Flavio Russo - Ferruccio Russo

«79 d.C. ROTTA SU POMPEI»
Indagine sulla scomparsa di un Ammiraglio

SUPPLEMENTO ALLA RIVISTA MARITTIMA N. 10 OTTOBRE 2004 (*)

Prefazione

di DOMENICO CARRO

FORTES FORTUNA IUVAT (1).

«La Fortuna aiuta i coraggiosi!», esclamò il Comandante in Capo della Flotta Misenense ordinando al pilota di avvicinarsi alla costa, sebbene la cenere, le pomici ed i lapilli già cominciassero a cadere sul ponte della sua nave. L’eruzione esplosiva del Vesuvio era ormai giunta al culmine delle sue fasi più spettacolari e terrificanti: l’immensa nube a forma di fungo atomico sovrastava minacciosamente il vulcano e tutto il litorale, animata da sinistre pulsazioni, bagliori e boati, mentre uno sciame di terremoti scuoteva l’intera regione e sconvolgeva il mare (2).

L’ammiraglio romano, Gaio Plinio Secondo, si era portato in quelle acque infide ai piedi del Vesuvio allo scopo di evacuare per via marittima le popolazioni delle località costiere che risultavano più direttamente minacciate dall’immane eruzione ed alle quali era preclusa ogni altra via di scampo (3). A tal fine, egli era salpato dalla base navale di Miseno alla testa di una formazione di veloci e possenti quadriremi. La Flotta Misenense, che era di gran lunga la maggiore delle flotte imperiali di Roma (4), doveva possedere almeno una dozzina di unità di quel tipo, cui venivano per lo più attribuiti i nomi di divinità particolarmente care ai Romani, quali Concordia, Fede, Fortuna, Libertà, Salute, Vittoria, etc. (5). Avvicinatosi alla costa con una di queste navi, egli riuscì a raggiungere l’abitazione del suo amico Pomponiano, che era comprensibilmente terrorizzato, ma ch’egli riuscì a rincuorare con il suo comportamento ostentatamente calmo, fiducioso e persino gioviale.

È quanto risulta dalle due lettere che Plinio il Giovane (6) scrisse allo storico Tacito per descrivergli l’eruzione del Vesuvio e le ultime ore di suo zio, l’eroico comandante della Flotta Misenense. Da tale narrazione abbiamo appreso che, a causa delle condizioni meteo proibitive, l’ammiraglio romano non fu in condizione di riprendere il mare prima di venir soffocato dalle esalazioni mortali repentinamente diffusesi nell’area. Ne abbiamo quindi tratto un sentimento di incondizionata ammirazione per il coraggio di quell’uomo, che non aveva esitato a portarsi con le sue navi in uno degli scenari più spaventosi che si possano immaginare, mantenendo fino all’ultimo un atteggiamento del tutto composto, dignitoso e parimenti attento ad entrambi gli interessi, umanitario e scientifico (7), ch’egli ravvedeva nella sua missione. Ci rimaneva tuttavia una certa sensazione di amarezza, non potendo reperire, nel solo racconto di Plinio il Giovane, alcun elemento che potesse farci capire se il sacrificio di suo zio fosse stato in qualche modo utile. L’assenza di qualsiasi accenno al ritorno delle quadriremi ci lasciava anzi temere che la dea Fortuna, invocata dal praefectus classis, fosse rimasta insensibile al coraggio dimostrato dagli equipaggi romani.

