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DOMENICO CARRO

QUADRIREMI vs. VESUVIO

    L'operazione navale di soccorso condotta da Plinio nel 79 d.C.    

RECENSIONE

di Paolo Luca Bernardini
La Provincia di Como, 27 aprile 2021, pag. 55


Plinio e il Vesuvio. L’impresa dell’ammiraglio
Storia. Domenico Carro, tra i più importanti storici della marina imperiale romana, dedica un volume all’eruzione del vulcano e al suo più attivo testimone

«Permaneva ancora dolcissimo, con temperature da fine estate, quell’autunno dell’832 ab Urbe condita, anni in cui erano stati consoli l’Imperatore Cesare Vespasiano Augusto per la nona volta e suo figlio Tito Cesare Vespasiano per la settima volta. Il primo aveva concluso da quattro mesi la sua vita terrena. In quei pochi mesi il secondo aveva iniziato a reggere da solo le sorti dello sterminato Impero».
Così si legge nel bellissimo volume di Domenico Carro “Quadriremi vs. Vesuvio. L’operazione navale di soccorso condotta da Plinio nel 79 d.C.” pubblicato dal raffinato editore romano L’“Erma” di Bretschneider. L’autore, ammiraglio di Divisione, è uno dei maggiori storici, a livello internazionale, della marina imperiale romana. La fine del grande erudito e ammiraglio comasco Plinio fa tutt’uno con la distruzione di parte dello splendido golfo di Napoli, con una delle maggiori eruzioni vulcaniche che la storia ricordi, la prima – probabilmente – osservata da occhio umano per quel che riguarda il Vesuvio; che attese fino al 1631 per tornare a mostrare quanto la forza della natura possa annichilire, improvvisamente, seguendo logiche proprie, l’umana società ed i suoi fragili manufatti.
Ma il libro non è una ricostruzione romanzata. Tutt’altro.

L’evento
Carro studia gli eventi utilizzando tutte le discipline ancillari della storia, che poi – a ben vedere – sono tutte quelle scientifiche, dalla tettonica alla vulcanologia, dall’oceanografia alla meteorologia, per citarne solo alcune (vi si potrebbe anche introdurre la psicologia, e Carro lo fa). Come il «cigno nero» di Taleb, per ricordare un autore così citato (anche troppo) nel contesto di quel sta accadendo nel mondo, nella logica di quel che Husserl già nel 1938 definiva «evento» in tutto il significato fisico e metafisico dell’accadere atteso ma soprattutto inaspettato, il 24 ottobre del 79 il Vesuvio erutta. Le fasi principali dell’eruzione, una più catastrofica dell’altra, portano alla distruzione di Pompei, Ercolano, Oplonti, l’attuale Torre Annunziata, e ad un computo di vittime stimato – e l’attenzione per il calcolo è caratteristica tutt’altro che pedante di questo avvincente volume – intorno alle 3000, in ogni caso una percentuale assai bassa, meno del 10%, della popolazione locale.
Gaio Plinio Secondo, comandante in capo della flotta imperiale di Miseno – la flotta tirrenica; quella adriatica, di pari importanza, era di stanza a Ravenna – a 56 anni (era nato a Como nel 23 e nel 2023 Como ne celebrerà degnamente il bimillenario) – è al colmo della fama, e del potere. Scrittore, storico, naturalista – e solo l’opera di naturalista, la mirabile Historia Naturalis, sopravviverà alla macina del tempo – guida una flotta imperiale che domina quel che allora fu davvero, e solo allora, Mare Nostrum, il Mediterraneo romanizzato a fatica nel corso dei secoli, a partire dalla distruzione di Cartagine.
Un Mediterraneo liberato (o quasi) dai pirati, e quieto almeno dalla grandiosa battaglia di Azio, che nel 31 d.C. aveva visto soccombere la flotta di Marco Antonio, e decadere il suo sogno orientale di dominio, in acque ioniche, che un giorno diventeranno veneziane.
La giornata è serena, il mare invita al bagno e Plinio lo fa. Quando gli giunge da Pompei una richiesta di aiuto. La nobildonna Rectina lo informa che qualcosa di terribile sta avendo luogo, e il fumo dal cratere ben visibile da Miseno lo conferma. Lo informa probabilmente con la radio del tempo, i segnali luminosi.
L’ammiraglio non esita. Forse inizialmente l’evento che guardava da (abbastanza) lontano lo interessò in quanto scienziato. Avrebbe avuto l’occasione di osservare un fenomeno di cui egli stesso non aveva che vaghe nozioni. Ma è l’istinto – e la morale – dell’uomo d’armi, da subito, a prevalere. Non scende in mare con la leggera liburna quasi yacht da esplorazioni, ma ordina alla flotta, a tutta la flotta, di prendere il mare. «Plinius igitur honestius iustiusque putavit alios iuvare quam scientiam colere: et sententiam mutavit et quadriremes deduxit». Splendide parole di Tacito, la fonte unica degli eventi, che gli vennero narrati da Plinio il Giovane, che vi assistette in prima persona.

Honeste vivere
“Honeste vivere”. Il principio di Ulpiano viene espresso oltre un secolo dopo rispetto all’impresa pliniana. Ma l’onestà e la giustizia se devono essere doti del “cives romanus”, a maggior ragione lo sono dell’ufficiale. Ad esse può sacrificarsi la scienza: agire e non limitarsi a guardare. La contemplazione non è tra le virtù marziali. E la narrazione di Carro si fa travolgente, le navi che si volgono verso la costa tormentata dalle esplosioni, le pomici bianche e grigie che cadono dal cielo, poi la pioggia rovente, i gas venefici, che porteranno alla morte Plinio, soffocato a Stabia, dopo aver portato in salvo con Rectina un gran numero di sfollati via mare.
Quasi un rovesciamento della metafora nobilitata dal filosofo Hans Blumenberg, il «naufragio con spettatore»: qui è la terra a naufragare e il mare, finché non è scosso dai maremoti (verranno in ultimo anche quelli) diviene luogo sicuro, paradossalmente, più “fermo” della terra che lo è per definizione.
Si alza nel cielo una colonna piroclastica alta più di 30 chilometri, tutto sembra sepolto sotto la cenere ardente, ma le quadriremi compiono, finché possono, la loro missione umanitaria, salvano i civili che non possono o non riescono a fuggire sui loro battelli, o, cosa in diversi luoghi impraticabile, via terra. Alla fine, ne viene fuori una narrazione quasi entusiasmante. La Marina imperiale poi vede giustificata – nel soccorso ai civili – la propria esistenza e missione in tempo di pace. Plinio muore da eroe, operando per la popolazione. Ma tenendo in sicurezza anche la flotta, che subirà perdite irrisorie. Poi il vulcano torna al silenzio. E in breve gran parte del golfo torna all’opulenza antica. Ercolano e Pompei giacciono secoli sepolte. L’Impero si avvia al suo ultimo secolo di gloria. Esattamente un secolo dopo, nel 180 d.C., Marco Aurelio muore a Vindobona. In quell’anno l’Impero raggiunge la sua massima espansione. Subito dopo inizia il declino.

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