche, quella più attiva nel controllo del Mediterraneo e quella più prontamente utilizzabile da parte del principe. Per quanto concerne la marina mercantile, l’avvento della pax augusta, tutelata sui mari dalla silenziosa vigilanza delle flotte imperiali, aveva favorito un sensibile sviluppo di tutti i traffici marittimi, con particolare enfasi sulla rotta da Alessandria a Pozzuoli [8].

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II. Seconda infanzia in Germania

Gaio Giulio Cesare Germanico è uno di quei rari personaggi la cui vita risulta storicamente significativa fin dai suoi primi anni. Questo, non perché ne siano stati narrati aneddoti prodigiosi circonfusi dal mito – com’era accaduto al suo bisnonno Augusto ed a varie altre ammirate celebrità del mondo antico –, ma in quanto egli si trovò realmente immerso, con un proprio ruolo individuale, in situazioni straordinarie che ebbero una valenza storica e dovettero anche influire sensibilmente sulla sua formazione.

Nato ad Anzio nel terz’ultimo anno del principato di Augusto, il piccolo Gaio lasciò il tepore del Mediterraneo a poco meno di due anni per trasferirsi con la madre in Germania. Fu lo stesso Augusto ad organizzare il suo viaggio [9], facendo sì che Agrippina ed il bambino si ricongiungessero felicemente con Germanico. L’imperatore tuttavia morì in quella stessa estate, dopo aver aggiunto Gaio ed i suoi due fratelli nel proprio testamento, chiamandoli “Cesari” e lasciando loro una parte dell’eredità [10]. Nel frattempo il bambino era divenuto la mascotte dei legionari che, inteneriti nel vederlo andare in giro vestito e calzato come loro, gli avevano attribuito l’affettuoso nomignolo di Caligola [11]. Lo speciale legame che si era così stabilito risultò determinante per disinnescare il successivo ammutinamento delle legioni, poiché fu proprio la presenza del piccolo Gaio a far recedere i soldati dalla loro ostinata ribellione [12].

Ristabilita la disciplina, Germanico condusse nell’arco di tre anni una serie di impegnative operazioni belliche oltre il Reno. Gaio, che visse da vicino questa esperienza fra i suoi due e cinque anni, occupando peraltro una posizione privilegiata in seno alla famiglia [13], poté forse ricordare qualche sfocata immagine del campo o del porto [14], ma certamente anche il racconto di certi fatti clamorosi di cui si continuò a parlare in casa. Nel settore navale: la partenza del padre con la flotta usata per trasportare quattro legioni fino al cuore della Germania ed il successivo suo intervento con la stessa flotta per recuperare due legioni sorprese dal flusso della marea [15]; la costruzione di una nuova ed immensa flotta di 1000 navi [16] a bordo della quale Germanico condusse le sue truppe nel mare del Nord fino al fiume Amisia (Ems), ove poté infine sconfiggere le forze messe in campo da tutte le popolazioni comprese tra il Reno e l’Elba; la travagliata navigazione di rientro della forza navale, severamente falcidiata e dispersa da una tremenda tempesta oceanica; il soccorso navale effettuato dalle unità superstiti per prelevare dalle isole vicine gli uomini che vi avevano trovato riparo [17]; il rientro della spedizione allietato da nuovi successi e da un bilancio ampiamente positivo [18].

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III. Dall’Oriente a Capri

Pochi mesi dopo essere rientrato a Roma ed aver partecipato con i fratelli, proprio a bordo del cocchio del padre, alla celebrazione del trionfo di Germanico, Gaio iniziò a vivere – fra 5 e 7 anni – una nuova esperienza che lo coinvolse in modo talmente diretto che gli sarebbe stato poi impossibile perderne la memoria. Egli fu infatti, ancora una volta, il solo dei suoi fratelli ad accompagnare suo padre nella missione di quest’ultimo nelle province d’Oriente. La navigazione di andata, svoltasi nei mesi autunnali ed invernali, fra burrasche in Adriatico e nello Ionio che danneggiarono le loro navi, una sosta per le riparazioni ed una lunga serie di visite di spiccato interesse affettivo, culturale e politico [19], fu anche un’utilissima palestra per la formazione del carattere e del “piede marino”.

L’anno seguente, Germanico si recò ad Alessandria per un’emergenza provocata dalla carestia e ne approfittò per visitare l’Egitto navigando sul Nilo [20], portando forse con sé il piccolo Gaio o comunque fornendogli fascinose descrizioni al suo ritorno [21]. Poco dopo, tuttavia, egli cadde improvvisamente malato ed in breve tempo si spense. Rimasto orfano di padre all’età di 7 anni, Gaio subì un’inattesa mutazione della propria vita. Compì la navigazione di ritorno in Italia con la madre e la sorellina minore, salpando da Seleucia ed attraversando l’intero Mediterraneo orientale anche questa volta in pieno periodo invernale. Dopo una sosta a Corfù entrarono nel porto di Brindisi, ove Agrippina, seguita da Gaio, scese la passerella sorreggendo fermamente l’urna con le ceneri di Germanico, che portò poi lungo la via Appia fino a Roma, per depositarla solennemente nel Mausoleo di Augusto [22].

I successivi dodici anni Gaio li trascorse a Roma, prima con sua madre, fino a quando Seiano non la fece cadere in disgrazia insieme ai due figli maggiori, privandoli uno dopo l’altro della libertà; poi passò nella casa dell’Augusta Livia, sua bisnonna, e, alla morte di questa, nella casa della nonna Antonia, ove ebbe occasione di stringere dei legami di conoscenza e d’affetto con un gran numero di personaggi di sicuro interesse per la futura politica romana [23]. Infine a 19 anni venne chiamato da Tiberio a Capri, dove egli trascorse i successivi sei anni, avendo un contatto ininterrotto con il mare e con le navi [24]. In tutto quel periodo egli dovette necessariamente mantenere il più severo autocontrollo per non dare alcun appiglio a chi gli avrebbe volentieri fatto seguire la sorte dei due fratelli maggiori; nel contempo egli non si privò di divertimenti attraenti per la sua età, ma fu anche estremamente diligente nel completare la propria preparazione culturale [25], traendo da Tiberio molti insegnamenti utili, in positivo ed in negativo.

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IV. Le navigazioni nella burrasca

Essendo infine subentrato a Tiberio, morto a 78 anni, la prima preoccupazione di Gaio – ancora ventiquattrenne – fu quella di dare l’appropriata sepoltura ai suoi cari. Non appena ebbe celebrato nell’Urbe le esequie del suo predecessore, si imbarcò su di una piccola bireme della Classis Misenensis e, incurante del mare in burrasca, navigò fino alle isole di Ponza e Ventotene per prelevarvi i resti mortali della madre e del fratello maggiore [26]; con la stessa nave egli tornò poi ad Ostia e risalì il Tevere fino al Mausoleo di Augusto, in cui ripose le due urne. La sua confidenza con le navi e il suo coraggio nell’affrontare le tempeste marittime furono confermate in un’altra analoga occasione: quando egli si recò in navigazione in un mare talmente agitato che suo suocero Silano rifiutò di seguirlo, pur essendo sospettato di voler restare a Roma perché coinvolto in un complotto [27].

Gaio aveva dunque conservato intatto il suo “piede marino” ed aveva altresì migliorato la sua conoscenza della navigazione e delle prestazioni delle navi, possedendo in tal modo una buona predisposizione ad utilizzare con competenza ed efficacia lo strumento navale, sia per le esigenze della propria funzione, sia per le finalità della politica estera. È quanto verrà indagato nei successivi paragrafi, verificando, sulla base dei pochi e contraddittori dati disponibili, la rispondenza delle iniziative assunte da Gaio nel campo navale e marittimo, incluse le azioni terrestri che fruirono di un concorso navale.

Va osservato, a margine del nostro tema, che il primo successo personale del nuovo principe in politica estera non derivò da una sua azione, ma dal solo prestigio del suo nome. Nella primavera del 37, infatti, Artabano, re dei Parti, amico dei Romani dall’epoca della missione di Germanico e poi divenuto ostile per disprezzo della politica troppo debole di Tiberio [28], accettò di incontrarsi con Lucio Vitellio, legato pro praetore in Siria, e sollecitò l'amicizia di Gaio, inviando a Roma il proprio figlio Dario come ostaggio [29].

Questo importante risultato, che presenta qualche vaga analogia con la restituzione delle insegne di Crasso da parte del re Fraate [30], inorgoglì certamente Gaio e potrebbe averlo invogliato ad avvalersi prioritariamente della dissuasione per la risoluzione dei contenzioni esterni. Naturalmente non è possibile individuare con certezza quali possano essere state le logiche seguite dal giovane imperatore, visto ch’egli non ha evidentemente goduto di una buona “stampa” [31]. In effetti la maggior parte delle sue azioni risultano occultate da una disinformazione che privilegia gli aspetti marginali, deformandoli in modo caricaturale e malevolo [32]. La nostra ricostruzione storica dovrà pertanto basarsi solo sui pochi elementi attendibili, sfrondandoli da preconcetti [33] e luoghi comuni [34].

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V. Il ponte di navi

Fra le iniziative assunte dall’imperatore Gaio, una di quelle che si presenta a prima vista fra le più strampalate è certamente la costruzione di un lungo ponte di navi attraverso l’intero golfo di Pozzuoli. L’inutilità pratica del ponte stesso e l’apparente vacuità dell’imperatore che vi scorrazzò sopra, prima a cavallo e poi su di una biga trainata da cavalli da corsa, risulterebbero francamente incomprensibili senza esaminare la cosa sotto l’ottica navale e nelle prospettive della politica estera.

