DOMENICO CARRO

ORBIS MARITIMUS

    La geografia imperiale e la grande strategia marittima di Roma    

DESCRIZIONE

a cura della redazione di Roma Aeterna
(2020)


Privo di avant-propos, premessa, prefazione o postfazione, il libro Orbis Maritimus si presenta direttamente al lettore con l'essenzialità del proprio testo, che introduce sé stesso nel primo capitolo e si chiude con le conclusioni nell’ultimo, venendo corredato solo delle appendici irrinunciabili, quali gli elenchi delle abbreviazioni e delle fonti antiche citate, la bibliografia e i dati relativi alle illustrazioni. Anche la copertina è rimasta libera da ogni scritta superflua, essendo illustrata sul davanti dal disegno dell’Orbis, con un’efficace sintesi grafica dell’argomento, e sul retro dall’Urbs, collegata al mare dal Tevere e dal grandioso suo Portus Augustus, secondo un particolare della carta geografica di epoca imperiale riprodotta dalla Tabula Peutingeriana. Nessuna notizia sull’autore è presente, né in quarta di copertina, né all’interno, forse per non distogliere in alcun modo l’attenzione del lettore dal contenuto del libro.

L’ammiraglio Carro non è, peraltro, del tutto sconosciuto ai cultori di storia militare, di storia navale e di storia romana, poiché ha iniziato ad occuparsi di queste discipline mentre era ancora in servizio nella Marina Militare, prima quale responsabile dei Piani e delle Operazioni presso lo Stato Maggiore della Difesa, da cui ha iniziato a pubblicare in via privata i primi libri della sua storia navale e marittima di Roma antica, poi presso l’Ufficio Storico della Marina, cui ha fornito il proprio contributo per i convegni organizzati dall’ufficio stesso congiuntamente alla Commissione Italiana di Storia Militare. Avendo quindi lasciato il servizio attivo a domanda, per poter approfondire i suoi studi romani, ha continuato da oltre un ventennio a pubblicare libri e saggi storici [1], venendo nel frattempo cooptato nel Gruppo dei Romanisti (quelli del Caffè Greco) ed accolto presso la Società Italiana di Storia Militare. In tale ambito, dopo aver contribuito a due Quaderni Sism, incluso quello intitolato alla Naval History, egli ha redatto questo testo, quale secondo libro della nuova Collana Sism.

Il Capitolo I, intitolato alla Pax Augusta ed alla “costruzione dell’Impero”, si apre negli anni iniziali del principato, quando il giovane Ottaviano/Augusto volle condurre una lunga e complessa serie di azioni a carattere diplomatico e militare per rendere quanto più possibile coeso, potente, gestibile, controllabile e difendibile l’assetto territoriale del dominio di Roma (pp. 5-12). L’estrema razionalità e lungimiranza delle predette misure, che consentirono di pervenire ad un assetto dell’Impero destinato ad essere integralmente preservato dai successivi Cesari (a meno di sporadiche e limitate varianti resesi nel tempo fattibili e convenienti), da un lato, ha confermato l’esistenza di una lucida visione geopolitica da parte del principe (come peraltro confermato da molteplici altri indizi: pp. 12-15), dall’altro, ha condotto alcuni studiosi ad individuare nelle scelte imperiali una sostanziale coerenza, interpretabile come espressione di una “grande strategia”.

In particolare, nel libro sono stati presi a riferimento i più rinomati trattati che per primi hanno dissertato sulla grande strategia di Roma in epoca imperiale, come quelli di Edward Luttwak e di Arther Ferril [2], oltre ad alcuni successivi studi sulle maggiori scelte strategiche dei Romani in quello stesso periodo storico, come il saggio di Everett Wheeler >[3] (pp. 17-19). Poiché, tuttavia, le analisi finora pubblicate sulla tematica della grande strategia dell’Impero romano si sono concentrate sulla sola esigenza della difesa dei confini terrestri da parte delle legioni, l’autore ha ritenuto concettualmente necessario integrare quegli studi con un esame debitamente attento al teatro marittimo, strategicamente imprescindibile ma finora negletto [4].

Il secondo aspetto di novità che caratterizza questo libro è quello di non limitarsi alle misure orientate all’impiego dello strumento militare – con particolare riguardo alle forze marittime –, ma di tener conto di tutti i maggiori e continuativi interessi geopolitici e geostrategici del “tempo di pace”, attribuendo a tale espressione il significato odierno, ovvero senza escludere l’insorgere di crisi o conflitti locali in aree periferiche. Quindi, per individuare gli orientamenti macrostrategici dei Cesari nell’inedita situazione della pax Augusta, l’autore si è prefisso di verificare se vi siano stati dei criteri stabili nell’impiego delle risorse militari, diplomatiche ed economiche nello scacchiere marittimo, pur nella diversità delle opportunità e dei vincoli presenti durante il principato dei vari imperatori (pp. 20-23).