Eppure … no, non andò così.
Come andarono esattamente le cose, nessuno lo può asserire con certezza, ma l’operazione di soccorso navale condotta dalle quadriremi di Miseno dovette senz’altro avere un’ampiezza ben maggiore del tragica scena sulla quale, comprensibilmente, Plinio il Giovane ha focalizzato il suo racconto. Quelle navi da guerra non fuggirono davanti al pericolo, né andarono incontro ad un disastro navale, poiché in entrambi i casi ne avremmo trovato qualche eco nel predetto racconto o comunque nelle malevoli epitome storiche degli apologeti cristiani del basso Impero (8). L’intera operazione, inoltre, non si risolse in un clamoroso insuccesso, perché altrimenti l’immagine di Plinio il Vecchio ne sarebbe stata inevitabilmente compromessa presso i suoi contemporanei, e ciò non avrebbe consentito al nipote di far pubblicare, subito dopo, i trentasette libri del monumentale trattato di Storia naturale che l’eruditissimo (9) ammiraglio romano aveva pazientemente e sapientemente redatto, completandoli proprio negli ultimissimi anni della sua vita, quando era a capo della Flotta Misenense (10).

Vale quindi la pena approfondire ulteriormente la nostra analisi, tenendo conto di ogni altro elemento che possa utilmente concorrere alla ricostruzione storica degli eventi. È quanto viene fatto in questa Indagine di Flavio Russo, ove si trovano raccolti e vagliati un gran numero di dati di varia origine, tutti direttamente o indirettamente correlabili agli interventi compiuti dalla Marina militare romana in occasione dell’eruzione del 79 d.C.. Dall’ampio e composito affresco che ne risulta, il Lettore potrà agevolmente trarre un complesso di indizi che lasciano chiaramente intendere che l'operazione navale organizzata ed avviata da Plinio il Vecchio abbia effettivamente consentito di trarre in salvo un gran numero di abitanti delle aree sinistrate. Di conseguenza, questa prima operazione di soccorso in grande stile condotta dalle navi da guerra in una situazione di calamità naturale di estrema gravità dovrebbe essere complessivamente considerata un vero e proprio successo, nonostante la tragica fine del Comandante in Capo della flotta.

Va peraltro sottolineato che tale missione venne assolta con la massima attenzione e professionalità, come si può desumere da svariati particolari tecnici (ad esempio, l’aver individuato per tempo una nuova secca che si era appena formata a breve distanza dalla costa ove erano diretti), a dimostrazione dell’alto livello di addestramento e di disciplina che veniva mantenuto dalla flotta romana. Nulla venne lasciato al caso o all’improvvisazione, anche se le decisioni furono fulminee ed inclusero la consapevole accettazione di rischi molto elevati, com’è normale che avvenga laddove le vite umane da salvare sono soggette ad una minaccia immediata. Il tutto fu reso possibile da un coraggio sovrumano, poiché esso consentì al reparto navale di navigare ordinatamente in un’area marittima sottoposta ad un cataclisma sbalorditivo, di dimensioni ed intensità tali da lasciar chiaramente capire che nessuna forza umana avrebbe potuto resistergli. Ma sembra proprio che, anche in quell’occasione, fu proprio lo straordinario coraggio degli uomini a propiziare il successo dell’operazione, ovvero a propiziarne la Fortuna, così come aveva fiduciosamente auspicato l’impavido ammiraglio romano.

DOMENICO CARRO
(*) Testo ed immagini riprodotti per gentile concessione della RIVISTA MARITTIMA
© 2004 - Proprietà letteraria artistica e scientifica riservata.

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NOTA 1. Dal racconto di Plinio il Giovane sulla morte di suo zio (Epist. VI, 16).

NOTA 2. Alcuni sintetici richiami alle varie fasi eruttive del Vesuvio, con specifico riferimento all’eruzione del 79 d.C., sono reperibili in rete nei siti dell’Università “Roma Tre” e dell’Università di Napoli. Degli stessi autori dell’articolo del primo sito, vi è anche una descrizione più particolareggiata in una pubblicazione cartacea: Lisetta Giacomelli e Roberto Scandone, Vesuvio, Pompei e Ercolano - Eruzioni e escursioni, BE-MA editrice, Milano, 2001.