Un ponte di quelle dimensioni rappresenta, innanzi tutto, una ben convincente dimostrazione di perizia tecnica, marinaresca ed organizzativa. In effetti non bastò la semplice applicazione, su più vasta scala, della consueta metodologia di costruzione dei ponti di navi sui fiumi [35], poiché l’ambiente marino – ad eccezione degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli [36] – è troppo dissimile da quello fluviale [37]. Quella costruzione dovette pertanto essere studiata ex novo e poi sperimentata per verificarne la rispondenza.


Il pontile monumentale del porto romano
di Pozzuoli (c.d. "molo Caligoliano") in un
piccolo affresco pompeiano e un'incisione
(Bellori 1764, Ichnographia veteris Romae)
riproducente altro affresco antico (perduto).

Il ponte di navi venne realizzato partendo da un preesistente molo di Pozzuoli [38] (già orientato verso Baia) ed attraversando il golfo [39] con una doppia fila di navi onerarie affiancate: in totale sarà servito un migliaio di navi, di cui circa una metà costruite per l’occasione in aggiunta a quelle temporaneamente disponibili in zona [40]. L’utilizzo di queste ultime navi non può aver provocato alcuna carestia, come sostenuto da alcuni [41].

Dopo aver completato la costruzione sovrapponendo alle navi un tavolato ricoperto di terra sul quale si realizzò una strada “come la via Appia” [42], per due giorni la struttura fu oggetto di un collaudo dimostrativo cui Gaio volle dare la massima visibilità, transitandovi sopra in compagnia del giovane Dario [43] e con un imponente seguito di pretoriani, fanti e cavalieri. Con queste forze e con il concorso della flotta Misenense egli condusse poi un’esercitazione militare [44] di difesa del ponte dall’attacco di navi avversarie.

Il complesso e fastoso apparato scenico prescelto da Gaio per attirare gli sguardi sull’intera manifestazione incluse il ricorso al vestiario più solenne [45], un appropriato cerimoniale religioso e l’illuminazione notturna del ponte. L’evidente volontà di conferire all’evento una risonanza tale da renderlo noto fino ai più lontani confini dell’impero, fa ritenere molto verosimile che quel ponte da primato [46] fosse finalizzato all’invio di un monito all’indirizzo dei Britanni [47]. D’altronde, la sottintesa minaccia di varcare lo stretto di Dover con un ponte del genere, ancorché alquanto più lungo, non avrebbe potuto essere considerata, a quei tempi, né velleitaria né tantomeno insensata [48]. Inoltre, Gaio approfittò della esercitazione militare per ostentare il proprio affiatamento con i pretoriani [49].

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VI. Operazioni in Germania

Durante il principato di Tiberio, dopo i successi conseguiti da Germanico [50], la situazione al confine nord-orientale si era alquanto deteriorata, sia per la sollevazione dei Frisoni, che costò ai Romani 900 morti rimasti invendicati [51], sia per l’inerzia dei due legati propretori Gneo Cornelio Lentulo Getulico e Lucio Apronio, rispettivamente preposti alla Germania Superiore ed a quella Inferiore. Gaio volle innanzi tutto rimuovere questi due inaffidabili personaggi [52], di cui almeno uno – Getulico – era anche coinvolto in una grave congiura contro l’imperatore [53]. Per limitare i rischi e cogliere i congiurati di sorpresa, il principe si mosse con grande cautela, partendo dall’Italia all’improvviso dopo aver sostituito i consoli con uomini di sua fiducia [54]. Giunto in Gallia, egli si predispose alla campagna in Germania reclutando un gran numero di soldati, per costituire due nuove legioni [55], e sostituendo Getulico ed Apronio con due uomini di valore: Servio Sulpicio Galba (il futuro imperatore) e Publio Gabinio Secondo.

Circa lo svolgimento delle operazioni volute da Gaio in Germania gli storici antichi ci hanno lasciato solo poche battute derisorie su qualche breve episodio, descritto con inverosimili esagerazioni e penosa superficialità [56]. La ricostruzione storica può tuttavia beneficiare di alcuni altri dati, di più sicura attendibilità [57], consentendoci perlomeno una discreta percezione dei risultati conseguiti.

Nella Germania Superiore, la prima preoccupazione di Gaio e Galba fu quella di ripristinare la disciplina [58], gravemente allentatasi sotto il comando di Getulico. Galba condusse poi delle efficaci operazioni al di là del Reno [59], per qualche tempo anche in presenza di Gaio [60], avviando infine una robusta offensiva contro i Catti [61].

Nella Germania Inferiore, vennero certamente condotte delle azioni sulla fascia costiera a nord del Reno con il concorso delle navi [62] della Classis Germanica [63]. Gaio vi partecipò brevemente, probabilmente subito dopo la sua sosta invernale a Lione [64]. Non abbiamo elementi per accertare lo scopo ultimo di tali operazioni, anche se si capisce che occorreva innanzi tutto recuperare la piena fedeltà dei Frisoni [65]. Sappiamo comunque che nel prosieguo delle operazioni Gabinio dovette affrontare i Cauci [66], a levante dei Frisoni.

Nel complesso delle operazioni in Germania, sembra senz’altro verosimile che qualche buon successo sia stato conseguito mentre Gaio era ancora presente nella provincia [67], ma è indubbio che la piena vittoria arrise a Galba ed a Gabinio l’anno successivo [68]. Gaio ebbe quindi il merito della ripresa dell’iniziativa a nord-est, per la progressiva romanizzazione della Germania transrenana [69], prospettiva che venne purtroppo poi chiusa da Claudio [70].

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VII. Operazioni verso la Britannia

Avendo felicemente avviato le attività che riteneva necessarie in Germania, Gaio si portò sulla costa settentrionale gallica per dedicarsi a quella che potremmo ora chiamare la “crisi britannica”. I rapporti di Roma con i Britanni non erano infatti riducibili alle semplicistiche alternative: guerra o pace, conquista o rinuncia, dominazione o estraneità. Fin dal duplice sbarco navale di Giulio Cesare in Britannia, infatti, i re locali avevano consegnato ostaggi [71], impegnandosi al versamento di tributi annui ed aprendosi, di conseguenza, ai traffici commerciali con il mondo romano. L’avvento di Augusto aveva poi favorito il consolidamento delle relazioni con i sovrani dell’isola [72] – anche grazie ai reiterati preparativi bellici da parte romana [73] – sebbene perdurasse localmente qualche spinta isolazionistica contraria al partito filo-romano [74]. In ogni caso, durante il principato di Augusto buona parte della Britannia poteva esser considerata a disposizione dei Romani, tanto da far valutare che l'eventuale invio di forze militari sarebbe equivalso ad un inutile spreco di risorse [75]. All’inizio del principato di Tiberio perdurò l’atteggiamento amichevole dei re britanni [76], favorendo l’espansione dell’influenza romana [77], ma negli ultimi anni si verificarono preoccupanti disimpegni, anche di un potente sovrano [78].

In tale situazione era divenuto indispensabile indurre tutti i re britanni al fedele rispetto degli obblighi a suo tempo contratti, oppure annettere la Britannia all’impero [79]. Questa alternativa era peraltro di considerevole utilità per il sistema monetario romano [80].

Gaio, dunque, si mosse “come se” dovesse effettuare uno sbarco in Britannia [81], anche se nessuna fonte ha riferito che egli volesse realmente procedere allo sbarco. Non si tratta di un dettaglio trascurabile, poiché non avrebbe senso parlare di successo o fallimento dell’operazione senza avere ben chiaro cosa egli avesse prestabilito di fare [82]. Pur non essendoci pervenuta alcuna indicazione circa gli effettivi intendimenti del giovane imperatore, possiamo comunque partire da una certezza: la stagione invernale ch’egli prescelse per la sua presenza sull’Oceano fa escludere ch’egli avesse pianificato di condurvi proprio allora la traversata con tutte le legioni [83] per lo sbarco in Britannia [84].

Dobbiamo quindi considerare quell’operazione di Gaio verso la Britannia come un’attività dimostrativa, con evidenti finalità deterrenti. Per poter risultare credibile [85] questa attività doveva essere necessariamente inquadrata in una serie di predisposizioni per un effettivo sbarco navale in Britannia, sbarco da effettuarsi in un secondo tempo [86], qualora la deterrenza non avesse fornito dei risultati soddisfacenti. Valutando sotto quest’ottica i pochi dati disponibili [87] si perviene alla seguente ricostruzione [88].


Il faro di Caligola in una stampa del 1725 riproducente
due disegni eseguiti prima del 1644, quando la torre
era ancora integra (Bibliothèque nationale de France)

Non appena arrivato in Gallia, Gaio deve aver subito avviato tutte le predisposizioni navali e marittime necessarie al suo progetto. Nulla di quanto fece, infatti, avrebbe potuto essere improvvisato, né avrebbe potuto essere realizzato in minor tempo. Si trattò, in particolare, della costruzione della flotta [89] – che fu la prima versione, molto consistente, della Classis Britannica [90] –, della predisposizione del porto di Gesoriaco [91] – che doveva accogliere tutte quelle navi [92] – e della costruzione del relativo faro [93], una realizzazione eccezionale [94] destinata a dominare il Passo di Calais per sedici secoli [95].