Il piano dell’opera ha incluso un preventivo esame delle conoscenze geografiche dei propri spazi marittimi acquisite dai Romani a partire dal principato di Augusto (capitolo II) e si è poi sviluppato con riferimento ai vari bacini marittimi d’interesse (capitoli da III a IX), individuando le azioni compiute in epoca altoimperiale per garantire la sicurezza e per allargare l’orizzonte geografico, l’area di controllo, la zona d’influenza ed i traffici marittimi di Roma, a beneficio del prestigio dell’Impero e del benessere delle relative popolazioni (p. 23).

Più dettagliatamente, il Capitolo II (“Conoscenze geografiche, cartografia e documenti nautici”) descrive l’alacre attività di misurazioni, censimenti ed esplorazioni condotta fin dal principato di Augusto per raccogliere ogni possibile dato geografico relativo alle aree continentali e marittime dell’Impero e delle altre regioni raggiungibili. Tali sforzi, proseguiti con altrettanto impegno anche da parte dei successivi Cesari, furono motivati sia dalle esigenze di amministrazione delle nuove province e di controllo dei regni tributari, sia dalla necessità di conoscenza delle regioni esterne, ai fini delle analisi geopolitiche destinate ad orientare le scelte di politica estera, militare ed economica. La gran mole di dati raccolti è stata utilizzata per la compilazione di vari tipi di testi scritti e di rappresentazioni cartografiche, inclusi dei pregevoli esempi di documenti di ausilio ai naviganti.

Al Capitolo III (“Presenza navale nel Mediterraneo e ruolo strategico delle flotte imperiali”) è stata giustamente conferita un’estensione particolarmente rilevante, data la centralità e la preminenza del mare interno che univa le regioni dell’Impero distese sulle coste mediterranee dei tre continenti del mondo antico. Eredi delle forze navali che avevano combattuto al largo di Azio, le prime flotte imperiali permanenti furono costituite ed organizzate in epoca augustea, venendo poi ulteriormente potenziate e moltiplicate dai successivi Cesari in modo da comporre un dispositivo navale efficiente e prontamente disponibile nell’intero bacino del Mediterraneo. Le due flotte maggiori – la Classis Misenensis e la Classis Ravennas – furono poste alle dirette dipendenze dell’imperatore (meritando pertanto, a partire dall’epoca Flavia, il titolo di flotte “pretorie”) e, pur essendo destinate prioritariamente alla protezione di Roma e dell’Italia, operarono ovunque fosse necessario, distaccando spesso delle proprie “vessillazioni” (reparti d’impiego) in porti remoti (pp. 41-50).

Il complesso dei compiti eseguiti nel Mediterraneo dalle flotte permanenti delinea chiaramente il loro ruolo strategico, anche se questo è rimasto pressoché incomprensibile agli occhi della maggior parte degli studiosi di epoca moderna e contemporanea giacché i Romani non avevano più, nel Mare Nostrum, alcun nemico a loro livello e in grado di sfidarli in battaglia navale. Ora, dopo la fine della guerra fredda, risulta molto più semplice comprendere che tutte le marine da guerra maggiori conservano una funzione importante ed irrinunciabile, anche se in presenza di sole minacce apparentemente minori, come quelle oggigiorno chiamate “asimmetriche”. Per meglio verificare questo aspetto, l’autore ha voluto utilizzare come check list l’elenco delle funzioni basilari attualmente attribuite alla US Navy ed ai Marines statunitensi in applicazione della strategia marittima delineata per il XXI secolo dalla maggiore potenza navale odierna [5]: oltre alla difesa della madrepatria, si tratta di: presenza avanzata, dissuasione, dominio del mare, proiezione di forza, sicurezza marittima e assistenza umanitaria. Seguendo puntualmente tale elencazione viene riscontrato che tutte le predette funzioni sono state effettivamente assolte dalle flotte permanenti romane nell’arco dell’alto Impero (pp. 50-62).

Nella rimanente parte di questo lungo capitolo sono illustrate con vari esempi le iniziative imperiali intese a favorire lo sviluppo e la sicurezza del traffico navale mediante le agevolazioni per gli armatori, le continuative commesse ai cantieri navali e la realizzazione di una nutrita serie di opere marittime destinate alle coste d’Italia ed a tutti gli altri litorali dell’Impero: porti, canali navigabili, fari e torri costiere. Il tutto con benefiche ricadute sulla marina mercantile, componente essenziale del potere marittimo (pp. 63-69).

Nei successivi capitoli fino al penultimo, il lettore viene condotto in un ampio viaggio nello spazio e nel tempo per verificare quali siano state le azioni intraprese dai Romani dell’alto Impero, nelle acque esterne al Mediterraneo, per estendere il proprio dominio e l’area di controllo, e per consentire alle loro linee di comunicazioni marittime di irradiarsi fin dove possibile e vantaggioso. Tale esame viene iniziato da Ovest, passando al di là delle Colonne d’Ercole nell’Oceano Atlantico e verso le relative isole note o ipotizzate (Capitolo IV), per proseguire poi in senso orario: verso Nord, nei mari freddi, sfruttandone i grandi fiumi dal Reno all’Elba e cercando di raggiungere il presunto Oceano Settentrionale (Cap. V); verso Nord-Est, nel mar Nero, collegandosi anche con il Danubio ed affacciandosi sul mar Caspio (Cap. VI); verso Sud-Est, nel mar Rosso dall’Egitto e nel golfo Persico tramite l’Eufrate (Cap. VII); verso Sud, cercando di raggiungere il presunto Oceano Meridionale, navigando su entrambi i lati dell’Africa e sul Nilo (Cap. VIII). Il viaggio si conclude infine con le proiezioni maggiormente impegnative nell’Oceano Indiano: quelle verso l’estremo Oriente, laddove le rotte mercantili raggiunsero le mete più remote e più agognate (cap. IX).