NOTA 3. Avendo ricevuto una richiesta di aiuto dalla sua amica Rectina, Plinio decise di avviare una vera e propria missione di soccorso navale a favore di tutte le popolazioni rivierasche che si trovavano in analoghe condizioni di pericolo.

NOTA 4. Sulla base delle informazioni di cui disponiamo, si può stimare che la Flotta Misenense avesse una consistenza superiore alla metà del totale delle forze marittime romane. La seconda flotta in ordine d’importanza era quella Ravennate, che doveva essere, grosso modo, la metà di quella Misenense. Tutte le altre flotte imperiali, basate al di fuori dell’Italia, dovevano pertanto avere una complessiva consistenza totale inferiore a quella della flotta Ravennate. Dai predetti rapporti di forze, si può meglio valutare l’importanza della Flotta Misenense: essa non serviva solo da protezione alla città di Roma ed al versante tirrenico dell’Italia, ma assicurava con la propria presenza in mare un controllo costante dell’intero Mediterraneo, assicurandovi il mantenimento delle condizioni di sicurezza e di rispetto della legalità, e contribuendo in modo determinante alla salvaguardia della pace ed alla stabilità dell’Impero.

NOTA 5. Dati ricavati soprattutto dalle fonti epigrafiche. Vedasi «Classica» XI, Appendice IX (Supplemento alla Rivista Marittima di dicembre 2002).

NOTA 6. Epist. VI, 16 e VI, 20

NOTA 7. L’interesse scientifico di Plinio per l’eccezionale eruzione del Vesuvio traspare chiaramente dal racconto di suo nipote circa la navigazione di avvicinamento delle quadriremi alla costa vesuviana. Peraltro, ancor prima di ricevere il messaggio di richiesta di soccorso inviatogli da Rectina, l’ammiraglio romano aveva pensato di salpare con una piccola e veloce liburna per andare ad osservare da più vicino lo straordinario e grandioso spettacolo offerto dal vulcano.

NOTA 8. Mi riferisco ad autori come Arnobio (Adversa Nationes), Commodiano (Carme apologetico), Lattanzio (Così morirono i persecutori), Orosio (Le Storie contro i pagani) ed altri. Si tratta di fonti storiche importanti solo perché, essendo state privilegiate dai copisti del Medio Evo, consentono di colmare in piccola parte le gravi lacune create dalla perdita della maggior parte delle vere e proprie opere storiche dell’alto Impero. La dichiarata finalità apologetica di questi autori li rende scarsamente obiettivi, ma comunque utili perché prevedibili. Nel nostro caso, i loro smaniosi auspici di apocalittici castighi divini per le presunte colpe religiose dei Romani li avrebbero indotti ad enfatizzare con perfida soddisfazione qualsiasi sinistro inflitto alle navi da guerra romane dalla più “apocalittica” delle catastrofi naturali che colpirono l’Impero. Invece quelle navi non vengono nemmeno ricordate. Orosio, ad esempio, si limita a dire: «Raccontano che in quegli anni esplose anche la sommità del monte Bebio, eruttando lingue di fuoco e torrenti di fiamme che distrussero le zone circostanti con città e abitanti» (Hist. Adv. Pag. VII, 9, 14).

NOTA 9. Plinio il Giovane ci fornisce, in una sua lunga lettera (Epist. III, 5), ampie informazioni sulle attività di studio e sulla produzione letteraria di suo zio.

NOTA 10. Nella sua epistola dedicatoria, scritta nell’anno del sesto consolato di Tito (77 d.C.) o al massimo nell’anno successivo, Plinio presenta l’indice generale della sua Storia naturale e si mostra fiducioso di completare la revisione finale dell’intera opera a breve termine, dicendo: «porterò a compimento il mio progetto» (Nat. Hist., praef. 32). In effetti, l’opera era in tutto e per tutto completa quando venne pubblicata postuma, per espressa volontà dell’autore (Nat. Hist., praef. 20), poco dopo la sua tragica morte (79 d.C.).

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