Nel successivo mese di gennaio 40, Gaio giunse quindi a Gesoriaco per effettuare una vistosa esercitazione navale dimostrativa nello stretto [96]. Imbarcatosi su di una trireme, salpò con tutte le navi combattenti disponibili e, approfittando delle favorevoli condizioni meteo, compì una breve navigazione portandosi probabilmente bene in vista della Britannia [97]. In quella circostanza, infatti, vi fu un tentativo di contrasto da parte di navi britanniche [98], sulle quali le triremi romane riportarono qualche successo [99].

Fu verosimilmente in quella navigazione [100] che Gaio venne raggiunto dal principe Adminio, fuggito da suo padre – il re britanno Cinobellino – per sottomettersi, unitamente alla sua scorta, all'imperatore romano. L'evento venne accolto con comprensibile soddisfazione da Gaio, che lo comunicò al Senato come un successo considerevole [101].

Tornate indietro, le navi hanno poi effettuato su di una vicina spiaggia della costa gallica un’attività che l’attuale dottrina navale chiama “dimostrazione anfibia” [102]: un’operazione che, nell’ostentare l’efficienza del complesso meccanismo dello sbarco navale, prefigurava implicitamente la possibilità di essere replicata per invadere la Britannia.

Dopo queste manovre tre fonti antiche descrivono la raccolta delle conchiglie da parte dei soldati [103], ovvero l’episodio che, per la sua apparenza demenziale, ha dato luogo ad una ridda di tentativi di interpretazione [104]. Eppure, ammesso che sia vero [105], quell’episodio marginale potrebbe ridursi ad una bonaria ed irrilevante concessione dell’imperatore [106].

Nel concludere il suo intervento a Gesoriaco, lasciandovi il maestoso faro quale evidente segno della sua volontà di mantenere attivo il collegamento marittimo con la Britannia ed il sostegno ai re amici del popolo Romano, Gaio organizzò il suo rientro solenne [107] a Roma, sul genere del trionfo navale [108], ma accontentandosi del più modesto livello dell’ovazione [109], di spese contenute [110] e del suo soprannome Germanico [111].

A questo punto Gaio doveva solo attendere che quanto aveva seminato iniziasse a germogliare, ma meno di un anno dopo egli fu trucidato. La crisi britannica giunse subito dopo a maturazione [112], consentendo a Claudio di conquistare la Britannia con i mezzi predisposti da Gaio [113] e con il minimo contrasto [114], come venne scritto sul suo arco [115].

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VIII. Operazioni nel Mediterraneo

Durante il breve principato di Gaio, nel Mediterraneo orientale non si verificarono situazioni di crisi tali da determinare rilevanti interventi navali. Vi fu tuttavia un’occasione in cui l’imperatore sfruttò abilmente il viaggio per mare del re amico Marco Giulio Agrippa (il nipote di Erode il Grande) per verificare l’adeguatezza del governatore in Egitto. Gaio aveva infatti autorizzato il re ad assentarsi temporaneamente da Roma per andare ad ordinare il proprio regno, ma gli raccomandò di non seguire la rotta più breve, da Brindisi alla Siria passando a sud della Grecia e dell’Asia minore, ma quella che risultava più veloce nella stagione estiva, sfruttando i venti etesii che portavano le navi ad Alessandria. La traversata essendosi effettivamente conclusa in pochi giorni [116], il re spedì all’imperatore le informazioni che determinarono l’incriminazione di Aulo Avilio Flacco. Per procedere subito all’arresto di quest’ultimo, Gaio inviò il centurione Basso ed i relativi uomini con una nave velocissima, e gli impartì delle istruzioni particolareggiate per la navigazione e per lo sbarco occulto [117].

Gaio progettò poi un proprio viaggio ad Alessandria da effettuarsi due anni dopo, utilizzando però le navi da guerra e seguendo un percorso alquanto simile a quello ch’egli aveva compiuto con suo padre. Per motivi di sicurezza il viaggio fu rinviato al 41 [118].

Anche nel Mediterraneo occidentale l’attenzione dell’imperatore si concentrò sulle regioni d’oltremare, in Africa, ove egli volle prima razionalizzare la linea di dipendenza della legione III Augusta [119], stanziata nella Numidia, per poi occuparsi della Mauretania, che era ancora un regno tributario governato da suo cugino Tolomeo, pur includendo molte città che avevano lo status di colonie romane. Nel periodo in cui si trovava in Gallia, Gaio ordinò l’arresto di questo re, probabilmente implicato nel complotto di Getulico [120], e lo fece giustiziare. Per la Mauretania, egli decise molto opportunamente di annetterla [121], senza lasciarsi condizionare dalle scelte operate in precedenza [122].

L’occupazione della Mauretania, destinata ad essere divisa in due province [123], venne inizialmente ostacolata dalla rivolta di Edemone nella Tingitania [124]. La reazione di Gaio fu immediata: anziché ricorrere alla legione III Augusta, per non sguarnire la Numidia [125], fece imbarcare dalla Spagna e dalla Siria – sulle navi delle flotte di Miseno e Ravenna [126] – consistenti forze che sbarcarono nella Tingitania [127], consentendo al comandante romano, Marco Licinio Crasso, di sconfiggere Edemone in breve tempo [128]. La vittoria romana in Mauretania, essendo avvenuta poco prima della morte di Gaio, diede a Claudio l’opportunità di ricevere i suoi primi onori trionfali [129].

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IX. Costruzioni navali e opere marittime

Per completare l’esame delle iniziative di Gaio nel campo navale e marittimo non si può trascurare il rilevante impulso che il giovane principe ha dato allo sviluppo della navigazione, iniziando con la sferzata all’economia impressa con la massiccia immissione di denaro all’inizio del principato [130] – con benefiche ricadute anche sul commercio marittimo [131] che è a sua volta fattore di prosperità [132] – e proseguendo con un crescente numero di commesse imperiali per gli armatori e per i cantieri navali. Un primo contributo alle costruzioni navali venne dato, come si è visto, dalle centinaia di onerarie messe in cantiere per la realizzazione del ponte Pozzuoli-Baia, e che furono ovviamente destinate al normale traffico marittimo al termine di quell’impiego transitorio.

Dei mercantili di maggiori dimensioni furono poi richiesti per il trasporto dei materiali di costruzione impiegati nel vasto programma edilizio avviato da Gaio. Oltre ad utilizzare le grandi naves lapidariae, furono anche messe in cantiere delle navi su misura per dei trasporti eccezionali. Una di queste, fu la nave che fu costruita per portare a Roma la statua di Giove Olimpio [133]. Un’altra, quella considerata la più ammirevole delle navi che si fossero mai viste sui mari, fu quella che portò da Alessandria l'obelisco per il circo Vaticano. Per le sue dimensioni smisurate, essa fu accuratamente conservata da Gaio e poi sfruttata da Claudio come importante elemento di costruzione per il suo porto [134].

Quando si parla di grandi navi romane, il pensiero va naturalmente a quelle più grandi che conosciamo, cioè alle due gigantesche navi di Nemi, il cui recupero negli anni Trenta suscitò l’incredula meraviglia degli studiosi per le loro dimensioni, per la perfezione tecnica della loro architettura e per il loro raffinato allestimento. Gaio le concepì e le utilizzò, verosimilmente, per esigenze di culto [135] e forse anche come navi lusorie.

Tuttavia le fonti antiche, che non fanno nemmeno il più piccolo accenno alle due navi di Nemi, ci fanno capire che gli autentici panfili imperiali di cui si avvaleva Gaio per le sue navigazioni di piacere erano delle colossali poliremi ben più grandi e sfarzose [136]. Anche se queste navi dovevano essere normalmente basate a Miseno, sembra che fossero state temporaneamente dislocate a Ravenna, essendo probabilmente destinate a portare Gaio ad Alessandria, ma venendo poi adoperate trionfalmente da Claudio [137].

Fra le importanti opere marittime volute da Gaio vanno ricordate, oltre al grande faro di Gesoriaco, la costruzione di un eccellente porto a Reggio, quale utile scalo delle navi frumentarie sulla rotta Alessandria-Pozzuoli [138], e l’avvio delle predisposizioni per lo scavo del canale di Corinto, a vantaggio della rotta fra l’Italia e il mare Egeo [139].

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X. L’ultima navigazione

Verso l’inizio della terza decade di gennaio del 41, la Britannia iniziava a risentire favorevolmente delle azioni dimostrative compiute dall’imperatore romano, la Germania era oggetto di due risolute operazioni tese alla sua progressiva romanizzazione fino all’Elba, la Mauretania era stata conquistata annientando l’insurrezione di Edemone, mentre le province ed i regni d’Oriente stavano per beneficiare dell’imminente visita di Gaio ad Alessandria. Tutte queste azioni erano collegate ad importanti movimenti navali. Lo stesso Gaio stava salpando con una squadra navale della Classis Misenensis per trasferirsi da Astura ad Anzio [140], e da lì a Roma. Tuttavia, nel prendere il mare, mostrandosi ancora una volta incurante dei disagi della navigazione invernale, il principe subì un anomalo inconveniente: mentre le navi di scorta lo avevano già preceduto al largo, la sua quinquereme non riuscì a muoversi, nonostante gli sforzi dei suoi 400 rematori. Dopo un’ispezione subacquea gli venne portata una remora [141] che si era attaccata ad uno dei due timoni, bloccando la nave. A posteriori, questo evento fu interpretato come segno infausto, visto che il giovane imperatore era atteso a Roma dai suoi carnefici.