Nel prendere in considerazione tutti i predetti bacini, sono stati illustrati gli aspetti significativi della presenza di forze marittime ivi schierate, quali le flotte imperiali periferiche ed i reparti di classiari. Sono altresì state indicate le basi utilizzate da tali flotte e dai gruppi navali da esse distaccati, inclusa una sorprendente stazione navale avanzata, allestita sulla maggiore delle isole Farasan, all’estremità meridionale del mar Rosso, presumibilmente per il controllo dello stretto di Bab el-Mandeb, l’unico choke point delle linee di comunicazione marittime fra lo stesso mar Rosso e l’Oceano Indiano. Altri argomenti comuni a tutti i bacini, sono le missioni navali di esplorazione condotte per acquisire dati d’interesse geografico o geopolitico: ad esempio, quella verso le Canarie, la circumnavigazione della Britannia, la navigazione della flotta di Augusto verso il mar Baltico e la ricognizione di Traiano nel golfo Persico. Parallelamente, viene evidenziato il progressivo potenziamento dei traffici mercantili romani negli stessi mari ed oceani, grazie alle misure di sostegno del governo imperiale per quanto attiene all’organizzazione, alla logistica, alla ricettività dei porti ed alla sicurezza della navigazione. Tali condizioni hanno anche consentito alle onerarie provenienti dall’Impero di raggiungere per motivi di commercio delle mete ben più remote di quelle effettivamente toccate dalle precedenti civiltà marittime del Mediterraneo: le Canarie, l’Irlanda, probabilmente anche l’Islanda, le coste meridionali e le isole del mar Baltico, le coste dell’Africa Orientale ed Equatoriale fino all’imboccatura del canale del Mozambico, le coste dell’India, del golfo del Bengala e del mar Cinese Meridionale fino al golfo del Tonchino, al confine meridionale dell’antica Cina Fu in tal modo possibile rendere operante la cosiddetta “via della seta marittima”, in alternativa a quella terrestre, che era soggetta al cronico malanimo dei regni dell’altopiano iranico.

Le conclusioni, redatte nel Capitolo X (“Strategia marittima dell’alto Impero”), non fanno altro che riepilogare razionalmente tutti i predetti aspetti, dai quali risulta che vi fu effettivamente una continuità d’indirizzi nelle azioni intraprese dai successori di Augusto nel campo navale e marittimo, lungo tutta l’epoca altoimperiale. Nel complesso, il volume offre una lettura scorrevole ed accattivante, corredata di note puntuali e di innumerevoli riferimenti alle evidenze archeologiche che, presenti nelle varie regioni, arricchiscono notevolmente i dati forniti dalle fonti letterarie. Fra i pregi dell’opera, vi sono numerose carte disegnate dall’autore per meglio accompagnare il lettore nel lungo viaggio nelle acque dell’Orbis maritimus. Per una consultazione rapida sarebbe stato utile disporre anche di indici analitici, onomastico e toponomastico, data la cospicua mole di personaggi citati e di toponimi di siti esotici indicati con le denominazioni antiche e contemporanee.

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Note

[1] Una sua bibliografia aggiornata ai primi del 2014 è stata pubblicata online fra le bibliografie dei Soci Sism: Bibliografia dell'Ammiraglio Domenico Carro.pdf

[2] I rispettivi titoli sono ampiamente noti: The grand strategy of the Roman Empire: from the first century A.D. to the third (Johns Hopkins University Press, Baltimora, 1976) e Roman imperial grand strategy (University Press of America, Lanham, 1991).

[3] Everett L. WHEELER, «Methodological limits and the mirage of Roman strategy», Journal of Military History, 57 (1993), pp. 7-41 e 215-240.

[4] Sono note alcune eccezioni di sicuro interesse, quali l'opera di Luigi LORETO, La grande strategia di Roma nell'età della prima guerra punica (ca. 273 - ca. 229 a. C.): l'inizio di un paradosso, Jovene, Napoli, 2007, e un paio di altri saggi dello stesso Domenico CARRO (2012 e 2017). Tuttavia si tratta di studi riferiti principalmente all'impegno romano per il dominio del mare in epoca repubblicana.

[5] Dati non classificati tratti dai due documenti: A Cooperative Strategy for 21st Century Seapower (CS-21) e The Naval Operations Concept 2010: Implementing the Maritime Strategy (NOC 10), ampiamente diffusi sul Web.

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