Avendo dunque Gaio retto l’impero per soli tre anni, dieci mesi e sei giorni, il ricordo di quanto egli fece non fu oggetto di una formale damnatio memoriae [142], ma venne colpito da un’astiosa distorsione dei fatti, ovvero da una condanna che lo stesso Gaio avrebbe considerato ancor peggiore, convinto com’era della necessità di assicurare ai posteri la conservazione di tutta la documentazione utile alla conoscenza della verità storica [143].

Nonostante la frammentarietà e la problematica attendibilità dei pochi dati disponibili, la ricerca condotta sulle azioni del principe nello specifico campo d’indagine di questo studio ha consentito di riscontrare un uso sempre efficace dello strumento navale, sia nelle funzioni già consolidate dalle precedenti esperienze navali romane (proiezione di forze oltremare; aggiramento navale delle difese germaniche), sia secondo modalità atipiche ed innovative [144] che puntavano sulla dissuasione, più per ingenerare consenso che non per minacciare [145]; è stata altresì evidenziata la sua spiccata sensibilità per le costruzioni navali e per i traffici marittimi, componente indispensabile al benessere dell’impero.

In occasione del bimillenario della sua nascita, pur non potendo riscrivere compiutamente la storia del terzo imperatore, è comunque possibile concludere ch'egli fu un buon marinaio, un amante della navigazione ed un sicuro conoscitore delle cose navali e marittime, tanto da muoversi in questo campo con competenza, oculatezza ed inventiva, conseguendo risultati molto più utili allo Stato che non alla cura della propria immagine.

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Note:

[1] “Con la scienza, non con la forza, il pilota governa la nave” (Titinius, Setina, fr. 13); Guardì 1985, 69.

[2] Il più autorevole sostenitore di questa tesi è Arnaldo Momigliano, il cui pensiero in merito può essere sintetizzato nella seguente sua valutazione: “Non un pazzo dunque va ritenuto Caligola, ma un inesperto”, anche se lo stesso studioso si mostrò insoddisfatto di tale conclusione: “chi scrive è il primo a rimpiangere di dover racchiudere la sua personalità in uno schema (monarca inesperto e prematuro) senza averne saputo individuare più da vicino la complessa umanità sia nella sua formazione spirituale sia poi nell’intimità dell‘anima ormai plasmata. Tutto questo ci sfugge per la insufficienza della nostra informazione.” (Momigliano 1992, 215-216).

[3] In effetti i Romani avevano conquistato un impero sconfinato e il dominio del mare senza disporre di forze armate permanenti, ma costituendo di volta in volta le legioni e le flotte necessarie, per poi congedare il relativo personale a termine esigenza. Per una sintetica valutazione dell'affermazione dei Romani sul mare: Carro 1998, 82-84.

[4] E' sintomatica l'espressione classis mea usata da Augusto per indicare la flotta che, comandata da Tiberio, navigò nel Mare del Nord lungo la penisola Cimbrica (R. Gest. div. Aug. 26). La stessa concezione si è formalmente conservata in tutte le monarchie fino all’epoca contemporanea.

[5] Per le operazioni navali nell'Oceano, oltre alla navigazione esplorativa di cui alla nota precedente, va ricordato il concorso alla guerra Cantabrica fornito da una flotta romana schierata nel golfo di Biscaglia (Flor. epit. 2, 33; Oros. 6, 21); nel Mar Nero, l'intervento di Agrippa contro i Bosforani (Cass. Dio 54, 24; Oros. 6, 21); nel Mar Rosso, la spedizione navale di Elio Gallo (Strabo 16, 4, 22-24 e 17, 1, 53).

[6] Carro 2012, 136-139.

[7] Per i dati salienti sulle flotte imperiali di Roma: Carro 1992-2003, vol. XI, 186-215.

[8] Anche se il porto di Ostia risultava utilizzabile dalle navi di stazza media (Dion. Hal. ant. 3, 44; Strab. 5, 3, 5), le grandi navi frumentarie scaricavano le loro merci a Pozzuoli per evitare i rischi dei bassi fondali che rendevano insicuro l’accesso alla foce del Tevere, specialmente nell’arco invernale (Stat. silv. 5, 113-114; Cass. Dio 60, 11, 2).

[9] Suet. Cal. 8

[10] Suet. Aug. 101; Cass. Dio 57, 18, 11

[11] Sull'uso del nomignolo Caligola (Tac. ann. 1, 69), è piuttosto comprensibile che Gaio, da adulto, non amasse essere interpellato con quel vezzeggiativo infantile da chi non fosse in particolare confidenza con lui (Sen. const. sap. 18, 4). Per lo stesso motivo in questo testo viene preferito l'uso del prenome Gaio, come peraltro si è fatto dall'antichità in poi, tranne che nell'epoca più recente. 

[12] Tac. ann. 1, 41 e 44; Suet. Cal. 9.

[13] Pur essendo il terzogenito, Gaio fu il solo figlio maschio di Germanico e Agrippina presente in Germania, poiché i suoi due fratelli maggiori, molto più grandi, erano rimasti a Roma. Le sue prime due sorelle, Giulia Agrippina e Giulia Drusilla, nacquero invece mentre lui si trovava già in Germania.

[14] In effetti è possibile che Gaio sia andato con la madre a vedere qualche partenza o qualche ritorno del padre imbarcato sulle sue navi. Il porto di partenza utilizzato da Germanico potrebbe essere stato quello di Fectio (od.Vechten), sul Reno, in corrispondenze dell'inizio della Fossa Drusiana, poiché tutte le sue navigazioni sono iniziate con il transito in questo canale, costruito da suo padre. Per le basi della Classis Germanica vedasi anche Reddé 1986, 295.

[15] Tac. ann. 1, 40 e 63 e 70; Cass. Dio 57, 18, 1.

[16] Tac. ann. 2, 6. Questa fu davvero una realizzazione eccezionale, sia per le impressionanti dimensioni di questa flotta costruita in un solo inverno, sia per la particolare cura posta da Germanico nel far progettare dei nuovi tipi di navi compatibili con il difficile ed infido ambiente marittimo nel quale dovevano operare (bassi fondali, acque ristrette e occasionale necessità di doversi posare sul fondo).

[17] Tac. ann. 2, 23-24. La dispersione delle navi fece inizialmente temere che il naufragio avesse avuto delle dimensioni spaventose, ma i successivi sviluppi delle operazioni (ricongiungimento di molte navi, ancorché in numero non quantificato da Tacito, recupero dei naufraghi e vigorosa ripresa delle offensive terrestri) lasciano intendere che le perdite umane siano state abbastanza contenute.

[18] “Le ripetute offensive romane oltre il Reno, fra gli anni 14-16 d.C. furono dunque un successo, sia sul piano militare che politico. Il merito va equamente spartito fra Germanico e Tiberio, il cui disaccordo in materia era limitato a questioni particolari. Entrambi concordavano sulla necessità di stroncare sul nascere qualsiasi possibilità di formazione di un forte e accentrato regno in Germania, garantendo nel contempo la sicurezza della frontiera. Entrambi gli obiettivi furono largamente raggiunti.” (Gallotta 1987, 131)

[19] Imbarcati probabilmente su di una quinquereme della flotta Ravennate con la scorta di alcune altre poliremi, essi sostarono in Dalmazia, a Nicopoli Aziaca (ove visitarono l’imponente monumento rostrato eretto da Augusto per celebrare la vittoria navale di Azio, e poi anche gli accampamenti di Antonio), ad Atene, nelle isole di Eubea e Lesbo (dove Agrippina partorì l’ultima sua figlia, Giulia Livilla), a Bisanzio; entrarono nel Mar di Marmara e nel Mar Nero, poi tornarono in Egeo ove sostarono ad Ilio, Colofone e Rodi, dirigendosi infine verso la Siria (Tac. ann. 2, 53-55).

[20] Suet. Tib. 52; Tac. ann. 2, 50-61. La crociera di Germanico si svolse risalendo il Nilo dalla foce Canopica ed effettuando soste per visitare le piramidi, il lago di Meride nella regione del Faiyum, le rovine di Tebe, la statua colossale di Memnone, l’isola di Elefantina ed infine la città di Siene, odierna Assuan.

[21] L'entusiasmo di Germanico per l'Egitto non va necessariamente attribuito ad una sua presunta ammirazione per Antonio (che aveva peraltro ripudiato Ottavia ed i relativi figli, fra cui Antonia, madre dello stesso Germanico). In realtà tutti i Romani avevano sempre subito il fascino dell'antica civiltà egizia: analoghi viaggi erano stati compiuti, in precedenza, da Scipione Emiliano, Lucio Lucullo e Giulio Cesare.

[22] Tac. ann. 2, 75 e 3, 1-4. L'arrivo a Brindisi delle navi da guerra con Agrippina ed i figli Gaio e Giulia Livilla avvenne nel gennaio del 20 d.C.

[23] Questo gruppo di persone dovrebbe aver incluso: Claudio (zio di Gaio e futuro imperatore), Decimo Valerio Asiatico (futuro console e ricco proprietario degli orti Luculliani), Lucio Vitellio (futuro console e governatore di Siria) ed il figlio Aulo Vitellio (futuro imperatore), Giulio Alessandro (prossimo alabarca di Alessandria; fratello di Filone alessandrino), Marco Giulio Agrippa (nipote di Erode il Grande e futuro re di Giudea), Tolomeo re di Mauretania (figlio Cleopatra Selene, prozia di Gaio) e i tre figli del re di Tracia e Antonia Trifena (lontana cugina di Gaio): Roemetalce (futuro re della Tracia orientale), Coti (futuro re dell’Armenia minore) e Polemone (futuro re del Ponto).

[24] L'isola di Capri era ovviamente protetta dalla flotta Misenense, che vi doveva mantenere permanentemente qualche nave, per le esigenze locali dell'imperatore (ad esempio: Cass. Dio 58, 13 e Suet. Tib. 62) e per i collegamenti con la terraferma, inclusi i rari movimenti dello stesso Tiberio (Tac. ann. 6, 1; Suet. Tib. 72; Cass. Dio 58, 24; Ios. ant. Iud. 18, 6, 6). Altre imbarcazioni dovevano essere sempre disponibili nel porticciolo attiguo al “Palazzo a mare” (Palatium) di Augusto (Maiuri 1938, 121).

[25] Parlando degli studi capresi di Gaio, Flavio Giuseppe non usa mezzi termini: “si sentì nella costrizione di dedicarsi agli studi per la singolare eccellenza che, in questi, aveva lo zio; Gaio lo seguì nell’attaccamento a una così nobile ricerca cedendo alle esortazioni di colui che era suo parente e suo capo supremo. Così divenne il migliore tra i cittadini suoi coetanei” (Ios. ant. Iud. 19, 2, 5).

[26] Suet. Cal. 15; Cass. Dio 59, 3, 5. La bireme, sulla cui poppa sventolava il vessillo purpureo, insegna dell'imperatore, era la nave da guerra più piccola della flotta e la meno adatta alla navigazione nel mare agitato. Per il trasporto dei personaggi di alto rango venivano normalmente usate le unità maggiori (perlomeno del tipo quinquereme). La scelta di un'unità sottile si rese però necessaria per poter entrare nel porto di Ventotene, particolarmente angusto e di difficile accesso in presenza di risacca.

[27] Suet. Cal. 23. Questa navigazione dovrebbe essere avvenuta diversi mesi dopo quella alle isole pontine, e più precisamente dopo la malattia di Gaio, poiché proprio tale malattia fu l'occasione del complotto in cui venne forse coinvolto Silano, oltre a Tiberio Gemello.

[28] Ostilità iniziate nel 35 d.C.: Suet. Tib. 66; Tac. ann. 6, 31-37 e 41-44.

[29] Suet. Cal. 14 e Vit. 2; Ios. ant. Iud. 18, 4, 4-5; Cass. Dio 58, 26 e 59, 27.

[30] R.Gest.div.Aug. 29. Poiché la scena di questo evento è rappresentata in bassorilievo sulla corazza della statua di Augusto che era custodita della villa di Livia ad gallinas albas, è probabile che Gaio abbia avuto occasione di osservarla con attenzione negli anni in cui fu ospitato dall'Augusta bisnonna.

[31] La fonti storiche principali per la vita di Gaio sono Svetonio e Cassio Dione: “là dove Tacito dà alcune notizie come dei « si dice » Suetonio e Dione le riferiscono come sicure e trascurano le versioni discrepanti” (Momigliano 1975b, 830)

[32] Ad esempio, per la spedizione di Gaio in Germania, “le fonti (Svet. 43-45; Dione, LIX, 22-23) hanno ridotto tutto a tale commedia che è ormai impossibile ricostruirne l’andamento militare e obiettivi” (Momigliano 1992, 212).

[33] Uno dei preconcetti che ingenerano le maggiori perplessità sulla salute mentale di Gaio consiste nell’attribuire ad una psicopatica megalomania la sua volontà di rinvigorire il culto dell'imperatore (o del genio dell'imperatore). Eppure questo culto è nato sotto il principato di Augusto, con sfumature diverse nelle varie aree dell'impero, ma con riti sostanzialmente simili a quelli voluti da Gaio e dai suoi successori, fino all’affermazione del cristianesimo (La Rocca 2011, 181 e 193-194).

[34] Il più trito dei luoghi comuni è quello relativo al cavallo Incitato, oggetto di esagerate attenzioni da parte di Gaio, che lo avrebbe perfino nominato console o senatore. A questo proposito un pamphlet intitolato “Il Cavallo di Caligola” raffronta la benevolenza del principe con le cure maniacali assicurate agli odierni cavalli da corsa e nega, ovviamente, la predetta nomina (Guarino 2009, 16-18).

[35] Quando dovevano realizzare un ponte di navi su di un grande corso d’acqua, come il Reno, il Danubio o l’Eufrate, i Romani utilizzavano un collaudatissimo procedimento che sfruttava la stessa corrente del fiume per posizionare le singole navi in rapida successione, di modo che a fine manovra esse risultassero tutte ancorate con la prora contro corrente, affiancate le une alle altre e perfettamente allineate (Arr. an. 5, 2; Cass. Dio 71, 3).

[36] Vi è presente una corrente superficiale che scorre costantemente in direzione dell’Egeo.

[37] Differenze significative: assenza di un flusso di corrente univoco, maggiore esposizione alla rotazione dei venti, presenza del moto ondoso, fondali più alti (sui quali l’ancoraggio rimane più lasco).

[38] A Pozzuoli il ponte doveva logicamente iniziare dal tutt’ora esistente “molo Caligoliano”, una struttura di epoca augustea che si trovava al centro dell’antico porto (vi era un molo frangiflutti più a sud) ed era costituito da almeno 15 pilastri collegati da arcate, essendo largo 15 m e lungo 372 m, e concludendosi con un arco di trionfo (Salvatori 2008, 432).

[39] Pozzuoli e Baia distano di circa 4 km, ma la distanza effettiva fra l'antica testata del molo Caligoliano (vecchio fanale verde del molo odierno) e l'attuale Punta Epitaffio è di circa 3.100 m. Per effetto del bradisismo, tale distanza è ora maggiore di quanto non lo fosse nell'antichità. Anche se non conosciamo la posizione del punto di arrivo del ponte di navi a Baia, leggermente più lontana rispetto alla punta, la lunghezza del ponte stesso di navi dovrebbe essere stata grosso modo di 3.100 metri.

[40] Suet. Cal. 19, 1 e Cass. Dio 59, 17, 2. Per coprire la lunghezza di 3.100 m affiancando fra di loro le onerarie più comuni, mettendo quindi a calcolo – per semplicità – una media di 6,2 m quale spazio complessivamente occupato da ciascuna nave (inclusi i parabordi), sarebbero state necessarie 500 navi per ogni fila, e quindi 1.000 in totale. Appare peraltro improbabile che siano state utilizzate delle onerarie di maggiori dimensioni, perché altrimenti non sarebbe stato necessario ricorrere ad una duplice fila di navi.

[41] Cass. Dio 59, 17, 2 e Sen. brev. vit. 18, 5. Alcune carestie si verificavano saltuariamente, spesso in coincidenza con anomale piene del Nilo (Savio 1988, 34), ma non certamente a causa del breve utilizzo di navi addette al piccolo cabotaggio, molto diverse dalle grandi frumentarie. Una gravissima carestia si era peraltro verificata cinque anni prima della morte di Tiberio (Tac. ann. 6, 13) ed un’altra venne registrata nel secondo anno del principato di Claudio (Cass. Dio 60, 11, 1), tre anni dopo il ponte di Baia e con una marina mercantile rinforzata dalle costruzioni di Gaio.

[42] Non mancarono nemmeno delle stazioni di posta e degli alloggi con acqua corrente potabile (Cass. Dio 59, 17).

[43] Sembra che questa sia stata la prima apparizione pubblica del fanciullo, cui probabilmente Gaio intendeva dare in futuro il titolo di re, quale sovrano di un regno minore oppure quale rex nemorensis, per il culto di Diana a Nemi (Leone 2000, 30 e 32; Suet. Cal. 35).

[44] Suet. Cal. 19, 2; Cass. Dio 59, 17, 4-10. “What we have here is the shortest small-scale war in history, with a military attack followed by a triumphal procession” (Kleijwegt 1994, 662-663).

[45] La veste trionfale e la corona civica. La prima mostra che Gaio considerava questo evento altrettanto serio delle due precedenti occasioni in cui l’aveva indossata: il trasporto dei resti della madre e del fratello al Mausoleo di Augusto e la cerimonia di dedica del Tempio di Augusto, ch'egli aveva completato. Quanto alla corona civica: “nessun ornamento è più degno del rango di un principe” (Sen. clem. 1, 26, 5).

[46] Come vantava lo stesso Gaio (Cass. Dio 59, 17, 11), il suo ponte di oltre 3.000 metri superava di gran lunga quelli realizzati dai re persiani Dario e Serse sul Bosforo e sui Dardanelli, i cui punti più stretti sono larghi, rispettivamente, 1.250 e 550 metri.

[47] Per intimorirli con la “immensi operis fama” (Suet. Cal. 19, 3). In effetti questa fama non avrebbe dovuto tardare molto a raggiungere la Britannia, portata dai vari marittimi che si recavano oltre Manica per ragioni di commercio. Durante il principato di Augusto l'isola risultava già collegata abitualmente con cinque rotte che partivano dalla Gallia (Strab. 6, 5, 2). Fin da allora, pertanto, le comunicazioni marittime avevano già la celerità di quelle di quattro secoli dopo, quando venne scritto: “la Britannia ha appreso in estate ciò che l’Egitto e la Partia seppero in primavera” (Hier. epist. 77, 10).

[48] A fronte delle 1,7 miglia nautiche coperte dal ponte di navi di Gaio, lo stretto di Dover ha un ampiezza di circa 17 miglia, mentre il punto più stretto del Canale d'Otranto è largo una quarantina di miglia. Eppure un personaggio sicuramente equilibrato e competente di cose navali come Marco Terenzio Varrone, quando comandò le flotte nello Ionio per la guerra piratica (Varro rust. 2, 0), pensò di realizzare un ponte proprio nel Canale d'Otranto (Plin. nat. 3, 100-101).

[49] Siamo nell'estate 39 (Barret 1993, 355). Gaio, che poco tempo prima aveva pronunciato in Senato un durissimo atto d'accusa contro i senatori, si stava apprestando a recarsi in Germania ove doveva riprendere il controllo delle legioni e fronteggiare una grave cospirazione (Kleijwegt 1994, 670-671).

[50] Dopo le operazioni di Germanico, “le posizioni mantenute e riconquistate dai Romani sul terreno lasciavano intatta la prospettiva di una nuova stabile espansione romana fra il Reno e l'Elba” (Gallotta 1987, 131). Peraltro, è probabile che fosse proprio l’Elba il confine considerato da Augusto quando raccomandò a Tiberio di non espandere ulteriormente l’impero (Zecchini 2010, 55).

[51] Eventi del 28 d.C. (Tac. ann. 4, 72-74).

[52] Erano imparentati (genero e suocero) ed entrambi erano compromessi con Seiano, ma Tiberio non era riuscito a rimuoverli, subendo passivamente le minacce di Getulico (Tac. ann. 6, 30, 3). Essi erano pertanto rimasti in carica per oltre dieci anni, avendo il comando di complessive 8 legioni.

[53] Si tratta della congiura in cui furono coinvolti anche i più stretti parenti di Gaio: il cognato Marco Emilio Lepido, le sorelle Giulia Agrippina e Giulia Livilla, nonché, probabilmente, il cugino Tolomeo (Suet. Cal. 24 e Claud. 9; Cass. Dio 59, 22, 5-8).

[54] Nel periodo in cui si era sentito minacciato dall’ostilità di molti senatori, anche Augusto aveva adottato delle cautele eccezionali, inclusa quella di presiedere le sedute al Senato indossando una corazza e tenendo un pugnale alla cintura (Suet. Aug. 35).

[55] Suet. Cal. 43; Cass. Dio 59, 22, 1; “due nuove legioni fecero la loro comparsa in questo periodo, in Occidente” (Nony 1986, 292): la XV Primigenia e la XXII Primigenia. Anche Tacito attribuisce a Gaio degli “sforzi ingenti” contro la Germania (Tac. Agr. 13).

[56] Vedi nota 32.

[57] Parte di quanto è stato omesso o velenosamente distorto nelle biografie di Gaio viene invece riportato senza acrimonia in alcune biografie successive, come quelle di Claudio e di Galba.

[58] Suet. Cal. 44, 1 e Gal. 6, 2.

[59] Galba dovette prima respingere un'incursione germanica in Gallia; poi, quando Gaio lo raggiunse, egli varcò il Reno per condurre delle grandi manovre militari nella regione dei Catti, con varie esercitazioni dimostrative (Suet. Gal. 6, 3; Nony 1986, 288-289).

[60] La presenza di Gaio alle grandi manovre condotte da Galba al di là del Reno è resa evidente dai pur distorti accenni delle fonti antiche (Suet. Cal. 45, 1-2 e 51, 2; Cass. Dio 59, 21, 3; Eutr. 7, 12), in cui si parla anche di nemici realmente catturati (Cass. Dio 59, 22, 2-3).

[61] Era uno dei popoli germanici più potenti dell'epoca, con una fanteria bene organizzata anche per la logistica (Tac. Germ. 30).

[62] La presenza della flotta è testimoniata da una paradossale illazione suetoniana che attribuisce a Gaio la preparazione della fuga con la flotta fino al Mediterraneo (Suet. Cal. 51, 3). In ogni caso l'utilizzo della flotta era indispensabile per le azioni lungo la fascia marittima, come peraltro Gaio ben sapeva da quanto aveva fatto suo padre.

[63] Per queste operazioni la flotta romana utilizzò il porto di Velsen, come dimostrato dalle indagini archeologiche ivi compiute, da cui risulta che i Romani vi mantennero una base navale militare negli anni 39-47 (Bosman 2004, 32 e 49; Reddé 1986, 295-296). Le navi di Gaio potrebbero essere state dislocate anche nei porti di Vechten e Vakenburg (Bosman 2004, 54-55).

[64] Gaio dovrebbe essere ripartito da Lione nel mese di gennaio del 40 (Nony 1986, 296).

[65] Dopo la sollevazione avvenuta 12 anni prima, senza alcuna reazione da parte di Tiberio, come si è già accennato.

[66] Popolazione germanica – normalmente pacifica ma bene armata – che occupava la fascia costiera del Mare del Nord, dalla foce dell'Ems (Amisia) a quella dell'Elba (Tac. Germ. 35).

[67] Il Senato votò in effetti la celebrazione di un'ovazione in onore di Gaio (Cass. Dio 59, 23, 1), mentre Vespasiano propose anche dei ludi straordinari per la vittoria germanica del principe (Suet. Ves. 2, 3).

[68] L'epilogo vittorioso avvenne pochi mesi dopo la morte di Gaio, che ne ha quindi la piena paternità (Auguet 1993, 99): Galba sottomise i Catti, mentre Gabinio non solo vinse i Cauci, ma recuperò anche l'ultima aquila delle legioni di Varo rimasta in mani germaniche (Cass. Dio 60, 8, 7). Questo bastò per attribuire a Claudio l'acclamazione ad imperator, mentre Galba ottenne altri riconoscimenti (Suet. Gal. 8, 1; Plut. Galba 3).

[69] Nel 47, il popolo dei Cherusci (quello che aveva originato la rovinosa sedizione di Arminio), ormai abituato a vivere in pace (Tac. Germ. 36), richiese ai Romani di inviar loro un re: si trattava in particolare di un loro principe, di nome Italico, che viveva a Roma (Tac. ann. 11, 16-17). Quella nazione si stava quindi trasformando in un regno cliente di Roma, e lo sarebbe divenuta se Claudio avesse incoraggiato tale evoluzione, coerente con la politica di Gaio.

[70] È ben noto che, in quello stesso anno 47, Gneo Domizio Corbulone, cognato di Gaio, conseguì altre promettenti vittorie in Germania ma venne poi fermato dall'ordine di Claudio di ritirare tutti i presidi romani portandoli al di qua del Reno (Tac. ann. 11, 19-20).

[71] Ostaggi erano stati consegnati sia dai Trinovanti, il cui giovane re Mandubracio si era posto sotto la protezione di Cesare, sia dai re sconfitti, dopo la resa di Cassivellauno (Caes. Gall. 5, 20 e 22).

[72] Ne siamo informati dalla breve ma lucida descrizione che ne dà Strabone, testimone diretto di quegli anni (Strab. 4, 5, 3).

[73] Ottaviano Augusto avviò per ben tre volte una spedizione militare contro la Britannia, nel 34, nel 27 e nel 25 a.C., ma ogni volta dovette annullare l’operazione al sopravvenire di esigenze più urgenti in Dalmazia, in Gallia ed in Spagna (Cass. Dio 49, 38; 53, 22 e 25).

[74] Il fatto che due re britanni, Dumnobellauno e Tincommio, si fossero sentiti costretti ad andare a rifugiarsi presso Augusto è un evidente indizio di gravi contrasti provocati dagli xenofobi nei loro regni (R. Gest. div. Aug. 32).

[75] Vedi nota 72.

[76] In occasione della dispersione della flotta di Germanico investita dalla burrasca, dei naufraghi recuperati sulle coste della Britannia e rimandati da alcuni re allo stesso Germanico (Tac. ann. 2, 24).

[77] “In un secolo, l'influenza romana si era ampiamente espansa in Britannia e, nel bacino di Londra, esistevano ormai dei piccoli regni-clienti organizzati attorno a dei capoluoghi urbani, che conoscevano una certa circolazione monetaria e che annoveravano dei sostenitori della dominazione romana.” (Nony 1986, 297).

[78] Cinobellino, re dei Catuvellauni e dei Trinovanti.

[79] La conquista “della Britannia era in quel momento singolarmente opportuna”, ed era anche “matura” (Momigliano 1992, 211-212).

[80] Vi era, in effetti, un’obiettiva esigenza di metalli per la monetazione: “Non a caso Tiberio aveva monopolizzato le miniere sottraendole ai privati; non a caso l'unica spedizione militare di Caligola fu lanciata verso la Britannia ricca di filoni. Non a caso Claudio portò a compimento la conquista” (Savio 1988, 50-51). Sulle ricchezze dell’isola: Tac. Agr. 12.

[81] Cassio Dione è la sola fonte che specifica ch’egli si mosse “come se” stesse per condurre una spedizione navale contro la Britannia (Cass. Dio. 59, 21, 3 e 25, 1), mentre Tacito dice solo ch’egli aveva pensato di invadere la Britannia (Tac. Agr. 13.) e Svetonio non tenta nemmeno di dare una propria interpretazione circa le finalità dell’attività in mare delle navi di Gaio.

[82] È sempre azzardato esprimere una valutazione su qualcosa di cui non si conosce la natura, così come è perlomeno singolare domandarsi come mai non abbia completato una certa azione chi non aveva nemmeno programmato di iniziarla. Eppure quasi tutte le critiche a Gaio sono scaturite da queste due illogicità.

[83] L’attività svolta da Gaio a nord della Gallia va temporalmente collocata entro il mese di gennaio del 40, ovvero in un periodo stagionale inidoneo all’esecuzione di una complessa operazione anfibia (Woods 2000, 81; Gury 2008, 405-6).

[84] La costruzione faro di Gesoriaco rende ancor meno credibile che le azioni del gennaio 40 siano state un tentativo abortito di sbarco in Britannia: “une fondation si utile contraste singulièrement avec les folies de la prétendue campagne contre les Bretons” (Egger 1863, 411). D’altronde anche Svetonio esclude che vi siano stati dei tentativi di conquista della Britannia fra Cesare e Claudio (Suet. Claud. 17).

[85] Caratteristica indispensabile per poter conseguire una buona efficacia dissuasiva.

[86] L'intenzione di condurre la spedizione navale contro la Britannia in un secondo tempo risulta avvalorata dalla costruzione del faro di Gesoriaco (D'Erce 1966, 90; Gury 2008, 401).

[87] “Quando le fonti ci danno dei racconti così insignificanti come quello che abbiamo nel nostro caso, è difficile poter andare al di là della ipotesi possibile per raggiungere almeno la probabilità, dovendosi fare congetture che stanno totalmente in aria.” (Momigliano 1992, 213).

[88] Si tratta ovviamente di una ricostruzione ipotetica, perché la sequenza degli eventi è stata basata solo sulla logica, in mancanza di indicazioni dalle fonti. Tuttavia, qualche eventuale ritocco della cronologia non potrebbe alterare l'essenza, ampiamente attendibile, dell'operazione delineata.

[89] Nell'autunno del 39 l'imperatore fece mettere in cantiere una flotta di notevole consistenza (Nony 1986, 298; Reddé 1986, 274; anche Gosselin 1984, 259), dovendo assicurarsi la disponibilità delle navi necessarie per la dimostrazione navale ed anfibia ch'egli intendeva effettuare al più presto, cioè nel mese di gennaio.

[90] Oltre alle navi da utilizzare a gennaio, altre unità dovevano essere costruite per completare la flotta necessaria al successivo sbarco sulle coste britanniche. Senza questo programma di costruzioni navali – facilmente percettibile dai vicini Britanni – l'operazione dimostrativa non sarebbe risultata credibile.

[91] A Gesoriaco, il cui nucleo originario era più antico (Gosselin 1984, 261 e 264), il porto doveva essere allestito (Nony 1986, 298) per la sua nuova funzione di base navale: “Nel corso dei preparativi per la spedizione di conquista della Britannia, sotto Caligola, l'insediamento venne dotato di un faro ... ma soprattutto divenne, sino alla fine del III sec., il grande porto militare della costa gallica” (Bost 1994, 731).

[92] La zona portuale con gli impianti per la flotta si estendeva su di un'area non inferiore ai 10 ettari (Bost 1994, 731). Secondo il geografo Pomponio Mela, che scrisse circa quattro anni dopo, sulla costa settentrionale della Gallia non vi era nulla di più conosciuto del porto di Gesoriaco (Mela 3, 18).

[93] Si trattava di “un'altissima torre” (Suet. Cal. 46) a pianta ottagonale, con 12 piani degradanti, per un'altezza totale di 61 metri che si aggiungevano ai 30 metri di altezza della falesia sul livello del mare (Egger 1863, 417). Il faro era dotato di rampe interne per portare alla sommità i carichi di legna a dorso di mulo (Reddé 1979b, 867).

[94] Fu “un travail à la fois élégant et solide” (Egger 1863, 419); uno studioso francese del seicento lo definì “il più antico e più bello dei monumenti esistenti da questa parte delle Alpi” (D'Erce 1966, 91).

[95] La torre del faro romano crollò nel 1644 solo perché franò la falesia sottostante, che era stata recentemente indebolita dall'imprudente scavo di cave di pietra al suo interno (Egger 1863, 414).

[96] “Caligola, come in Germania qualche mese prima, fece procedere a grandi manovre di esercitazione ed egli stesso compì una ricognizione delle condizioni di navigazione in mare, allo scopo di tenere tutto sotto controllo” (Nony 1986, 298-299).

[97] Cass. Dio 59, 25, 1-2. Svetonio precisa che le navi che navigarono nell'Oceano erano triremi (Suet. Cal. 47).

[98] Secondo Cassio Dione, un insidioso contrasto britannico alla navigazione delle navi di Gaio (ed in precedenza anche a quelle di Augusto) venne ricordato una ventina d’anni dopo in un discorso della regina Budicca (Cass. Dio 62, 4).

[99] Qualche successo conseguito dai luogotenenti di Gaio (Cass. Dio. 59, 21, 3) giustificherebbe anche la soddisfazione del principe che avrebbe voluto celebrare la vittoria navale ostentando delle navi. È anche possibile che qualche scafo dei Britanni sia stato catturato in mare dai Romani (Woods 2000, 83-84).

[100] Il luogo dell'incontro è stato riferito come “in ora Oceani” e “in vista della Britannia” (Oros. 7, 5, 5), il che potrebbe essere interpretato come nelle acque costiere e comunque in vista della Britannia, oppure sulla riva dell'Oceano (in tal caso sarebbe stato più chiaro “in litore Oceani”) ma fuori vista della Britannia.

[101] Suet. Cal. 44, 2. La sottomissione di Adminio appariva in effetti come un primo incoraggiante risultato delle azioni dissuasive compiute da Gaio a Pozzuoli e nel Passo di Calais.

[102] Amphibious demonstration. Le fonti ci mostrano solo pochi aspetti, comunque eloquenti, di queste manovre: lo schieramento sulla spiaggia delle truppe, delle baliste e di altre macchine belliche (Suet. Cal. 46), gli ordini di attacco impartiti ai soldati al suono delle trombe (Cass. Dio 59, 25, 2).

[103] Suet. Cal. 46; Cass. Dio 59, 25, 2-3; Aur. Vict. Caes. 3, 11-12.

[104] L’ordine di raccogliere le conchiglie, impartito da Gaio, è stato interpretato come: una punizione per un ipotetico rifiuto d’obbedienza (Auguet 1993, 98 e 153); una dimostrazione di sfida all’Oceano, in stile celtico (Bicknell 1962, 73; cfr. Ael. var. 12, 23); una sistematica ma vana ricerca delle perle per finanziare la spedizione e le successive conquiste (Gury 2008, 419-421); il prelievo, non delle conchiglie, ma di scafi britanni catturati, che avrebbero potuto essere chiamati conchae o conchylae (Woods 2000, 83 e 85).

[105] L'aneddoto è effettivamente sospetto: “Notons ... que les sources antérieures à Suétone ne mentionnent pas cette extraordinaire récolte organisée par l’empereur et que, plus surprenant encore, Pline, au livre IX de son Histoire naturelle qu’il consacre aux coquillages et autres produits de la mer, n’en parle pas non plus. L’aventure avait pourtant tout pour retenir son attention” (Gury 2008, 404-405).

[106] Era risaputo che in quelle acque vi fossero delle ostriche perlifere che il mare rigettava sulla riva (Tac. Agr. 12). Potremmo allora benissimo immaginare che nel corso della dimostrazione anfibia tutti i partecipanti avessero visto sulla spiaggia quelle conchiglie, astenendosi comunque dal toccarle per senso di disciplina. Al termine delle manovre, Gaio avrebbe dunque potuto concedere a tutti di raccoglierle, aggiungendo scherzosamente che quel loro bottino era degno del Campidoglio.

[107] Volle che fossero trasportate a Roma alcune delle navi che avevano partecipato alle operazioni in mare (Suet. Cal. 47). Il percorso da compiere dall'Oceano al Mediterraneo era quello fluviale (Senna, Saona, Rodano) tranne un breve tratto sulla terraferma (Woods 2000, 85), cioè il percorso inverso di quanto facevano già alcuni commercianti (Reddé 1979a, 487) e di quello che seguì poi Claudio per recarsi in Britannia (Cass. Dio 60, 21, 3).

[108] La presenza molto spettacolare delle navi mostra ch'egli voleva dare un grande risalto ai successi conseguiti in mare: “I would argue that he had been planning to celebrate the success of his northern fleet in clearing the English Channel of enemy shipping, a necessary precursor to an invasion of Britain” (Woods 2000, 85).

[109] Anche se forse si lamentò di questa decisione (Suet. Cal. 48, 2.), evidentemente l'accettò di buon grado. “He had never planned to invade Britain itself at this time, nor had he intended his planned triumph to celebrate the capture of Britain itself yet. As for the reason why he eventually agreed to forego his triumph and celebrate a mere ovation instead” (Woods 2000, 85).

[110] Fu quanto raccomandò ai suoi procuratori (Suet. Cal. 47).

[111] Se Gaio fosse stato il tronfio e vanaglorioso megalomane rappresentato dai suoi caricaturisti, avrebbe preteso non solo il trionfo ma anche il soprannome “Britannico”.

[112] Mentre la Britannia era agitata da contrasti interni a causa dello strappo provocato dalla partenza di Adminio (Suet. Claud. 17) e dalle manovre navali romane, un altro re britanno, Berico, fu costretto a fuggire dall’isola ed a richiedere la protezione e l’intervento dei Romani (Cass. Dio 60, 19, 1).

[113] Poiché Gaio aveva ordinato di proseguire i preparativi per lo sbarco in Britannia, Claudio poté eseguire quanto progettato dal nipote (Nony 1986, 298; Auguet 1993, 99): la flotta era pronta a Gesoriaco, mentre le legioni si erano rese disponibili dalla Germania, visto che lo stesso Gaio ne aveva create due nuove e che le operazioni contro i Catti ed i Cauci si erano concluse vittoriosamente.

[114] Claudio inviò in Britannia quattro legioni, ottenendo la sottomissione di buona parte dei Britanni in pochi giorni e con pochi combattimenti. Per valutare il vantaggio fruito da Claudio, basta ricordare che Cesare (che era Cesare) aveva effettuato il suo secondo sbarco navale nell'isola con cinque legioni e duemila cavalieri ed aveva dovuto combattere circa 3 mesi per piegare la resistenza dei Britanni.

[115] L'iscrizione apposta sull’arco di trionfo di Claudio fornisce la seguente motivazione: “per aver sottomesso in soli undici giorni, senza alcuna perdita, i re dei Britanni con i loro regni, ed aver per primo ridotto sotto il dominio del Popolo Romano le genti barbare stanziate al di là dell’Oceano” (CIL 6, 40416).

[116] Ios. ant. Iud. 18, 6, 11; Phil. Flac. 26-28. La navigazione del re Agrippa dall’Italia ad Alessandria avvenne nell’agosto del 38.

[117] Phil. Flac. 109-111.

[118] Phil. legat. 250-251 e 338. Nony 1986, 323-324. Il viaggio venne riprogrammato a partire dai primi mesi del 41 (Ios. ant. Iud. 19, 1, 12) ed avrebbe probabilmente dovuto essere compiuto con la scorta delle navi della Classis Ravennas, come aveva fatto Germanico. Vedi anche successiva nota 137.

[119] Quella era la sola legione romana che dipendeva da un proconsole nominato dal Senato. Gaio tolse il comando della legione a questo magistrato e l’assegnò al legato propretore della neo-costituita provincia di Numidia (Tac. hist. 4, 48; Cass. Dio 59, 20, 7; Auguet 1993, 139).

[120] Nony 1986, 300. Vedi anche nota 53.

[121] Questa opportunità è largamente condivisa dagli studiosi: Momigliano 1975a, 365; Momigliano 1992, 211-212; Auguet 1993, 139; Schettino 2003, 316.

[122] Dei raffronti vengono spesso fatti con Cesare, Antonio, Augusto e Germanico, nonché con le assegnazioni di regni decise dallo stesso Gaio nella parte orientale dell'impero (Cass. Dio 59, 12) con buoni risultati (Barret 1993, 330-331) e un risparmio finanziario (Savio 1988, 48). Se ne ricavano delle somiglianze interessanti (Schettino 2003, 310-311), ma tutto porta a concludere che quelle scelte così importanti non erano né capricci né mere applicazioni di schemi o criteri preconcetti, ma decisioni assunte valutando le situazioni caso per caso, con sano pragmatismo romano.

[123] Plinio il Vecchio attribuisce a Gaio la decisione di suddividere la Mauretania in due province (Plin. nat. 5, 2), anche se la Tingitania e la Cesarense furono formalmente istituite da Claudio l'anno successivo (Cass. Dio 60, 9, 1-5). Probabilmente il progetto risale proprio a Gaio (Schettino 2003, 309).

[124] Conosciamo il nome di Edemone da Plinio il Vecchio (Plin. nat. 5, 11) e da un'iscrizione relativa al contributo fornito dalle forze ausiliarie comandate da Marco Valerio Severo della città di Volubili (Chatelain 1915, 394; Gascou 1992, 134). Edemone fungeva probabilmente da reggente nella regione di Tingi (Nony 1986, 301; Rebuffat 1998, 292-293 e 302).

[125] “L'armée d'Afrique n'a certainement pas été employée en Tingitane” (Rebuffat 1998, 302): precauzione lungimirante, visto che poco dopo si verificarono in vari punti della Numidia delle ostilità che impegnarono considerevolmente le difese romane (Cass. Dio 60, 9, 6).

[126] Per imbarcare le forze presenti in Spagna, la flotta più idonea era ovviamente quella Misenense; per recarsi in Siria doveva invece essere preferibile, in questo caso, la flotta Ravennate, verosimilmente già presente con delle proprie navi nel Mediterraneo orientale per predisporre il viaggio di Gaio ad Alessandria. Vedi nota 118.

[127] Le forze romane impiegate all'epoca di Gaio contro Edemone, individuate attraverso una meticolosa ricostruzione, sono la legione X Gemina più due ali e 8 coorti venute dalla Spagna, nonché un'ala ed una coorte venute dalla Siria ed altre due unità (Rebuffat 1998, 291-292 e 299-302).

[128] Nony 1986, 301; Rebuffat 1998, 295.

[129] Cass. Dio 60, 8, 6. Claudio dovette successivamente consolidare la conquista della Mauretania con altre operazioni, mostrando implicitamente di condividere la scelta operata da suo nipote Gaio (Nony 1986, 301; Fasolini 2006, 69).

[130] Gaio provvide a tutti i pagamenti lasciati lungamente in sospeso da Tiberio, oltre a quelli del testamento dello stesso Tiberio ed ai donativi elargiti a titolo personale (Barret 1993, 334).

[131] La situazione storica di quell'epoca, che fa da sfondo alla narrazione del Satyricon, mostra non solo un incremento del prezzo del vino quale sintomo della prosperità economica (Barret 1993, 335), ma soprattutto un commercio navale talmente fiorente e redditizio da incentivare la costruzioni di navi di maggior tonnellaggio, consentendo di compensare ampiamente le perdite per naufragio (Petron. 76).

[132] La prosperità dell'impero viene involontariamente ammessa nella biografia suetoniana, laddove viene detto che il malvagio Gaio si lamentava che il suo principato rischiava di finire nell'oblio a causa della prosperità generale (Suet. Cal. 31).

[133] Nave approntata, ma poi colpita da un fulmine (Cass. Dio 59, 28).

[134] Gaio volle conservare quella nave a Pozzuoli, come aveva già fatto Augusto dopo il trasporto del suo maggior obelisco, affinché la sua grande nave potesse essere ammirata. Claudio usò la nave, caricata di pietre e cemento idraulico come nucleo dell’isola artificiale sulla quale venne eretto il monumentale faro del nuovo porto marittimo di Roma (Plin. nat. 16, 201-202; 36, 70; Suet. Claud. 20, 3; Cass. Dio 60, 11, 4).

[135] Si tratta evidentemente del culto legato al vicino santuario di Diana, che continuò ad essere frequentato anche dopo Gaio, essendo oggetto di manutenzioni e restauri in epoca adrianea ed antonina (Ghini 2000, 53; 55; 60-62). Un'alterazione di quel culto in chiave egittizzante (Iside) non appare quindi scontata.

[136] Secondo la descrizione suetoniana, si trattava di deceres Liburnicae – dotate di terme, portici, triclini, vigneti e alberi da frutta –, a bordo delle quali l'imperatore banchettava fra musiche e danze, navigando nelle acque della Campania (Suet. Cal. 37, 2).

[137] Quando Claudio rientrò in Italia dalla sua breve puntata in Britannia, volle passare da Ravenna per effettuare una cerimonia trionfale in mare a bordo di una nave gigantesca come un palazzo (Plin. nat. 3, 119), caratteristica nella quale appare riconoscibile il “marchio di fabbrica” di Gaio. Vedi anche nota 118.

[138] Ios. Ant. Iud. 19, 205-207. Sebbene non ancora completato alla morte di Gaio, Reggio divenne presto una tappa abituale delle navi provenienti da Alessandria, come ad esempio si vide, una ventina di anni dopo, per il viaggio di Paolo di Tarso (Uggeri 2009, 31-32). Il porto era forse situato in un’insenatura parzialmente coincidente con l’attuale Rada dei Giunchi (Uggeri 2009, 33-35) e divenne sede di un distaccamento della Classis Misenensis (Costabile 1994, 454).

[139] Suet. Cal. 21; Plin. nat. 4, 10. Gaio aveva già inviato in loco un suo primipilo per prendere le necessarie misure, ma non fece a tempo ad avviare il lavoro. Lo scavo venne quindi iniziato da Nerone, che lo completò solo per un terzo prima di perdere la vita. Poi il progetto fu accantonato – perché guardato sempre con sospetto come se fosse espressione di megalomania (Bearzot 2000, 50-51) – e venne infine ripreso e completato solo nell’Ottocento.

[140] Entrambe le località erano sede di splendide ville marittime imperiali.

[141] Plin. nat. 32, 1-2. Questi pesci della famiglia echeneidi, mediamente lunghi fino a 70 cm e dotati sulla testa di un organo di adesione a forma di disco ovale, si attaccano a pesci molto grossi o ai natanti.

[142] Claudio ne impedì la votazione, pur cercando di attuarla occultamente (Cass. Dio 60, 3, 5).

[143] Suet. Cal. 16, 2.

[144] L’utilità della fama per far sopravvalutare le proprie forze da parte del nemico (Curt. 8, 8, 15) e la predilezione per le vittorie conseguite con la sola minaccia di guerra (Plin. epist. 2, 7, 2) non erano certamente dei concetti alieni dalla mentalità romana, ma nessuno aveva mai concepito qualcosa di confrontabile con le dimostrazioni navali nel golfo di Pozzuoli e nella Manica.

[145] L’ideazione e la messa in opera di due tattiche raffinate come le dimostrazioni navali ed anfibie non può essere frutto di un capriccio estemporaneo e sconclusionato. Vi si ravvede, al contrario, una scintilla di genialità creativa ed anche un’apprezzabile maturità (una maturità fuori dal comune per un imperatore così giovane) nel perseguire freddamente un risultato non immediato, ma valido e duraturo.

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